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Un passo, una vita: Nureyev e Fonteyn

Nel silenzio sospeso tra le quinte e la scena, c’erano due respiri che si cercavano.

Uno era giovane, impetuoso, come il vento del Nord che porta con sé rivoluzioni e crepe nel marmo antico.

L’altro, più lento ma non stanco, come un fiume che conosce il peso della propria corrente.

Erano Rudolf Nureyev e Margot Fonteyn.

Due anime che la danza non aveva solo unito, ma plasmato in un solo corpo scenico.

Si incontrarono tardi, secondo i codici del balletto. Lui fuggiva da un mondo chiuso, lei sembrava avviarsi verso la fine della sua carriera. Eppure, fu proprio in quel punto che tutto si fece nuovo.

Lui, con la forza cruda e selvaggia di chi ha qualcosa da dimostrare. Lei, con la grazia collaudata di chi ha già vinto tutto, tranne il tempo.

Il loro primo Romeo e Giulietta non fu solo uno spettacolo. Fu una dichiarazione d’amore – non carnale, forse, ma viscerale – all’arte, alla scena, alla reciproca necessità.

Non avevano bisogno di parole. I loro corpi dicevano abbastanza: la piega impercettibile della spalla di lei, il salto impetuoso di lui, la pausa millimetrica prima di un abbraccio coreografato.

Erano poesia in movimento, ma anche carne e sangue, differenze, cicatrici, fiducia.

Nureyev era fuoco, genio, rabbia, desiderio. Fonteyn era eleganza, fedeltà, pazienza, malinconia.

Nessuno seppe mai davvero definire il loro rapporto. E forse nemmeno loro lo vollero.

Ma chi li ha visti danzare, anche una sola volta, ha notato cosa può diventare l’anima quando trova il proprio specchio in un altro essere umano.

Nel loro ultimo spettacolo insieme, quando le luci si abbassarono e il pubblico trattenne il respiro, lui la guardò per un istante più lungo del necessario. Lei, immobile, gli rispose con un piccolo sorriso.

Quel passo non era nella coreografia. Ma diceva tutto!

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

©️ Riproduzione riservata

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