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Queen of the Drums: intervista ad Aziza

Queen of the Drums: intervista ad Aziza

 

Danzatrice, master teacher e coreografa, Aziza (presidente dell’ASD/APS “Centro Studi di Danza Musica e Cultura Orientale AZIZA®”) ha dedicato la sua vita alla danza. Da ormai più di vent’anni è divenuta un punto di riferimento per la danza orientale in Italia e all’estero. Il primo grande passo verso questa carriera l’ha mosso a New York, dove è stata esaminata dal Maestro Ibrahim Farrah. I suoi orizzonti nell’apprendimento sono sempre stati molto ampi: studiando con i più grandi maestri mondiali ha acquisito il suo inconfondibile stile. Una delle figure più importanti per la sua carriera artistica è stato ed è attualmente il Dr. Mo Geddawi, considerato il suo “padre artistico”, che le ha recentemente attribuito il titolo di “Queen of the Drums”, a sottolineare la sua inimitabile energia nell’interpretazione del drum solo. Aziza è un’artista poliedrica, è stata ospite dei maggiori Festival mondiali in tutti i continenti: Argentina, Brasile, Corea, Francia, Spagna, Svizzera, Slovenia, Repubblica Ceca, Germania… In Italia tiene percorsi professionali in molte scuole e ha creato il format del corso per insegnanti certificate dal Centro Aziza. Da molti anni è l’unica Master Teacher italiana al celebre Festival Ahlan wa Sahlan de Il Cairo, organizzato da M.me Raqia Hassan e dove, nel luglio 2011, è stata invitata a ballare durante il prestigiosissimo “Closing Gala”, con le maggiori star mondiali. Ultimamente è stata invitata dall’Accademia di Belle Arti di Torino per tenere una conferenza ai laureandi. Dal 2011 è membro del CID, il Consiglio Internazionale della Danza, patrocinato dall’Unesco per le “Nazioni Unite della Danza”. Aziza è regista, creatrice e coreografa di molti spettacoli, che hanno ricevuto i consensi del pubblico e della critica. Altro grande evento al suo attivo è il Festival Internazionale Italiano di Danza Musica e Cultura Orientale “Stelle d’Oriente”, che nel 2011 ha festeggiato la sua decima edizione. Si avvicina alla danza classica all’età di quattro anni, studiando nelle scuole più prestigiose, come quella di Bella Hutter e Loredana Furno. Diplomata all’Accademia di Montecarlo diretta da Marika Besobrasova, è laureata in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo presso l’Accademia di Belle Arti di Torino con una tesi (che ha fatto il giro d’Europa) in Regia e una specializzazione di Scenografa e Costumista Teatrale. Prima di focalizzarsi sulla danza orientale, studia diversi stili: afro, jazz, flamenco, recitazione e molto altro. Ha vinto per molti anni il premio “La Stampa – Big di Torino Sette per la Danza” (1998-2003). È stata ospite di importanti programmi televisivi nazionali. È citata in molti libri. Attualmente Aziza è una dei protagonisti della scena della danza orientale nel mondo.

Ciao carissima Aziza, cosa ti affascina nel misterioso linguaggio “muto” del corpo?

Si dice che: “La danza comincia ove la parola si arresta”. Dietro a un gesto si nascondono mille parole, è un linguaggio muto ma non sordo alle emozioni.


L’espressione e la comunicazione tramite il movimento è ancor più affascinante?

Ciò che mi affascina è veder sviluppare dalle persone la capacità di esprimersi, e quindi comunicare, attraverso il movimento. L’impossibile può diventare possibile se ci si crede davvero.


Hai iniziato gli studi con la danza classica… come ti sei innamorata, da piccola, dell’arte coreutica in generale?

Avevo quattro anni ed ero una bambina sensibile e timida. “Precisina” già da piccola, mia madre mi ha portato alla Scuola di Sara Acquarone. Durante una lezione mi hanno visto letteralmente correre fuori dall’aula. La motivazione (che confessai solo dopo anni a mia madre) era la presenza di un pianista, che ci accompagnava durante gli esercizi, di sesso maschile. Non ci fu modo di farmi tornare sulle mie posizioni. Mi aprirono tutti gli armadi contenenti i costumi di scena per convincermi a continuare e la Signora Acquarone disse a mia madre che doveva insistere perché avevo un dono eccezionale. Dopo qualche anno, a causa della carriera militare di mio padre, ci siamo trasferiti ad Alessandria, dove ho frequentato la sede distaccata della prestigiosa scuola di Loredana Furno. Tornata a Torino nel 1976 ho continuato con lei al Teatro Nuovo seguendola anche quando ha fondato il Balletto di Torino. Da allora non ho più smesso: quell’amore mi ha accompagnata in tutte le mie scelte e mi è stato vicino, mi ha aiutata a crescere e a conoscermi.


