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Principal Dancer all’English National Ballet: intervista con Monica Perego

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Nel 1990 Monica Perego vince il Primo Premio al concorso “Benetton Danza”, consistente in una borsa di studio presso la “Royal Ballet School” di Londra. Successivamente nel 1992 entra a far parte dell’“English National Ballet” dove ricopre il prestigioso ruolo di Prima Ballerina dal 1997 al 2002. Interpreta i più importanti ruoli quali del repertorio classico e neo classico. Le sue tournée includono i seguenti stati: Inghilterra, Scozia, Italia, Spagna, Grecia, Francia, Repubblica Ceca, Svezia, Russia, Stati Uniti d’America, Argentina, Brasile, Messico, Sud Korea, Giappone, Cina e Australia. Dall’anno 2000 è inserita tra i mille personaggi più famosi in Inghilterra per eccezionali meriti artistici, culturali, scientifici o politici nel libro “Debrett’s people of today”. Nel 2002 si separa dall’English National Ballet per tornare in Italia, divenendo freelance. Con il Balletto di Roma in qualità di Guest Star interpreta con successo il ruolo di Giulietta in “Giulietta & Romeo” di Fabrizio Monteverde al fianco di Raffaele Paganini, realizzando in tournée in tutta Italia, duecento repliche in quattro stagioni con record d’incassi e presenze. Balla come Guest Star presso: Tokyo City Ballet, K-Ballet, Teatro dell’Opera di Stoccolma, Shanghai Ballet, Wayne Sleep Company, Balletto di Roma, Balletto di Puglia. Partecipa a numerosi Galà tra cui: “50th Birthday Wings” in memoria di Lady Diana, “Birthday Offering” in onore della Principessa Margaret, “Festival di Genzano”, “Festival dei Due Mondi” a Spoleto, “Stelle dell’English National Ballet” a Madrid e Saragozza, “Benois de la Dance” al Bolshoi di Mosca, Miami International Ballet Festival 06’ e tanti altri. Ospite fissa di “Roberto Bolle & Friends”, balla al suo fianco in importanti Galà, tra cui quello di Aichi in Giappone all’interno dell’Expo nel luglio 2005, a Pechino nel luglio 2006 e a Tokyo nell’agosto 2007 per l’addio alle scene di Alessandra Ferri. Interpreta una parte nel film “Alexander” del regista Oliver Stone e partecipa alla trasmissione “Amici di Maria De Filippi” come dimostrante alle sfide. Tra i riconoscimenti i più importanti: Premio al merito “Leonida Massine” a Positano, Premio internazionale per la danza “La Ginestra d’Oro” a Roma, Premio Internazionale Sicilia “Il Paladino” a Siracusa, Premio Internazionale “Franca Bartolomei” a Roma. Monica Perego da l’addio alle scene il 20 novembre 2009 per dedicarsi all’insegnamento ed a trasmettere le sue esperienze ai più giovani. Nel 2013 inaugura la sua scuola di danza a Monza denominata “Dance Heart” e acquisisce i diplomi d’insegnante dello CSEN e dell’ACSI DEE, entrambi riconosciuti dal CONI.

Carissima Monica, cosa ha determinato, in tenera età, la tua passione tersicorea?
Sin da bimba danzavo in casa. Mio padre, sportivo ancora oggi a settantasei anni, mi ha fatto provare tanti sport, nuoto, tennis, equitazione, sci. Ho iniziato a frequentare un corso di danza all’età di sei anni ed è stato amore a prima vista. Da allora non l’ho più lasciata.

Mi racconti il tuo percorso di formazione?
Ho iniziato in una normalissima scuola amatoriale di Monza, la mia città natale. Nel 1990 ho partecipato al concorso “Benetton Danza” ed ho vinto la prestigiosa borsa di studio di un anno presso la “Royal Ballet School”. Alla fine dell’anno scolastico, non ancora maggiorenne, Sir Peter Wright, allora direttore della “Birmingham Royal Ballet”, mi ha offerto il mio primo contratto di lavoro dopo avermi notato al saggio della scuola londinese.

