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PROSPETTIVE01 – Franco Corsi: “La coreografia è la mia seconda pelle”

F. Corsi

“Prospettive01” è una rubrica rivolta ad artisti e contesti che rappresentano un mondo di talenti in continua evoluzione. Ideata e curata da Lorena Coppola, la rubrica si propone di raccogliere una serie di interviste e di articoli mirati a dar voce e spazio a tutte le fasce creative del mondo coreutico che costituiscono giovani realtà in via di sviluppo ed espansione, progetti innovativi, o realtà già consolidate, di spiccato talento, meritevoli di attenzione. Un luogo di rivelazione e di incontro di nuove prospettive.

Franco Corsi è un giovane coreografo italiano con un ricco percorso formativo sviluppato con grandi nomi del panorama coreutico nazionale ed internazionale: Erna Bonk, Fabrizio Monteverde e molti altri. Definisce la coreografia come una “seconda pelle“, un elemento fondamentale per il suo essere bisognoso di Arte, è impegnato a livello nazionale ed internazionale nella coreografia d’autore.  La sua tecnica è principalmente di stampo contemporaneo, con molta curiosità verso il Tanz Theatre europeo ma con solide basi accademiche, con un forte tessuto emotivo, espressivo e teatrale.

Il tuo percorso formativo…

Ho iniziato a studiare danza, non da giovanissimo, come la maggior parte dei miei colleghi, e quindi ho macinato in fretta il più possibile per mettermi in pari, nella mia città natale, ho continuato a Viareggio con la maestra Erna Bonk, ex prima ballerina del Royal Danisch Ballet di Copenaghen, successivamente ho vinto la borsa di studio al Balletto di Toscana di Cristina Bozzolini a Firenze dove ho iniziato a studiare con maestri e coreografi provenienti da tutta Italia e dall’estero. Progressivamente, essendo anche caratterialmente molto curioso, ho deciso di cambiare habitat, in un primo momento trasferendomi a Roma, studiando in varie accademie, fino a varcare i confini italiani, prima tappa in Germania, successivamente Francia fino agli Stati Uniti d’America.

Le tappe più significative della tua definizione artistica?

Artisticamente parlando, ha significato tanto lavorare affianco a grandi nomi della danza mondiale come, per esempio, il grande Micha Van Hoecke, con cui ho avuto la fortuna di lavorare nel suo “Ensemble”. Hanno  contribuito molto anche le esperienze come le tournée. Recentemente ho girato gran parte dell’Europa con la NoGravity Dance Company, danzando in meravigliosi teatri e auditorium internazionali, ma, soprattutto, un’esperienza che ha cambiato il mio “mondo” è stata la selezione per il Wuppertal Tanztheatre Pina Bausch. Lì sono entrato in contatto con la dimensione che più mi piace della danza, forse la sua parte più genuina, in una delle compagnie che più amo e che definisco una “culla” per lo spirito. Purtroppo ci sono arrivato quando ormai Pina ci aveva lasciato e ho trovato la compagnia un po’ frastornata, come in balia di mille venti, ma di certo quello che ho provato in quei giorni, danzando di fronte a tutti loro, “storici” della compagnia che ammiravo solo a teatro o in dvd, in quel teatro, respirando quei profumi, la polvere, sudando assieme a molti altri danzatori selezionati da tutto il mondo, lo porterò dentro per sempre!

Che cos’è per te la coreografia per te?

Per me Coreografia vuol dire “esprimere un bisogno”, sento la necessità di condividere con gli altri ciò che sento di dover dire senza le parole. Tutte le volte che costruisco una pièce o una coreografia è perché sono pervaso da situazioni, emozioni o avvenimenti che mi mettono in condizione di poterlo fare. Per me coreografia, fare coreografia è sostanzialmente un fattore esistenziale.

Qual è la tua chiave stilistica?

La mia chiave, bella domanda, riallacciandomi a quanto detto poc’anzi, al fatto di esprimere una necessità corporea e anche spirituale, i movimenti nascono da dentro e prendono forma, si delineano e disegnano se stessi. Sicuramente la mia linea non è né didascalica né schematica, è una creazione emotiva che parte dall’intimo e si esprime attraverso passi, sequenze, respiri, è attimi di “danza”. Non uso stereotipi allegorici particolari, i miei miti coreografici di riferimento sono per lo più le grandi menti coreografiche del passato da Graham, Tarp a Matz Ek, da Kylian a McGregor fino alla Bausch!

Come definiresti il tuo concetto di danza?

Puro e semplice, come ho già detto: danzo perché esito e ne sento il bisogno; il mio lavoro parte sicuramente da una base che può essere quella della danza tradizionale ballettistica, in quanto amo le linee e la morbidezza del “gesto”, ma poi il prodotto finale sfocia in tutt’altro!

Attualmente hai presentato il tuo ultimo lavoro Stanze al Teatro Greco di Roma, su cosa si basa? 

Stanze è un lavoro molto autobiografico, in cui ogni quadro realizzato esprime un po’ uno spaccato del mio vissuto, come la perdita di una persona cara, una separazione, un conflitto interiore, la gioia di un incontro, la mia solitudine etc. È una forte scommessa e al tempo stesso è stato bello il percorso con cui ci sono arrivato. Durante la pièce mi avvalgo di oggetti e arredi che aiutano lo spettatore ad entrare nelle “mie” stanze, nei miei cassetti dei ricordi, nelle stagioni della mia vita, sotto la “mia pelle”. Mi auguro che piaccia al pubblico come io l’ho “sentito” molto.

Il messaggio che cerchi di trasmettere attraverso i tuoi lavori?

Più che il messaggio, è il messaggero che cerco di far arrivare. Una volta arrivato questo, si è capito tutto il lavoro svolto! Il mio lavoro, appunto, non è didascalico, ha un quid spesso molto tangibile e arriva dritto negli occhi fino al cuore o almeno è sempre quello che mi viene detto dopo le rappresentazioni, poi come dico sempre: ogni lavoro merita lode solo per il fatto di averci speso tempo e impegno per arrivare a “dire” qualcosa.

In che modo definisci la tua “contemporaneità”?

La mia contemporaneità sta nel mettersi ogni giorno in discussione, superando i propri limiti culturali, fisici e non solo professionali, nel confronto costante con le persone e le opinioni diverse, nel dialogo con noi stessi e con ciò che ci circonda. Ascoltare e imparare a “dire” è “fare” danza, continuando ad essere pura passione e non mera ossessione o business!

Progetti futuri?

Nel prossimo futuro ci sono delle collaborazioni con teatri Italiani, direttori artistici e colleghi, anche dall’estero, che mi hanno offerto di coreografare per loro. Ho in serbo delle belle “cosine” per la mia neonata EdC – “Emozione Danza Company” che ancora tengo “top secret”. Personalmente ho ancora molto da dare e mi esibirò ancora come danzatore ed interprete, ma non nego che, nel futuro più lontano, mi piacerebbe essere alla direzione di una compagnia stabile, perché no, anche all’estero se la tragedia che sta investendo il nostro paese non fosse ancora passata!

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

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