Che aria si respirava e quali sono stati i più preziosi consigli ricevuti presso l’Accademia di Montecarlo di cui lei è diplomata?

Sicuramente era un’epoca diversa, nella quale c’era più serietà ed interesse reale allo studio. Devo dire che è stata un’esperienza fondamentale anche se dura. Andavo a Montecarlo nel mese di dicembre, rinunciando alle vacanze natalizie per prepararmi agli esami che avvenivano intorno a Pasqua; è stato un periodo di sacrifici sia per me che per i miei genitori, ma ne è valsa la pena in quanto ho appreso le basi della danza, che mi sono state trasmesse magistralmente. Il più prezioso insegnamento che ho ricevuto però è senza dubbio la “disciplina”.


Un suo ricordo personale per la mitica direttrice, Madame Besobrasova?

Il ricordo più caro è una frase che amava dire: “Io non sono un’insegnante, io sono una maestra, ed è qualcosa di molto di più di un’insegnante”. Questa frase mi è rimasta indelebile nel tempo ed è il mio motto nel lavoro che svolgo da più di vent’anni giorno dopo giorno.


Mentre l’avvicinamento alla danza araba com’è avvenuto?

Sembra incredibile, ma è avvenuto in maniera assolutamente casuale: intorno ai diciott’anni stavo attraversando anni una crisi di identità artistica nei confronti della danza classica e cercavo, provando molti stage di discipline differenti, una nuova scintilla. Mia madre un mattino lesse sulla “Stampa” un articolo intitolato “Come un angolo del Cairo, Torino ospita un seminario di Danza Orientale”: fu amore a prima vista.


L’esserti diplomata in danza classica ti ha aiutato maggiormente poi nello studio della danza orientale?

Sicuramente sì. La danza orientale è una forma armonica di danza fra oriente ed occidente. Il fatto di conoscere il corpo, la tecnica classica e le sue molteplici applicazioni mi ha permesso di avere un vocabolario molto più ampio per esprimermi nell’arte della danza orientale che, in quanto tale, richiede sacrificio, tecnica, ricerca e creatività.


Questa affascinante danza
consente di scoprire il proprio corpo e lasciare emergere totalmente la femminilità, giusto?

Vivere bene la propria femminilità dipende da un delicato equilibrio tra più fattori, tra i quali l’autostima e la percezione corporea. Sicuramente la danza orientale può rivelarsi un valido alleato per rimuovere alcuni blocchi sia psicologici sia muscolari.


Qual è la ballerina orientale a cui ti sei ispirata prevalentemente nella tua carriera?

Non ho mai seguito un modello in particolare, ma la danzatrice che mi ha più colpito e amo maggiormente per la sua personalità è Dina Talaat Sayed Muhammad, in arte Dina: si tratta di un personaggio molto controverso, che suscita le emozioni più disparate. Le cronache parlano spesso di lei, e non soltanto per le sue doti artistiche. È stata ospite del mio Festival per il decennale nel 2011 e più volte ho avuto occasione di lavorare con lei al Cairo e in Marocco. Per dare un’idea del personaggio, una sera ad un Festival in Marocco candidamente mi disse: “Sai, preparavo la valigia e stavo per portare dei pantaloni leopardati… Poi ci ho ripensato, immaginando che li avresti indossati tu!”. La cosa mi fece sorridere perché abbiamo in comune una forte passione per l’“animalier” e per l’abbigliamento sia artistico sia non piuttosto… eccentrico!


La danza classica occidentale è entrata in contatto con il mondo arabo grazie alla sorella di Re Farouk, la quale aveva istituito dei corsi nella Reggia formando artisti che sono poi entrati nella storia della danza orientale, ad esempio Mo Geddawi, Mahmoud Reda, Farida Fahmi, dico bene?

Assolutamente sì: Mahmoud Reda, considerato il Maestro dei Maestri, ebbe la geniale l’intuizione di far conoscere il folklore egiziano anche fuori dall’Egitto. Una sera all’inizio degli anni ‘60 raccontò questa sua idea ai suoi amici del club sportivo Heliopolis al Cairo, tra i quali c’era il dr. Mo Geddawi, il quale accolse la sua idea con entusiasmo. Per rendere possibile ciò, decisero di fondare un gruppo ad hoc: iniziarono il loro progetto formando il gruppo chiamato “Reda Troupe Egyptian Folklore”, assumendo ballerini dall’Università in cui studiava. Farida Fahmy è stata la prima ballerina solista del gruppo.


Hai fondato un Festival a Torino e precisamente il Festival Internazionale Italiano di Danza Musica e Cultura Orientale “Stelle d’Oriente”, me ne vuoi parlare?