Quali ricordi conservi di questa celebre istituzione e chi vuoi ringraziare in particolar modo?
L’arrivo a Londra fu un mix di emozioni. All’inizio c’era sicuramente l’adrenalina e l’entusiasmo di entrare a far parte di una delle scuole più rinomate al mondo, ma anche la paura di non esserne all’altezza. Poi ho riscontrato la difficoltà di essere catapultata, in tenera età, nel mondo dei grandi, lontana dalla mia famiglia, da amici e conoscenti… Ritrovandomi completamente sola. Di certo devo ringraziare i miei genitori per avermi sempre supportato nonostante la lontananza. Quando chiamavo a casa, in lacrime dicendo che non ce la facevo più e volevo tornare a casa, la mia mamma mi rispondeva: “Ricorda, qui la porta è sempre aperta mentre il treno passa una volta sola nella vita, pensaci”. Ho saputo dopo che metteva giù il telefono e piangeva. Ho avuto due genitori straordinari. Il mio più grande grazie lo devo dire a loro. Ovviamente ho anche tanti bellissimi ricordi di esperienze di viaggi, di palcoscenici di mezzo mondo, di persone che hanno fatto parte delle mia vita.

All’English National Ballet hai danzato pezzi di alcuni tra i più famosi coreografi. Cosa hanno rappresentato queste interpretazioni, quali sono state le maggiori difficoltà tecniche e psicologiche per raggiungere livelli così alti?
Ho sempre adorato stare in sala danza. Le numerose ore giornaliere con le punte ai piedi, magari doloranti, arrivando a casa la sera stremata ma completamente appagata. Ogni coreografo, insegnante, collega più esperto era per me fonte di ispirazione. Ogni ruolo interpretato era motivo di crescita interiore come persona, ballerina ed artista. Per quanto riguarda la tecnica invece, sono sempre stata molto forte. Avevo bei salti e un giro molto sicuro. Ma credo che io sia riuscita a raggiungere livelli così alti perché ho sempre creduto che il cento per cento non era abbastanza, devi continuamente pensare di superare il tuo massimo. Capitava, per esempio, che facessi un buon spettacolo, ma magari compivo un paio di errori, e non riuscivo a pensare che a quelli. Il giorno dopo, ero in sala danza a riprovare tutto quello che non mi aveva soddisfatto.

Come si svolgevano le giornate in sala danza all’English National Ballet? Una tua giornata tipo londinese?
Si iniziava con la classica lezione quotidiana dalle 10 alle 11.15. Un quarto d’ora di pausa e poi, via con le prove che potevano variare di giorno in giorno, finendo alle 19.00 con un’ora per pranzo. Nei miei dieci anni di compagnia, l’“English National Ballet” aveva una media di duecento spettacoli l’anno, portava in scena 5/6 diverse produzioni ed era impegnata in due stagioni a Londra, invernale al “Coliseum” ed estiva alla “Royal Albert Hall”, più sei mesi di tournée in Inghilterra e all’estero. Quando eravamo sotto spettacolo, iniziavamo sempre alle 10 e finivamo alle 17. Lo spettacolo iniziava alle 19.30. Capitava tutti gli anni che, durante la stagione invernale, per tre settimane consecutive, si facevano due spettacoli al giorno, uno alle 14.30 e uno sempre alle 19.30.

Per la tua tecnica, espressività e presenza scenica sei stata nominata Prima Ballerina a Londra. Cosa ricordi della giornata in cui hai ricevuto questa prestigiosa nomina?
Un po’ me l’aspettavo. L’anno precedente alla mia nomina avevo interpretato tutti i primi ruoli delle produzioni in cartellone. Però l’emozione di sentire il proprio nome associato al titolo di “principal dancer” fu immensa. Toccai il cielo con un dito e capii che tutti i sacrifici fatti fino a quel momento, finalmente venivano ripagati.

Tra tutti i tuoi ruoli portati in scena sia a Londra sia poi in qualità di guest in Italia, sempre con grande successo e distinzione, quali hai prediletto e perché?
Tutti mi ricordano, poiché virtuosa, nel “Don Chisciotte”, “Corsaro” e “Diana e Atteone” ma nel mio cuore c’è “Romeo e Giulietta”, un ruolo bellissimo che ti permette di cambiare emozioni e vesti nel corso del balletto stesso, dalla bambina all’adolescente, dalla donna innamorata a quella disperata e il famoso “Lago dei Cigni” per la complessità del personaggio del cigno bianco, fragile creatura rinchiusa nel suo mondo, e la diversità del cigno nero, maliziosa e calcolatrice.

