France TV (co-produzione Opéra national de Paris e Bel Air Média, regia di Julien Condemine) ha trasmesso in diretta “Mayerling” dall’Opéra di Parigi. Lo “storico” balletto dal 2022 è entrato a far parte nel repertorio del Palais Garnier. Venne ideato nel lontano 1978 a Londra per la “Royal Opera House” da Kenneth MacMillan. “Mayerling” è una storia di intrighi, intrecci complicati, oscura ma al contempo autentica, ricca di profondità emotiva ed estetica, senza tralasciare l’esaltante bellezza coreografica sulle musiche di Franz Liszt arrangiate con cura da John Lanchbery e nello splendido allestimento scenografico e costumistico di Nicholas Georgiadis (qui con la consulenza artistica e tecnica per le scenografie di Cinza Lo Fazio) su libretto di Gillian Freeman e consone luci di Jacopo Pantani che restituiscono un’ambientazione toccata da temi decadenti.
Il balletto fu ispirato a MacMillan dalla lettura del libro “The Eagles Die: Franz Joseph, Elisabeth, And Their Austria” di George R. Marek che narra del lento tramonto dell’Imperatore Francesco Giuseppe mentre Bruckner, Brahms e Mahler scrivevano alcune delle più eccelse pagine musicali della storia, e Johann Strauss alcune delle più allegre. Il giovane Kafka sfornava storie tristemente profetiche a Praga e il giovane Freud elaborava le sue teorie di psicoanalisi. E anni dopo uno dei più grandi coreografi del XX secolo, divinamente ispirato, si confrontava con soggetti controversi come nei balletti “Romeo e Giulietta”, “Anastasia”, “L’histoire de Manon”, “Isadora” e ben appunto “Mayerling” dando risalto alla parte più oscura della natura umana e della sessualità senza perdere l’accurato classicismo con taglio cinematografico.
Con ampia teatralità, scene grandiose e costumi sontuosi le cui tinte autunnali riflettono il declino di un mondo destinato a svanire nella luce, racconta la storia del principe ereditario Rodolfo d’Austria-Ungheria, un giovane disturbato da un matrimonio infelice e da un rapporto difficile con i propri genitori. Copre il tempo dal suo matrimonio con la principessa Stephanie del Belgio avvenuto nel 1881 al patto suicida con la sua amante diciassettenne, la baronessa Mary Vetsera, al casino di caccia di Mayerling nel 1889.
I ruoli principali del principe ereditario Rodolfo e Mary Vetsera nella diretta televisiva dall’Opéra di Parigi sono stati ricoperti dal danseur étoile Hugo Marchand e dalla danseuse étoile Léonore Baulac, con la prima ballerina Silvia Saint-Martin nei panni della principessa Stephanie, la prima ballerina Héloïse Bourdon nei panni dell’Imperatrice d’Austria-Ungheria, la danseuse étoile Hannah O’Neill nel ruolo della Contessa Marie Larisch, la prima ballerina Roxane Stojanov in quello di Mitzi Caspar, del primo ballerino Pablo Legasa ad interpretare Bratfish e di Bianca Scumadore (sujet) a rivestire la Principessa Louise. Un parterre ricco di nomi tra su cui spiccano ben tre étoiles che è il più alto grado che un ballerino o una ballerina può raggiungere nella sua carriera.
A tal proposito ricordiamo che tale termine venne usato per designare i migliori solisti del Balletto dell’Opéra di Parigi sin dal XIX secolo, ma fu solo nel 1940 che il leggendario Serge Lifar decise di ufficializzare il titolo al vertice della gerarchia della compagnia. A differenza di tutti i gradi inferiori del Balletto (quadrille, coryphée, sujet, premier danseur), la promozione ad étoile non dipende dal successo negli esami dei concorsi annuali ma bensì dalle esibizioni in ruoli di primo piano che a discrezione del direttore dell’Opéra di Parigi, su proposta del “directeur de la danse” (attualmente riconducibile nella persona di José Martinez) viene concesso in riconoscimento di eccezionali doti e merito. Da notare che il titolo è conferito a vita ed è quindi mantenuto dopo il pensionamento.