Il Festival Stelle d’Oriente, il primo in Italia dedicato alla danza orientale è stato da me ideato e realizzato per la prima volta sedici anni fa con ostinazione, tenacia e dedizione. Le sue edizioni da allora si sono susseguite con puntualità ogni anno, arrivando quindi nel 2017 alla sedicesima edizione. In questi sedici anni “Stelle d’Oriente” ha promosso il cambiamento, la trasformazione e l’evoluzione del concetto di danza orientale in Italia con responsabilità e lucidità, ed è riuscito a promuovere la conoscenza di questa disciplina. Non si è mai trattato solamente di supportare un genere, di avvalorare uno stile o di creare una nuova modalità di fare danza: il Festival, nel tempo, si è anche fatto promotore dell’innovazione dei linguaggi coreutici in grado di raggiungere un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo, di dare spazio alla crescita e alla conoscenza della danza orientale per formare professionisti seri e coscienti del compito che devono affrontare, oltreché dare la possibilità agli appassionati di studiare stili differenti con i migliori maestri di quest’arte.


Che ricordi hai del periodo trascorso
a New York? Da cosa si ti sei lasciata entusiasmare maggiormente nel mondo della danza?

È un bel ricordo che conservo indelebile come tappa fondamentale della mia carriera. Ciò che mi impressionò al tempo fu il numero di persone che popolava i corsi di danza orientale quando in Italia era sconosciuta ai più.


Qual era la maggior dote del Maestro Ibrahim Farrah?

Era un grande professionista e Maestro. Devo dire però che a livello empatico non entrai subito in sintonia con lui: era piuttosto distaccato e poco socievole.


Una delle fondamentali figure di riferimento per la tua carriera è il Dr. Mo Geddawi. Cosa lo rende così speciale?

Il dott. Mo Geddawi è la figura per eccellenza che in questi più di vent’anni di carriera mi ha ispirata e guidata. È sempre stato un maestro generoso perché mi ha trasmesso l’amore per la tradizione, la capacità di insegnare in maniera semplice anche movimenti complessi, e ancora la gioia di donare agli altri mettendo da parte stupidi egoismi. Una volta mi disse: “Per insegnare bisogna essere generosi”: non l’ho mai dimenticato!


Mi spieghi esattamente cos’è il Drum solo?

Il drum solo è una musica composta unicamente di percussioni. La darbuka è lo strumento principale a percussione utilizzato per queste composizioni musicali, ha forma di calice ed è a membrana singola. Il tamburo darbuka è tra le percussioni più conosciute, grazie alla grande varietà di suoni e timbri che può emettere: da quelli più acuti e brillanti fino ad arrivare a sonorità profonde e gravi. Il suo nome sembra derivare dalla parola araba “darba”, il cui significato è “colpire”. Per via della sua capillare diffusione nei paesi arabi, viene chiamata in diversi modi a seconda delle aree geografiche; alcuni nomi sono: derabuka, tabourka, darabukas, doumbek, darabukat, tarabuka. Nella musica araba le percussioni hanno una grande importanza; di conseguenza nella danza Orientale il momento performativo della danzatrice che si esibisce dal vivo sulle percussioni è il virtuosismo per eccellenza. Danzare sulla percussione significa accordare il corpo con la musica, fondersi con essa e disegnare con il corpo ciò che ascoltiamo. Tra la danzatrice e il percussionista si crea un vero e proprio dialogo, arrivando a diventare un tutt’uno inseparabile, attraverso un continuo scambio di energia tra loro. Si tratta a tutti gli effetti di un linguaggio: ad ogni passo la musica risponde con un particolare accento della derbouka e viceversa. Questo è reso possibile in quanto la danza orientale risveglia il senso d’armonia con il nostro corpo, il piacere di sentirlo accordato su un ritmo, e i movimenti che la caratterizzano sono capaci di accordarsi a questi suoni.


Che emozione hai provato a salire per la prima volta in scena al Festival “Ahlan wa Sahlan” al Cairo, organizzato da M.me Raqia Hassan?

Sarò sempre riconoscente a M.me Raqia perché da semplice stagista mi ha notata e fatta crescere, dandomi la possibilità di esibirmi e insegnare ai massimi livelli in quello che è il primo e il più prestigioso Festival del mondo. Mi ha fatto conoscere a livello internazionale. L’emozione di salire sul palcoscenico del Cairo è stata immensa: esibirsi davanti ai più grandi nomi della Danza Orientale, in una cornice dorata e magica come quella del Mena House, in cui sono appese alle pareti a grandezza naturale le immagini delle leggendarie Samia Gamal, Tahya Carioca, Naima Akef, che sorridono e si mostrano ancora vive tra noi.


All’Accademia di Belle Arti di Torino ti sei anche laureata in “Arti Visive e Discipline dello Spettacolo”, che percorso è stato?

