In occasione di Uovo Festival, il pubblico ha potuto assistere a spettacoli e performance degli artisti europei più all’avanguardia, che portano avanti una propria ricerca su vari temi e in varie forme, ma anche di poter conoscere giovani talenti della coreografia, che si stanno costruendo uno spazio sulle scene europee.
In questa intervista conosciamo meglio Camilla Monga, una giovane coreografa e interprete italiana, diplomata alla Paolo Grassi (ma con studi anche a Bruxelles e all’Accademia di Brera), da anni in scena per diversi progetti italiani ed europei di danza contemporanea, protagonista di diverse residenze artistiche, fino ai recentissimi studi con il Leone d’Oro alla carriera 2015: Anne Teresa de Keersmaeker.
Domanda di rito, ormai: cos’è per te la danza?
Una sola definizione non c’è, ma mi piace trovarla in altre fonti che non parlano di danza nello specifico. Ieri leggevo un testo di Deleuze sulla concezione del movimento nel cinema, inteso come qualcosa “capace di pensare la produzione del nuovo”. Le immagini non sono descritte nel movimento, ma è la continuità del movimento a descrivere le immagini. Ed è questa continuità che può essere considerata “danza”.
Quando hai deciso di intraprendere la carriera della performer? E perché?
Credo di non averlo mai deciso se non per necessità, è così che sono diventata autrice e nello stesso tempo interprete dei miei lavori. Ho realizzato per lo più assoli, duetti o terzetti, senza sostegni di produzione per reclutare altri danzatori. Penso di aver imparato a fare di necessità virtù.
Hai lavorato con numerosi coreografi internazionali. Come è stato lavorare con artisti come Anne Teresa de Keersmaeker, Emio Greco e Ariella Vidach?
Ho lavorato nel 2012 come danzatrice per Ariella Vidach e l’anno successivo mi sono dedicata ai miei progetti, ma devo dire che Ariella è stata la prima a sostenermi e, successivamente, il CSC di Bassano del Grappa mi ha dato il mio primo supporto residenziale. Grazie alla loro attenzione ho realizzato assieme al musicista Luca Scappellato i miei primissimi lavori. Nel 2013 sono stata selezionata come coreografa per SPAZIO, progetto residenziale sostenuto da ICK Amsterdam dove ho avuto l’occasione di conoscere Emio Greco e altri coreografi internazionali. Mentre ora sto proseguendo i miei studi presso P.A.R.T.S. Academy diretta da Anne Teresa de Keersmaeker. Ho avuto quindi modo di conoscere Emio Greco e Anne Teresa in veste di aspirante coreografa, non aspirante danzatrice, ed è molto formativo perché il mio interesse è la creazione.
Come lavori su una coreografia? Come nasce e come continua il lavoro? Quali input influenzano il lavoro (letteratura, quotidianità, altra danza, la tecnologia…)?
Può nascere dalla lettura di un testo, dalla visione di un film, di un quadro…Non c’è una prassi specifica. C’è piuttosto un interesse sempre costante nel trovare la giusta associazione di idee tra struttura coreografica e musicale. Perciò la presenza di Luca è importante, e i miei studi di musicologia mi aiutano a completare la riflessione coreografica.
Parlaci della creazione per Uovo Festival: l’Hoquetus è una particolare composizione che per la sua ritmica viene detta “a singhiozzo”, come ti ha dato l’idea per la coreografia?
Thierry de Mey mi ha fatto conoscere questa struttura compositiva: si tratta di una linea melodica che prevede interruzioni ripetitive, ma non sempre regolari.
Avevo creato un assolo che riprendeva la stessa struttura, o meglio, poteva rievocare lo stesso effetto “a singhiozzo”: tutto il materiale consiste in una serie di movimenti in palindromi, che possono cioè essere letti allo stesso modo in entrambi i sensi (nel mio caso da destra a sinistra; mentre i cosiddetti “singhiozzi” nel mio caso costituiscono delle interruzioni funzionali che mi consentono di cambiare direzioni e velocità.
L’effetto che ne esce è quello di un corpo in continua evoluzione che sembra percorrere tutte le tappe della scala evolutiva.
Quanto sono diverse la scena italiana e la scena europea contemporanea?
Sono diverse in termini di rete, collettività e contenuti.
In Italia si lavora sempre al buio, non si conosce nulla di ciò che ci circonda e si condivide ancora poco. All’estero si organizzano numerosi incontri che riuniscono coreografi, filosofi, musicologi, artisti, provenienti da tutto il mondo interessati alla ricerca coreografica, perciò i contenuti sono continuamente condivisi, analizzati e “stropicciati” in diversi ambiti artistici.
Una realtà italiana però a cui sono affezionata è quella di Bassano del Grappa, che in termini di scambio internazionale è molto aperta: il centro ospita coreografi italiani e stranieri e invita i cittadini non solo ad assistere agli spettacoli, ma anche a partecipare alle prove aperte durante le residenze. Gli spettatori diventano così attivi e i loro punti di vista possono costituire una fonte preziosa durante il processo creativo.
Quanto è importante la performance e la danza contemporanea? Credi sia la forma più adatta a interpretare la contemporaneità?
La danza contemporanea è tanto importante quanto il teatro o altri ambiti artistici e non deve soffrire nessun complesso di inferiorità; anzi, è la forma per me più interessante per trasmettere dei contenuti, perché il più delle volte è ancora un’opera aperta.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Durante le tre settimane di residenza presso P.A.R.T.S avrò la possibilità di lavorare con Bojana Cvejic e Alain Franco per far evolvere l’ultimo studio che io e Luca abbiamo presentato in occasione del festival Naocrea e le residenze di Bassano del Grappa. Inoltre, Hoquetus verra’ presentato nella sua versione definitiva a Parigi durante l’evento Camping organizzato da Mathilde Le Monnier.
Greta Pieropan
Foto: sito dell’artista, www.camillamonga.com