“Mayerling” è da elogiare inizialmente per la sua ardita coreografia, la tecnica e l’influsso drammatico, la durata di tre ore non deve spaventare perché è talmente coinvolgente ed appassionante che il tempo trascorre in un lampo grazie alla profondità emotiva, alle preziose immagini, ai quadri affascinanti e sensuali e da uno dei ruoli maschili più impegnativi mai creati sia dal punto di vista della resistenza fisica – due ore di sfrenata coreografia – che dell’interpretazione drammatica. L’estensione permette di decantare gli accadimenti, di evitare ritmi incalzanti soffermandosi maggiormente sui dettagli, anche quelli più impercettibili dell’esistenza introspettiva ed intima dei personaggi narrati. Kenneth MacMillan ha ideato complessi passi di danza in cui allo sfarzo della Corte Austroungarica si contrappone un sottobosco di cospirazioni sentimentali e politiche, di congiure psicologiche che trova il suo apice nel doppio suicidio. Maestose scene di gruppo si avvicendano a numerosi assoli e ad audaci pas de deux dall’atmosfera sinistra e licenziosa dove i sensi sono connessi al piacere, al turbamento e all’appagamento della carne con sollevamenti acrobatici dove tutti gli arti sono complici e protagonisti in egual misura. I “pas de deux” sono realmente dei “pas de deux” dove la coppia si muove con perfetto tempismo, dando l’esatta cifra di essere un’entità unica, creando un dialogo visivo con gli spettatori di massima empatia.
La narrazione nella sua ufficialità storica ha fatto credere che Rodolfo fosse mancato per un attacco di cuore mentre la sua amante Mary Vetsera venne totalmente ignorata dalla versione di Stato e seppellita segretamente nel cimitero del monastero di Heiligenkreuz nel bosco viennese. Col passare del tempo tale versione perse credibilità e si giunse alla scottante verità che l’arciduca si fosse suicidato. Anche se il mistero su come i fatti si conclusero realmente rimane ad oggi un enigma non completamente risolto. L’intera vicenda, che avrebbe avuto un impatto significativo sulla storia degli anni successivi, fu prima tenuta nascosta, poi insabbiata, falsificata e infine mistificata. Tant’è che nel tempo molte ipotesi sono nate a riguardo (taluni hanno pure avanzato l’ipotesi che non solo la baronessa, ma anche l’arciduca fossero stati uccisi) ma senza giungere ad una verità condivisa. Di certo questa produzione è un capolavoro totale. La morale la ritroviamo nell’amore che è più forte di tutto, anche dei colpi di pistola…
Il titolo del balletto prende il nome dalla località in cui si trovava la residenza di caccia imperiale situata nella Bassa Austria, teatro dell’infausto finale nella notte del 30 gennaio 1889. Francesco Giuseppe, il padre di Rodolfo, sconvolto e addolorato fece dell’ultima residenza del figlio un tempio a lui dedicato. Il luogo ove si trovava la camera da letto di Rodolfo venne abbattuto per fare spazio ad una Chiesa che venne aggiunta sul retro dell’edificio, nel luogo esatto dove i due giovani si tolsero la vita. Dopo aver fatto effettuare queste modifiche, Francesco Giuseppe affidò la residenza alle Suore Carmelitane le quali ebbero l’ordine di custodire il monastero. Contrariamente alla sua volontà, Rodolfo fu sepolto nella Cripta dei Cappuccini a Vienna consacrata ai membri della dinastia Asburgo. Marie Alexandrine Freiin von Vetsera, la “compagna di morte” del principe, è la vera triste eroina di questo “dramma in danza”: venuta a mancare nel letto dell’erede al trono austriaco, sepolta a pochi passi dal luogo suicida, profanata nei tumulti del 1945 in cerca di preziosi, nel 1959 le sue spoglie furono traslate ma nel 1992 la tomba apparve vuota. Si venne a sapere che un mercante di Linz ossessionato dalla necessità di risolvere il mistero di Mayerling, aveva rubato il corpo di Marie Vetsera e, dopo averlo analizzato, aveva inviato alcune ossa all’Istituto di Medicina Legale di Vienna. Tuttavia l’analisi fu stoppata in quanto si venne a sapere che erano i resti rubati della baronessa. Nel 1993 la Vetsera fu tumulata per l’ennesima volta nella tomba di Mayerling, questa volta sigillata con cura. Alcuni biografi sono concordi nell’attribuire all’adolescente Vetsera un’infatuazione per l’erede al trono già prima del loro incontro ufficiale al Prater, un amore platonico sovente diffuso ai quei tempi tra le giovani nobili e che in Marie si sarebbe trasformato in un amore ossessivo nel 1888.