È stato un percorso difficile ma mi ha dato grande soddisfazione, culminato con un sudato 110 e lode nel 2005 con una tesi dal titolo TAKS/RAKS (rito/Danza) sulla ritualità nella danza dalla tradizione ad oggi. La tesi è stata scelta da un comitato scientifico diretto dal Prof. Bitonti per rappresentare l’Italia in diverse Accademie europee. Mi ero in un primo momento diplomata all’Accademia Albertina di Belle Arti; in seguito a causa della riforma Moratti mi è stato proposto dall’Accademia stessa di tornare e laurearmi. Era il 2003 avevo già la scuola e la decisione non è stata facile: lavorare e studiare contemporaneamente richiede di impiegare almeno il doppio delle energie in quanto la concentrazione non è proiettata su un unico piano, ma deve scindersi in due contesti differenti. Per riuscirci occorre perciò una buona dose di forza, energia e costanza. Ho dovuto affrontare molti sacrifici, ma ero determinata e sono stata felice di averlo fatto perché ho acquisito una professionalità maggiore per il mio lavoro.


In seguito hai fondato l’Associazione Centro Studi di Danza Musica e Cultura Orientale Aziza. Che scopi persegue?

Il Centro AZIZA è un centro di ricerca e insegnamento che ha per scopo la diffusione e la promozione della danza, della musica e della cultura mediorientale e mediterranea. Il Centro nasce a Torino nel 1996, vede l’apprendimento della Danza Orientale come arricchimento del patrimonio culturale individuale attraverso l’organizzazione di corsi settimanali, stage, conferenze, spettacoli e viaggi studio. È da anni un riferimento culturale sia per chi cerca un corso di danza tenuto da insegnanti professionalmente qualificati, sia per chi desidera avvicinarsi all’espressione culturale ed artistica del mondo arabo.


Qual è il ruolo dell’uomo, se esiste un ruolo per lui, nella danza del ventre?

La danza del ventre è prettamente femminile; l’uomo o danza il folklore o apprende la danza per poterla trasmettere, come avviene in tante discipline di danza dove, pur non danzando le parti femminili, Maestri di sesso maschile ne trasmettono la tecnica.


Questa danza credo insegni il dialogo tra maschile e femminile, una sorta di confronto?

Non necessariamente, la donna danza innanzitutto per se stessa, per piacersi e di conseguenza chi si piace è seduttivo nei confronti degli altri.


Cosa si impara, a livello di tecnica, frequentando un corso di danza del ventre e quanto c’è di innato in una donna che sceglie di danzare?

La danza orientale è sia un linguaggio del corpo sia uno studio del movimento, unisce tecnica e improvvisazione. Si praticano movimenti ancestrali e quindi accessibili a chiunque, si tratta solo di riscoprirli dentro di noi. La danza dona un corpo forte, sensibile ed espressivo: ad ogni età e con ogni livello d’interesse si può intraprendere lo studio della danza orientale a livello amatoriale. Per farne una professione ci sono invece requisiti di dote di base come in tutte le danze.


Il velo, oggetto culto, cosa rappresenta esattamente nella danza orientale?

Ci sono diverse discussioni sull’origine della danza con il velo. Le ricerche sull’argomento hanno individuato degli stili di ballo che possono aver influenzato la danza con il velo che oggi conosciamo; in diverse aree geografiche si possono infatti incontrare danze con i veli, con la sciarpa, con gli scialli, oppure con i fazzoletti (uno o due), agitati nell’aria attraverso un veloce movimento rotatorio. Alcune di queste danze ancora sono presenti in Algeria, Marocco e Tunisia. La danza col velo come la conosciamo oggi ha invece le sue radici nel Novecento. Ci sono due diversi stili di danza con il velo che fanno parte della storia contemporanea e sono quelli che conosciamo oggi come lo stile egiziano e lo stile americano. Nello stile egiziano la danzatrice entra in scena con il velo ma lo abbandona quasi subito, in quanto il velo in sé è connotato da un significato religioso e di appartenenza, che provoca una sorta di pudore nelle danzatrici, le quali non sono propense a giocarsi eccessivamente. Lo stile americano, così chiamato in quanto è nato negli Stati Uniti, è invece meticcio, in quanto è il risultato delle influenze reciproche di diverse culture. Questo stile si ispira fortemente alla danza serpentina di Loie Fuller, grande protagonista della meravigliosa Parigi dei primi del Novecento; il velo è qui sentimento, percezione, rappresenta l’aria, il movimento leggero delle ali della farfalla. Per questi motivi, la danza con il velo è da considerarsi una danza di fantasia nel senso che non ci sono passi o musiche strettamente correlati a questo stile.


Mentre il ventre oltre ad essere la centralità da cui tutto nasce a quale altro significato appartiene?