Mentre i momenti più importanti ed emozionanti della tua carriera come li vorresti condensare in poche parole?
Non si possono condensare in poche parole, ne avrei troppi da raccontare. Sicuramente, per citarne uno lontano, la prima volta in cui interpretai Swanilda. Durante il mio secondo anno da corpo di ballo, Ronald Hynd venne a scegliere il cast della sua “Coppelia”. E mi scelse per il ruolo di Swanilda. Pensai fosse solo come copertura, invece mi diede più repliche con Wayne Sleep, personaggio molto famoso in Inghilterra, che venne come ospite per interpretare Dottor Coppelius. Al mio debutto, i miei genitori mi fecero una sorpresa ed arrivarono a teatro, a mia insaputa, per assistere allo spettacolo. Mentre un’esperienza più vicina a noi, è quella vissuta a Tokyo al Gala di addio alle scene di Alessandra Ferri. Nel cast c’erano José Carreno, Paloma Herrera, Julie Kent, Robert Tewsley, ed io danzavo con Roberto Bolle. Ricordo che, tornata in albergo dopo lo spettacolo, mi son detta: “Se tutto finisse domani, sarei la persona più felice del mondo”. Che cosa puoi volere di più?

Ci sono stati anche momenti bui? Magari nei quali hai pensato di mollare tutto?
Come già accennato, la solitudine è stata una delle difficoltà più grandi e il dover crescere molto in fretta. Un altro grosso “macigno” sulle spalle è stata l’invidia. Quando iniziai ad essere scelta in ruoli sempre più importanti, la compagnia mi voltò totalmente le spalle, non mi salutarono neanche più, ignorandomi completamente. In quell’occasione capii cosa fosse la vera solitudine e la vera gelosia eil desiderio di mollare mi è passato più volte nella mente.

Quando, come e con che cosa hai dato l’addio alle scene?
Il cuore mi diceva di finire dove ho iniziato. Nel giugno 1981, sul palcoscenico del Teatro Manzoni di Monza, feci il mio primo saggio di danza. Il 20 novembre 2009, dopo diciotto anni da ballerina professionista, pieni di spettacoli, successi, viaggi e fantastiche esperienze, e dopo aver deciso di cambiare vita e di formare una famiglia, scelsi di “calcare” la scena per l’ultima volta, nello stesso Teatro, il Teatro Manzoni di Monza, organizzando un Gala Internazionale di danza con artisti di livello internazionale, dedicando la mia ultima esibizione all’Hospice Santa Maria delle Grazie di Monza, che si occupa di persone affette da tumore.

Per tua esperienza, quali sono le differenze tra le Compagnie di danza italiane e quelle estere?
All’estero è normale andare a teatro, è come andare al cinema ed è per tutta la famiglia. Di conseguenza c’è più richiesta, ci sono più spettacoli e quindi c’è più lavoro e più soldi per i teatri da parte delle istituzioni. Inoltre, nelle compagnie i contratti sono annuali, non esistono contratti a tempo indeterminato e questo, a mio avviso, mantiene alta la qualità e da più spazio ai giovani meritevoli. Trovo invece che in Italia la danza è ancora considerata una realtà di pochi privilegiati, visto anche i prezzi degli spettacoli. In più la crisi ha tagliato i pochi fondi che già c’erano.

Mentre a livello di pubblico, hai riscontrato notevoli diversità nell’approccio alla danza e alla cultura teatrale? Avendo tu avuto l’onore di ballare in importanti teatri mondiali?
Sicuramente il primato va al pubblico giapponese. I ballerini sono trattati da pop star, i teatri allestiscono transenne fuori dall’uscita degli artisti, per contenere le persone che aspettano dopo lo spettacolo e che puntualmente ti riempiono di doni e di apprezzamenti.

Qual è stato il motivo della separazione dall’English National Ballet?
Sono sempre stata legatissima alla mia famiglia e alla mia città e, dopo dodici anni vissuti in Inghilterra, ho sentito il bisogno di tornare a casa.