Il balletto si svolge in tre atti con prologo ed epilogo. Il primo mostra l’infelicità di Rodolfo a causa di una moglie per cui prova poca empatia, ad una mancanza di affetto genitoriale e ad una vita di corte opprimente. Il secondo vede Rodolfo concedersi alcuni diversivi tra taverne, amanti, cortigiane, prostitute e stupefacenti, scandali e il tentativo di concordare con qualcuno un patto suicida. Nel terzo atto ciò avviene, e lo spettacolo si conclude con la sepoltura di Mary sotto una pioggia battente ovattata dalla nebbia. Celebre la frase lasciata scritta su un foglio da Marie Vetsera per Rodolfo la sera prima del loro duplice omicidio-suicidio: “È bello poter dire a qualcuno ti amerò sempre… e sapere che è vero!” La ripresa dell’Opéra di Parigi ha mostrato ancora una volta – se mai ce ne fosse ulteriormente bisogno – di quanto lo stile francese sia fulgido per eleganza e fluidità. La musica di Liszt ha sicuramente il merito di prendersi buona parte del successo, tanto da far credere che sia stata composta appositamente per la coreografia in questione. Ogni stato d’animo trova il suo respiro nella partitura che comprende “Faust Symphony”; “Héroïde funèbra”; “Waltzes Soirées de Vienne”; “Five Small Piano Pieces”; “Valse mélancolique”; “Festklänge”; “Morceau en caractère hongroise”; “Seven Hungarian Portraits”; “Valse oubliée”; “Berceuse”; “Tasso”; “Etudes d’execution transcendant”; Weihnachtsbaum”; “Csárdas obstiné”; “Mephisto Waltz No.1”; “Fleurs mélodiques des Alpes”; “Consolation”; “Ich Scheide”; “Mephisto Polka”; “Vallée d’Obermann”; “Die Ideale”; “Hungarian Folksong”; “Funérailles”.
Le Premières Danseuses, i Premiers Danseurs e il Corps de Ballet parigino interiorizzano le proprie parti in maniera superba. Hugo Marchand rimanda appieno tutte le sfumature del protagonista restituendo un’anima perduta che cerca conforto alle proprie pene nella droga, nel sesso e nella politica progressista. La sua è una performance potente, convincente e meravigliosamente fisica. Le sue mani tremanti, la schiena inarcata, i movimenti convulsi e nervosi del corpo e del capo, lo sguardo a tratti dissennato, il muto grido disperato di smarrimento fuoriesce con una prospettiva tagliente, il profilo aristocratico è intenso, le linee ondulate che lo pervadono infondono la cifra esatta dello stato mentale di Rodolfo e riflettono il bambino ormai perduto. Marchand è stato superlativo non solo nella sua accademica tecnica (che ben conosciamo, avendo anche vinto nel 2024 il GD Awards della nostra rivista per l’eccellenza della danza internazionale e per l’interpretazione ne “Lo Schiaccianoci” di Rudolf Nureyev alla Scala di Milano) ma soprattutto nell’evoluzione del ruolo, da apparire totalmente svuotato e sfinito a fine balletto tanto lo ha vissuto e tanto lo ha metabolizzato. Le donne delle sua vita, dalla madre alla principessa Stephanie, sono dipinte in maniera fondata. Ognuna trasmette con vocazione attoriale la propria forza o debolezza. La danza è costantemente raffinata ed intelligente.