Il ventre con cui viene identificata questa danza ha in sé un significato contraddittorio, che può essere rifiutato o amato: da un lato ci invita a seguire i nostri istinti viscerali, dall’altro sottolinea l’impegno a vedere al di là delle apparenze, ma soprattutto la “danza del ventre” sfida gli stereotipi legati al nostro corpo. Il ventre ha inoltre la sua musica e un suo linguaggio: imparare ad abitare il corpo in maniera libera ci fa essere più aperti alla vita. Anche la respirazione è fondamentale, in quanto quella che utilizziamo in questa danza è quella addominale: il ventre diventa focus e nella sua espansione e contrazione avviene una continua rinascita.

 

Quali benefici ne trae una donna imparando la danza del ventre anche non facendo parte di questa cultura?

Esistono numerosi benefici per il corpo e per la mente che vengono associati a questo tipo di danza. A livello fisico si verifica un miglioramento della circolazione sanguigna, del transito intestinale, dei dolori mestruali e di quelli della colonna vertebrale, sia a livello lombare che cervicale, mentre a livello psicologico i vantaggi ottenibili sono stati spesso indicati in termini di rilascio delle tensioni, di acquisizione di una maggiore consapevolezza corporea, di un senso di rinascita e di riscoperta della femminilità.


La danza del ventre non è esclusivamente folclore, ma è un percorso dove è contemplata anche la recitazione, la respirazione e la danza stessa; è un linguaggio teatrale che ingloba e comprende diversi linguaggi giusto?

La danza del ventre è per natura meticcia, comprende diversi stili e modi di interpretazione. Sebbene abbia un suo linguaggio caratteristico, è una manifestazione dinamica, è qualcosa di personale e unico che riguarda ogni donna con la sua storia e le sue esperienze.


La Storia cosa ci insegna sulle danze arabe, come e dove nasce la danza del ventre, ad esempio?

La danza del ventre, così come la conosciamo oggi, ha origine da diversi luoghi e tempi. Il termine per indicarla in lingua originale è Raks Sharqi, lett. “danza orientale”; si tratta di un’arte antica le cui origini sembrano risalire ai culti religiosi della madre terra, praticati nelle antiche società matriarcali della Mesopotamia per propiziare la fertilità e celebrare il parto. Essa è stata tramandata e reinventata nei secoli fino a diventare patrimonio etnico delle popolazioni del Sud del Mediterraneo, fino alla Turchia e in parte alla Grecia. Durante l’impero ottomano assunse degli aspetti più raffinati, si diffuse molto negli harem dei califfi, ma da un punto di vista religioso fu penalizzata e considerata una danza lasciva e oscena. Nel periodo ottomano che lega quest’ultima evoluzione fin quasi ai giorni nostri, questa danza visse tempi oscuri e malfamati. Poté diventare una forma artistica autonoma e degna dei palchi più prestigiosi grazie all’intraprendenza di una Signora libanese vissuta in Egitto, Badia Mansabny (1892-1974), che con grande forza di volontà riuscì ad elevarne la dignità. Per riuscirci, allestì un locale in stile occidentale che aprì nel 1926, considerato il primo Music Hall egiziano, che chiamò “Casinò Opera”. Il locale divenne famoso come “Casinò Badia” o “Cabaret Madame Badia”; al suo interno le danzatrici potevano esibirsi esaltando le qualità artistiche e storiche di quest’arte. L’occidente a sua volta scoprì l’esistenza di questo mondo nell’Ottocento, grazie ai viaggiatori francesi che si recavano in Egitto e fece subito della danza del ventre il simbolo di una sensualità orientale da sogno. La danza del ventre non è una danza “pura”, e proprio questa peculiarità ne ha garantito la vitalità e ha stimolato l’interesse di molti artisti, rendendola ad oggi ancora attualissima.


Esiste un’età giusta per approcciarsi a questa disciplina?

Come non esistono taglie e misure ideali per intraprendere un percorso di danza del ventre, così non esiste un’età “giusta”: la donna che si avvicina a questa disciplina trova la bellezza del corpo attraverso il movimento.


Quali sono i simboli più frequenti e ricorrenti che sottolineano l’aspetto artistico?

La danza è un’arte performativa per cui, ad esempio, il costume è molto importante: quello che oggi viene considerato il costume tipico, ovvero reggiseno e gonna, è un retaggio della cultura occidentale, mentre i costumi tradizionali sono legati a una danza più di folklore.


Quanto è stato lungo il tuo cammino per raggiungere la consapevolezza di un obiettivo ad alto livello?

