A un anno dalla scomparsa di Carla Fracci il 27 maggio 2021 , il Giornale della Danza e il Direttore Sara Zuccari propone un ritratto della grande étoile e icona mondiale: “Carla l’Eterna Fanciulla”.
Carla Fracci è per tutti la personificazione della danza. È il sogno di tutte le bambine che vogliono studiare danza classica. È una donna caratterizzata da dedizione assoluta alla danza: un mito vivente del balletto. Dietro al mito costruito di Carla, c’è la forza che lo ha creato: lei stessa. Non si è infatti costruita un personaggio, non è dovuta ricorrere a continue revisioni e adeguamenti dell’immagine, come tante persone di successo, perché non è un tipo, è lei.
Il suo è un successo che non ha conosciuto periodi di crisi, ma solo una continua crescita. Eppure non è diva tradizionale; ha mantenuto la sua spontaneità e genuinità popolare; anche nella vita quotidiana, fuori dal teatro, ha la stessa eleganza, lo stesso equilibrio, la stessa nobiltà d’animo che solitamente esterna attraverso la danza: è come se fosse sempre “in punta di piedi”.
Questo suo modo di essere e di porsi agli altri ha fatto nascere sin dall’inizio alla gente una spontanea adesione alla sua persona. La danza le ha offerto, nella società delle immagini, l’opportunità di diffondere di sé un’immagine gradevole e naturale, senza forzature, nella quale spiccano i suoi occhi scuri e profondi, un corpo esile e nobile, le lunghe braccia e le grandi mani parlanti.
Ha un animo complesso e attento a ogni piccola cosa, con le sue contraddizioni e ostinazioni, in grado, tuttavia, di esprimersi con una dolcezza incredibile. Ha un carattere forte e una dolcezza un po’ ruvida di ragazza lombarda. La sua fissazione consiste nell’osservare e nel cercare di cogliere la naturalezza e lo sforzo con cui le persone comuni tentano di comunicare, nello studiare la logica dei loro gesti che lei presto trasformerà in danza, musica, partecipazione.
Questa attenta osservazione nella gestualità connessa alla comunicazione richiama alla mente François Delsarte, il teorico francese del XIX secolo che analizzò i gesti e le espressioni del corpo umano, suddividendo i movimenti in tre categorie (eccentrico, concentrico e normale) e le espressioni in tre zone (testa, busto, estremità) per arrivare ad un metodo di insegnamento del movimento.
Il Credo della teoria delsartiana, infatti è che non esiste movimento che non abbia significato; il modo di muovere le singole parti del corpo è sempre indicativo del diverso atteggiamento emozionale soggettivo, delle proprie motivazioni e della differente maniera di reagire alla situazione affrontata.
Delsarte affermò così che la prima regola dell’arte doveva essere la profonda significativa del gesto. La danza, per la Fracci, non deve mirare a sbalordire il pubblico per la bravura dei ballerini; la tecnica non va ostentata, va nascosta piuttosto, in quanto non è altro che lo strumento con il quale l’artista può offrire se stesso.
Il fine è quello di comunicare, di scavare nel profondo dell’animo umano, di chiamare tutti all’emozione di vivere ciò che sta accadendo sulla scena. Il suo viso, le sue mani, il suo sguardo sono sempre altamente espressivi, indipendentemente dalle difficoltà tecniche. È dotata di un forte istinto mimico, tipico delle grandi attrici alle quali è paragonabile anche per la ricerca che compie dentro di sé per ogni personaggio che deve affrontare.
Giulietta Masina si riconobbe nell’interpretazione che la Fracci fece di Gelsomina.
Clives Barnes l’ha definita in un suo articolo sul New York Times “una Duse della danza”. Ma l’artista si riserva uno spazio personale d’inventiva ogni sera, così da rendere unica ogni replica.
La sua storia richiama alla mente le eroine delle fiabe: è la figlia di un tranviere e di una bullonista alla Innocenti di Milano, che diventa una stella. I genitori avevano la passione per il ballo liscio e portavano spesso Carla nelle balere. Entrò alla Scala per caso: un’amica di famiglia, la moglie di un violinista della Scala, le consigliò di provare a sostenere l’esame di ammissione; lei aveva nove anni, fu ritenuta poco idonea, ma poi il suo visino tenero e i suoi occhini colpirono la direttrice, che ci ripensò.