La Vetsera della Baulac scova gli estremi più oscuri del proprio personaggio, e lo fa con passione scavando la strada nel solco del suo amante. La coppia Marchand-Baulac nel finale pur così tragico connotano la scena di romanticismo, come a scrivere senza intralci la parola “eternità” sul loro amore e sulla loro complicità malgrado siano travolti da disperazione e tristezza che si tramutano in libertà. Si completano l’un l’altra. Tutti insieme i danzatori hanno acceso la tensione in un crescendo, e la tragedia conclusiva è apparsa palpabile e commovente. Pablo Legasa è stato straordinario come Bratfisch. Stojanov ha fatto un eccellente lavoro con Mitzi. Bourdon si è sempre più addentrata nel ruolo algido della madre-imperatrice. O’Neill è apparsa brillante e disarmante nella sua caratterizzazione. La Stephanie di Saint-Martin è stata una combattente. E Hugo Marchand ha offerto così tante particolarità della sua performance con una straordinaria maratona di danza ed espressività capace di arricchire il ritratto di un uomo che implora unicamente amore e aiuto. Una gioia per gli occhi. Un ponderato ritratto stratificato che ha combinato il tutto. L’Orchestra Nazionale dell’Opéra diretta con mano sapiente da Martin Yates ha accompagnato i danzatori con solenne incedere.
Il balletto al debutto fu dedicato al grande coreografo e fondatore del Royal Ballet, Sir Frederick Ashton. Da annotare inoltre che MacMillan venne a mancare il 29 ottobre 1992, dietro le quinte del Covent Garden, proprio durante una ripresa di “Mayerling”.
Da segnalare tre note a margine di “storie nella storia”: la prima ci ricorda che la madre di Rodolfo era Sissi, celebrata in numerosi film di successo e in altrettanto libri biografici, Imperatrice d’Austria, Regina apostolica d’Ungheria, Regina di Boemia e di Croazia come consorte di Francesco Giuseppe d’Austria (il padre del protagonista di “Mayerling”), la quale rimane un simbolo della monarchia asburgica. Nel loro primo incontro ufficiale, prima del matrimonio celebrato con grande sfarzo nella Chiesa degli Agostiniani, ballarono insieme il “cotillon” (simile al valzer) che era un’antica danza francese, considerata l’antesignana della quadriglia. La dama aveva un ruolo da protagonista nel ballo-gioco: era sua facoltà cercare di attirare a sé il cavaliere desiderato e farsi invitare da lui al ballo vero e proprio, il quale celava un significato di corteggiamento. A conclusione del ballo, venivano scambiati o distribuiti piccoli doni, motivo per cui il termine “cotillon” viene ancora oggi usato per indicare i piccoli regali a sorpresa che vengono distribuiti durante le feste danzanti o altre riunioni ludiche.
La seconda nota ci riporta ad un’altra celebrata ballerina, Cléo de Mérode, conosciuta per essere stata una delle donne più affascinanti della Belle Époque, di nobile nascita era la figlia della baronessa austriaca Vincentia de Mérode che fu dama di corte dell’Imperatrice Elisabetta di Baviera (Sissi). Cléo fu avviata alla danza in giovane età presso la Scuola dell’Opéra di Parigi, dimostrando grazia ed ottima attitudine alla disciplina coreutica, debuttando in palcoscenico appena undicenne. Viene ricordata anche per la sua presunta relazione segreta con Re Leopoldo II del Belgio, ribattezzato nei salotti di Europa “Cleopoldo”, il quale si era innamorato di lei vedendola danzare in una rappresentazione dei ballabili di “Aida” in cui impersonava un’egizia. In seguito danzò come protagonista in “Coppélia” di Léo Delibes, “Le couronnement de la Muse” di Marc-Antoine Charpentier, “Sylvia ou la ninfe de Diana” di Léo Delibes e lo scultore Alexander Falguière la immortalò nella sua “Danseuse” dove quella donna nuda danzante nel marmo risultò uno dei più chiacchierati scandali del “Salon du Printemps”. All’apice della carriera, Cléo danzò anche nel balletto “Lorenza” alle “Folies Bergère”, suscitando un altro scandalo in quanto non si era mai vista che una ballerina di danza classica accademica si esibisse in un luogo così equivoco per la moralità dell’epoca.
Infine la terza nota ci ricorda che la ballerina Roxanne Stojanov interprete del ruolo di Mitzi Caspar, pochi giorni dopo la diretta televisiva da noi recensita, esattamente il 28 dicembre 2024 è stata nominata danseuse étoile dell’Opéra di Parigi al termine del balletto “Paquita” di Pierre Lacotte. E così il parterre di cui si parlava poco sopra ricco di “presenze stellari” è salito eccezionalmente a quattro in una sola serata. Imperdibile!
Michele Olivieri
Foto: © Marie-Helena Buckley / OnP
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