Per raggiungere il mio attuale livello, ho dovuto compiere un lungo cammino, fatto di difficoltà, ma anche di tantissime gioie. Il mio valore più grande è la consapevolezza che non si finisce mai di imparare. Ritengo che sentirsi “arrivati” sia l’inizio della fine. Il mio percorso è una ricerca continua, un cammino in crescita. Crescere significa aggiornarsi, sperimentare, rinnovarsi: per poter dare all’arte e alle allieve, occorre prima ricevere stimoli, elaborarli e infine trasmetterli secondo la propria personalità. È un lavoro faticoso ma stimolante imprescindibile per un buon artista e insegnante.


Tu sei sempre alla ricerca, una continua ed inevitabile crescita è in atto, giusto?

Sì, la mia ricerca si svolge su due livelli complementari, sia a livello tecnico sia a livello interiore, in quanto la differenza tra un ballerino bravo, cioè tecnicamente preparato, ed uno speciale, cioè un artista, è nel cuore, non nelle doti fisiche, nel corpo o nella tecnica, che sono solamente un mezzo per esprimersi al meglio. Una volta in scena il pubblico percepisce ciò che si ha dentro.


Come definiresti il tuo stile, il tuo modo di ballare?

Penso di avere uno stile personale, frutto del connubio tra il lavoro di una vita dedicata alla danza e la ricerca incessante ed appassionata di stimoli e approfondimenti legati alla cultura, alla musica e al movimento. Ognuno è unico nel suo modo di danzare, soprattutto in un’espressione artistica come la nostra in cui la capacità di comunicare emozioni molte volte supera il gesto puramente tecnico. Ciò che mi spaventa di più è l’omologazione, vale a dire l’imitazione di modelli predefiniti che purtroppo oggi è molto diffusa.


Tahiya Caryoca per chi non la conoscesse quale valore aggiunto ha portato nel mondo della danza araba e quali altre artiste desideri menzionare?

La ballerina è scomparsa a 79 anni nel 1999; ho avuto la fortuna di conoscerla a Berlino durante uno show organizzato dal mio Maestro il dr.Mo Geddawi nel 2010 ed è stata un’emozione indescrivibile trovarmi a condividere il palco con una leggenda della danza orientale. Era conosciuta come la Marilyn Monroe del mondo arabo per le sue raffinate coreografie, con le quali portò nella danza modernità. Fu molto attiva politicamente, il che le costò più volte la prigione; infatti molte danzatrici, sia del passato sia attuali hanno una forte coscienza sociale e politica e talvolta usano la loro popolarità per trasmettere messaggi di notevole spessore. Una danzatrice che amo molto e ho ospitato nel mio Festival è stata Nagwa Fouad: grandissima artista, è amata dal pubblico egiziano e non solo, ed è considerata la figura di passaggio dalle Dive del cinema in bianco e nero alle Dive della modernità degli anni ‘70. Un’altra artista, già mia ospite sempre al Festival e che ho avuto modo di conoscere approfonditamente durante i miei molteplici soggiorni al Cairo è Fifi Abdou. Grande manager di se stessa, ha saputo, dopo aver smesso di danzare, diventare un’attrice di grande successo, arrivando ad essere pagata con cifre astronomiche; anche lei come altre danzatrici famose, pur essendo credente e avendo fatto il pellegrinaggio alla Mecca, ha sempre affermato e difeso la danza e la sua identità di donna libera.


L’insegnamento quanto ti piace, quale metodo applichi e da quali basi usi per divulgare la tecnica?

Per me insegnare è molto importante ed è la mia grande passione. Lavoro con un gruppo misto, con persone differenti diverse tra loro per età, abilità, ecc. Ciò che metto in pratica riguarda il movimento e il benessere fisico. Imparo ogni giorno dalle mie allieve e da loro traggo spunto per nuove emozioni e per creare combinazioni sulle quali lavorare. La mia tecnica si fonda sullo studio delle basi della danza e sulla loro applicazione sul ritmo, passaggio questo che non è possibile trascurare per ottenere una conoscenza completa della danza orientale, arrivando quindi ad impadronirsi del linguaggio che unisce ritmo e tecnica. Ci sono, infatti, passi che devono necessariamente essere utilizzati su un determinato ritmo e non su un altro. Man mano che l’allieva progredisce, si passa allo studio di una tecnica più complessa che comporta: studio della musica e dei diversi stili, completi di cenni storici, fino ad arrivare alla tecnica dell’improvvisazione, che è fondamentale per una buona danzatrice. Una ballerina deve essere in grado di esibirsi dal vivo, anche con un “ensemble” musicale o un percussionista con il quale non abbia mai lavorato. Con una forte tecnica e una buona conoscenza musicale si supera ogni ostacolo. La spontaneità emotiva è infatti tipica della danza e della musica araba. Per questo motivo l’improvvisazione è l’anima stessa di questa disciplina: solo padroneggiandola si può arrivare ad essere delle vere danzatrici.


