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Il giro del mondo con i Mnai’s

Mnai’s_Around © Frankie hi-nrg mc

Quante volte la danza viene rappresentata in contesti non convenzionali? Moltissime. E anche qualche sera fa, il 19 novembre alle ore 21 al Teatro Duse di Bologna, è successo: la crew d’hip hop dei Mnai’s, vincitrice consecutivamente di tre edizioni dello Street Fighters World Tour, è andata in scena con lo spettacolo Around.

È la storia di una valigia che gira per il mondo, o almeno questo è ciò che i formidabili effetti videografici – curati da Sally Mara Progettazione Grafica – hanno “raccontato”. Ma la vera trama è un’altra, è quella di un gruppo affiatato di ballerini e ballerine che, con un fagotto di paure, ilarità e virtuosismi sulle spalle, vanno a regalare la propria danza dappertutto. I soggetti del plot sono, dunque, gli stessi Mnai’s, pellegrini tra le culture più disparate della Terra, nessuna delle quali disdegnano di omaggiare attraverso movenze ed evoluzioni da street dance.

Il loro (ennesimo) world tour comincia nelle favelas brasiliane, dove il gioco del calcio è l’unica cura contro la disperazione. Risate, scherni e picchi di intrigante mascolinità si mescolano a legwork (roteazioni di gambe) e freeze (pose a terra, in equilibrio sulle sole braccia), fino a quando il rumore di un vetro rotto dal pallone immaginario decreta la fine della partita.

Altro luogo, altra atmosfera, inquietante a dir poco. Il fondale del palcoscenico è la navata centrale di una chiesa cattolica, le luci sono tenebrose, la musica potrebbe provocare tachicardia. Ma i personaggi della scena sono il vero shock: uomini e donne religiosi, osservanti ben oltre la compulsione, obbediscono al volere di un’entità suprema dai paraventi violacei e la statura incontrastante: “purificare” la pelle nera del congolese Carlos (leader della crew), strofinandola via con energica asprezza. È palese: si tratta dell’Italia, contro le cui tradizioni stigmatizzate il ballerino incriminato grida “nooooo!”.

Dove potersi, allora, rifugiare da tali insidie? Naturalmente back to the origins: Carlos torna tra le braccia di Mamma Africa, sentendosi libero, balzando di qua e di là per il palcoscenico e recitando canti in madrelingua. L’avvento della tecnologia e dell’innovazione ha trasformato i villaggi in città, rivestendo i nudi aborigeni di abiti eleganti; ma nonostante ciò la cultura tribale del Terzo Mondo non è stata affatto intaccata: basta un solo braccio scoperto, infatti, e l’istinto primordiale torna ad affermarsi. “There’s no place like home”, diceva Dorothy nel regno di Oz. Mai parole sono state più vere.

Dal calore della savana il bagaglio avventuroso si perde nella gelida San Pietroburgo, tra le grinfie di un burattinaio (interpretato dal bravissimo Kira), magico manipolatore di tre fantocci umani dalle fattezze di carillon, attaccapanni e ballerina in tutù. Anche Carlos è presente all’azione, ma solo come spettatore, immobile e sorridente per altrettanto incanto. Nella magnificenza scenografica di questo “episodio” russo – sullo sfondo la sala del Teatro Mariinskij – le note stridenti e mozzate del carillon svelano la verità: il macchinatore si è abbandonato a se stesso, desideroso d’amore e consolato soltanto dai suoi freddi “giocattoli”. Un pas de deux, a metà strada tra il balletto classico e l’acrobatica, sembra rimediare alle sofferenze, ma l’illusione svanisce presto e la rassegnazione alla solitudine accompagna il protagonista fuori dalle quinte.

Quanto non lontano sia l’Essere umano dall’animale! Soprattutto se immerso in una Natura selvaggia e ostile, come nella location successiva, in cui i corpi dei danzatori riproducono gli atteggiamenti di piccoli ragni velenosi, capaci d’intrappolare la preda nella propria ragnatela per degustarla a poco a poco. Magistrale l’esecuzione delle due danzatrici della crew, Jessica e Bea, snodate negli arti fino all’inverosimile e assolutamente convincenti nella mimica facciale. La voce ipnotica della cantante islandese Björk aggiunge pathos all’azione scenica, contornata dalle vibrazioni di poppin’ e le pose robotiche di tutti i Mnai’s.

Un tuffo negli abissi con una medusa/sirena, volteggiante nel suo vestito di lucine colorate, e la valigia giunge all’ultima tappa dell’itinerario, New York City. L’ambientazione video del boccascena è forse quella del Empire State Building, o di Ground Zero, o del Central Park? Niente di tutto ciò: una stazione metropolitana, tripudio della cultura underground, nei suoi pro e contro. I giovani ballerini presentano al pubblico ogni sfumatura della street dance, aggiungendo alle precedenti il voguing, l’house e l’hustle dance, e rivisitando al contempo stereotipi della società newyorkese upper e underclass.

Nel saluto finale il sottofondo è un remix che suona New York New York di Liza Minelli insieme  all’indimenticabile Singing in the rain, sfumando nella prorompente Another brick in the wall dei Pink Floyd: tre simboli della poliedrica essenza della Grande Mela, dalla quale l’altrettanto poliedrica compagnia italiana riparte, valigia alla mano, performando la “automobile” che ha segnato il loro successo.

Marco Argentina

www.giornaledelladanza.com

Mnai’s / Around © 2015 Magenta Editrice

Mnai’s / Around © Frankie hi-nrg mc

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