Due città a te molto care e sicuramente di grande impatto emotivo sono Monza e Londra! Me le descrivi dal tuo osservatorio?
Londra è enorme, piena di vita, una città cosmopolita che non si ferma mai, ma anche frenetica e, a volte, stancante. Monza è a dimensione d’uomo, piccola, graziosa, completa. Adoro potermi svagare nell’immenso parco e soprattutto per me è CASA.

Hai mai avuto l’onore di conoscere personalmente i membri della famiglia Reale inglese? Tu che hai danzato nelle serate di Gala in ricordo di Lady Diana e della principessa Margaret?
Lady Diana era la madrina dell’“English National Ballet”, quindi ho avuto l’onore di conoscerla e il piacere di incrociarla più volte. Ho incontrato la Principessa Margaret in occasione dell’inaugurazione della nuova sede dell’“English National Ballet School”, dove ho ballato come ospite e come rappresentante della Compagnia. In altre occasioni, ho cenato con il Principe Andrea e la Duchessa Sarah Ferguson.

Tra tutti i tuoi partner in scena, chi ti è rimasto maggiormente nel cuore per aver offerto un particolare coinvolgimento emotivo al pubblico?
Spero che con tutti i miei partner sia riuscita a coinvolgere emotivamente il pubblico. Per citarne alcuni: Patrick Armand, grande personalità e bravissimo ballerino, con il quale è nata una bellissima amicizia e Roberto Bolle, uomo intelligente, disponibile e professionale, bellissimo ballerino e partner d’eccezione. Raro esempio di umiltà e di come il successo non l’abbia scalfito.

Cosa lo rende così speciale ed amato nel mondo?
Ho incontrato Roberto Bolle nel lontano 1997, ancora molto giovane e soprattutto sconosciuto. Da allora, ho avuto il piacere di vederlo crescere sia come persona, che come ballerino. Come accennato sopra, da uomo intelligente ed esempio di professionalità, è riuscito a sfruttare il talento e le doti fisiche naturali al meglio, diventando il numero 1 al mondo, pur rimanendo il Roberto di allora.

Oggi dirigi una tua scuola nella città natia, quali sono le differenza tra l’essere un danzatore e un insegnante e cosa ti piace maggiormente in questo ruolo?
Sono due ruoli completamente diversi. Da ballerina devi pensare a star bene a livello fisico e mentale, devi allenarti e devi sostenere ritmi a volte molto difficili. Da insegnante devi preparare le lezioni, scegliere le musiche, avere fantasia per le coreografie, ma la cosa più bella è poter trasmettere la mia esperienza ai giovani, insegnando loro, non solo la tecnica, ma anche i trucchi del mestiere.

Tra tutti i vari metodi di insegnamento della danza classica a quale ti senti più legata?
Al metodo Vaganova perché sono cresciuta con quello, ma reputo che oggi giorno devi sapere e insegnare tutti i metodi.

Come sei arrivata al cinema?
Per caso. Avevo da poco lasciato l’“English National Ballet”, quando un coreografo, con cui avevo già lavorato, mi propose di collaborare per il film “Alexander” di Oliver Stone. È stata una bellissima esperienza ed un onore conoscere le stelle di Hollywood come Angelina Jolie, Colin Farrell e il grande Oliver in persona.

C’è un sogno o un desiderio che vorresti ancora realizzare per la “danza”?
Lo sto realizzando: un Concorso di danza nelle mia città. La mia carriera ha avuto inizio da un Concorso e mi sento in dovere di fare la stessa cosa per aiutare giovani talenti a realizzare il loro sogno.

La maternità come ti ha cambiata a livello umano e personale?
La maternità è l’esperienza più bella che una donna possa fare. Ho lasciato la carriera per avere la mia bambina ed è stata la scelta più giusta che abbia mai preso. Mia figlia è lo spettacolo più bello della mia vita. La mia priorità è lei, non sono più io sotto i riflettori, adesso c’è lei. Da mamma impari ad essere più paziente, tollerante e riflessiva.

Un bilancio della tua carriera artistica?
Mi sento felice, appagata, fiera e molto fortunata. Rifarei tutto, rivivrei anche i momenti più difficili…

Michele Olivieri
Foto: T.Meda
www.giornaledelladanza.com

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