Quanto è importante la conoscenza musicale?

È molto importante: ascoltare tanta musica, anche di diversi generi è fondamentale. Chi si avvicina per la prima volta a queste sonorità, anche se ha un orecchio poco esperto, riesce facile distinguere due elementi fondamentali: il ritmo e la melodia. Proprio su questi due elementi che si basa la musica per la danza: il ritmo viene scandito dagli strumenti a percussione (che si dividono in percussioni a calice e a cornice) mentre la melodia è prodotta da strumenti a fiato e a corda. Di conseguenza, i movimenti si connotano secondo questi due filoni. Per la connotazione dello stile invece bisogna fare un distinguo tra stile popolare e stile classico, e la musica ci guida in questa distinzione attraverso la presenza di sonorità appartenenti alla tradizione o meno.


La danza del ventre si basa molto anche sull’improvvisazione per lasciar sprigionare spontaneità e femminilità in libertà?

Muoversi significa commuoversi. Nella tradizione araba il movimento si traduce nell’ascolto della musica e in ciò che istintivamente riproduciamo nello spazio. La differenza fra coreografia e improvvisazione è che la prima segue un disegno predefinito mentre la seconda è una manifestazione spontanea e immediata delle proprie emozioni.


Nella cultura araba di quale peso gode la danza?

La danza è sempre stata controversa nella cultura araba. Non c’è celebrazione pubblica o occasione di festa, come un fidanzamento, matrimonio, ecc. senza danza, ma dire a qualcuno che è: “Figlio di una danzatrice del ventre” è un insulto. Questo disprezzo ha radici in una lunga tradizione, che risale all’epoca dell’occupazione francese dell’Egitto. Ancora oggi per ballare serve un permesso governativo, e una certa ipocrisia permane: se da un lato il governo reprime le danzatrici in nome della moralità pubblica, dall’altro le usa per fini politici. Dopo la guerra del 1973 con Israele, Kissinger faceva la spola in vista degli accordi di Camp David; e l’Egitto faceva in modo che la sua danzatrice preferita, Nagwa Fouad, si esibisse per lui a porte chiuse. Questo accade poiché la danza sfida una religiosità che vede ogni esibizione come un atto impuro, e la danza orientale è sempre stata fraintesa e associata al disonore. Questo ne fa un’arte sovversiva, ed è il motivo per il quale gli arabi, e in particolare gli egiziani, apprezzano la danza al punto che letteralmente la “divorano” su Youtube ma non hanno rispetto per le danzatrici.


So che ami molto danzare al ritmo delle percussioni, perché?

Perché è una vera e propria esaltazione dei movimenti e del corpo: la percussione aumenta il tono adrenalinico, l’allerta muscolare, la reattività fisica ed emotiva, con valenze diverse a seconda del contesto in cui viene espressa. Quando danzo sento a livello istintivo e ancestrale, percepisco fisicamente più che ascoltare con le orecchie, mi dona una scarica di adrenalina incredibile!


Nello danza araba ci saranno sicuramente diversi stili, come si differenziano e hanno dei canoni e dei codici ben precisi?

Possiamo suddividere, semplificando, gli stili in tre principali filoni: la danza orientale come la conosciamo oggi nasce dall’esigenza di renderla adatta a un palco. Le sue principali caratteristiche sono: eleganza, l’utilizzo del “relevè”, l’uso ampio delle braccia e di una tecnica di movimento sofisticata. Il “baladi” è invece una danza popolare cittadina che si sviluppa nei primi del ‘900, quando l’Egitto vive una forte crescita industriale che porta gli abitanti dalla campagna alla città. Mantiene del folklore il senso di ancoraggio a terra, ma ha passi più articolati. L’uso delle braccia si accresce. L’interpretazione è la vera differenza: nel folklore c’è solo allegria, mentre nel “baladi” c’è anche malinconia e nostalgia. Il folklore, che varia di paese in paese, ha una maggiore connessione con il terreno rispetto ad altri stili, gli accenti sono più marcati, il piede è sempre a piatto, l’utilizzo delle braccia è minimo, i movimenti di bacino e delle spalle sono molto grandi.


A volte la danza del ventre è vista come una danza erotica, ad uso di turisti e villaggi ma gli aspetti più salienti derivano da ben altra storia che affonda nelle radici e tradizioni di un popolo?

Nell’immaginario comune è una danza di seduzione fine a se stessa. I pregiudizi intorno ad essa sono tantissimi e duri a morire. L’origine delle dicerie sulla danza del ventre risale ai viaggi degli occidentali nelle terre arabo-islamiche durante il periodo coloniale e alla visione distorta dell’Oriente e delle sue donne che, in certi casi, ci accompagna ancora oggi.


C’è ancora molta superficialità, oggi come oggi, in Italia nell’insegnamento di questo tipo di danze?