All’età di 15 anni, vedendo danzare Margot Fonteyn, capì che la sua strada era quella e Margot il suo modello. Accettò così tutti i sacrifici, la fatica, gli sforzi, il sudore che la danza richiede. Disse: “Solo se si è sicuri di quello che si vuole ci si dimentica che dentro le scarpette di raso i piedi sanguinano. Ho lavorato, ho lavorato come qualsiasi operaio e per tutta la vita; ed è così anche oggi, senza riposo”.
Divenne prima ballerina alla Scala nel 1958; in quello stesso anno, il grande coreografo John Cranko la scelse come Giulietta nella sua versione di Romeo e Giulietta per la Fenice di Venezia. Eugenio Montale, il noto poeta, scrisse: “Carla Fracci è Giulietta… Carla eterna fanciulla”.
L’anno successivo interpretò per la prima volta Giselle per il Royal Festival Hall di Londra e nacque subito il suo grande amore per quel personaggio che più di tutti l’ha resa celebre e consegnata alla storia della danza. La Fracci portò alle estreme conseguenze la partecipazione interiore al personaggio, provocando così un arricchimento di gesti e movimenti che inserì un po’ per volta; ci fu in particolar modo una chiara scelta espressiva in alcune parti del balletto, considerate fino ad allora convenzionali, e nella sua lettura del balletto la Giselle del primo atto sembra già consapevole di ciò che accadrà nel secondo.
Tra i grandi ruoli romantici che la Fracci interpretò è doveroso ricordare anche la silfide in La Sylphide, il balletto creato da Filippo Taglioni per la figlia Maria, che segnò l’inizio della carriera romantica caratterizzata dal tutù bianco, dal salire sulle punte, dalla leggerezza eterea delle ballerine che sembrano quasi librarsi in aria.
Carla Fracci ne accetta lo stile, le movenze e la concezione, per liberare poi i sentimenti primordiali. La Fracci interpreta i ruoli romantici con coscienza moderna, usa il linguaggio di allora ma dà a quei gesti la sua anima; dove interviene con qualche cambiamento, lo fa sempre attraverso il linguaggio dell’epoca. Il successo che riscosse nel repertorio romantico fu tale che venne paragonata alla Taglioni.
Carla Fracci è anche una grande ballerina contemporanea. Il regista Beppe Menegatti, con il quale è sposata da molti anni, ha allestito per lei numerosi balletti in collaborazione con il coreografo Loris Gai (Il Gabbiano, Macbeth, Pantea, Il Fiore di Pietra, Pelléas et Mèlisande, etc…), in cui la Fracci ha sperimentato l’arricchimento dei gesti moderni, inserendo elementi di mimo su una base classica, ricercando un gesto-guida che rendesse al meglio la caratteristica psicologica principale del personaggio.
Molteplici sono stati gli spettacoli creati per lei e creati sulla sua personalità da vari coreografi (Dio salvi la Regina, Amleto, Ricordo di Isadora Duncan, Shakespeare in danza, etc.) spesso con la regia dello stesso Menegatti. Il repertorio dei personaggi da lei interpretati è sorprendente, per numero e varietà: Francesca da Rimini, Cleopatra, Gelsomina, Salomé, Medea e tanti altri, tutti caratterizzati in modo particolare. Le sue doti di grande attrice le hanno permesso di cimentarsi anche nel teatro di prosa e nel cinema.
Artista poliedrica, sempre in grado di stupire gli spettatori, Carla Fracci così parla di sé: “Per me il ballo è un lavoro, un lavoro come un altro; la mia vita è una vita come un’altra… certo, quando sono lì, per entrare in scena, ancora in mezzo alle cose solite, ma con la mente già nella danza, mi sembra quasi che la vita si possa, si debba vivere tutta insieme, in quel momento…” “Non bisogna perdere mai il senso della dimensione, siamo delle persone
che vivono il quotidiano. La danza è la mia professione, il mio lavoro. Cerco di rispettarlo, con amore e professionalità. Il successo non mi ha dato alla testa ma è la conferma di un lavoro svolto al meglio e di
questo sono molto onorata e gratificata”.
Sara Zuccari
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