Non è sufficiente la passione e un discreto talento per riuscire a condividere le proprie conoscenze con altre persone, ma sono necessarie altre caratteristiche molto importanti, sia per quanto riguarda la regolarizzazione della professione sia alcuni fattori individuali, dei quali ho già accennato “infra”. Per quanto riguarda invece la regolarizzazione della professione, per potersi fregiare del titolo di istruttore o maestro di ballo, un ballerino dovrebbe prima di tutto possedere una piena conoscenza e padronanza della disciplina che vorrebbe insegnare. Per rendere possibile ciò dal 2008 organizzo corsi per la Formazione degli insegnanti di danza orientale; al termine del corso, la preparazione del candidato viene valutata attraverso un esame finale. Una volta superatolo con esito positivo, si otterrà il diploma e il tesserino di istruttore. Il mio corso è qualificante e qualificato in quanto sono a capo del Settore Danze Orientali ed Etniche per l’ASI, ente riconosciuto dal Coni, settore questo che ho attivamente contribuito a creare. All’interno dell’ASI è presente un albo professionale che si può liberamente consultare per verificare se l’insegnante dal quale si vuole studiare è titolato o meno. Si tratta di un progetto sul quale lavoro con costanza e nel quale veicolo molte delle mie energie perché mi interessa tutelare sia la danza stessa che le persone che intendono praticarla, perché coloro che si affidano in buona fede ad insegnanti non qualificati rischiano di procurarsi danni non indifferenti a livello posturale e muscolo-scheletrico.


La postura credo sia l’aspetto più preponderante nella danza del ventre?

La postura è la posizione globale del corpo. La postura ottimale facilita il lavoro muscolare: il lavoro su di essa è molto delicato perché rivela il proprio carattere con il proprio bagaglio di emozioni e insicurezze.


Quanto è fondamentale viaggiare ed essere curiosi per conoscere il folclore dei diversi paesi arabi per il tuo lavoro di danzatrice e docente?

Lo studio della cultura araba, intesa anche come esperienza del quotidiano, per me è fondamentale. Ho sempre cercato di vivere la cultura facendo tesoro dei sapori, degli odori, dei colori e dei suoni del mondo arabo. Ho avuto anche la fortuna di viaggiare molto, dal Magreb al Medio Oriente, e questo mi ha indubbiamente arricchita, non solo professionalmente ma anche umanamente.


Insegnante e danzatrice: differenze e punti in comune?

Ho sempre coltivato entrambi i ruoli. Insegnare mi dà grande soddisfazione, trasmettere il mio sapere è per me molto importante. Essendo andata molto spesso all’estero, ho potuto imparare i diversi metodi d’insegnamento sulla mia persona che ho successivamente messo in pratica con le allieve, e mi sono serviti per impostare un metodo personale. In questi anni, per la precisione ventuno, ho potuto verificare i risultati e quale fosse il metodo migliore per l’insegnamento di base e non. È necessaria tanta pazienza e riuscire a far amare la danza. Insegnare è un’arte, una scienza e un dono: è il dono di saper lasciare il segno nella mente di chi si predispone all’apprendimento. L’insegnamento della danza non è per tutti; è indispensabile essere generosi, curiosi, autorevoli e armati di grande passione e pazienza. Bisogna saper trasmettere agli altri quanto si è appreso e allo stesso tempo essere una danzatrice, poiché l’esperienza sul palco ti concede di liberare e di esplorare parti inedite di te stessa. In questa danza i due ruoli non possono essere svincolati perché l’esperienza di danzatrice è fondamentale per poter trasmettere nell’insegnamento la vera essenza della stessa, il “mood” che la caratterizza.


Mi puoi dire qualcosa in merito all’atmosfera che si crea durante una lezione di danza orientale?

La prima cosa da fare è mettere a proprio agio le persone. La lezione deve essere animata da un clima sereno e di complicità, priva di competizione.


Quanto è importante la sincronizzazione in gruppo?

Nel lavoro di gruppo è importante creare un’atmosfera di cooperazione e complicità.


Praticare la danza orientale influisce sull’aspetto fisico?

Garantisce un buon tono muscolare, sviluppa la coordinazione, la grazia e la postura, stimola la frequenza cardiaca, il metabolismo e la circolazione. Tutte queste cose assieme contribuiscono a migliorare la percezione di noi stesse e a farci quindi sentire più attraenti.


L’indossare le cinture tintinnanti, quale valore ha nella cultura araba?

La cintura con le monetine nei secoli ha avuto, tra mito e storia, un grande significato: la sua forma circolare rappresenta un cerchio che protegge, una barriera verso l’esterno, che preserva la parte più delicata e fragile della donna, quella legata alla procreazione. La cintura, anche senza monete, ha comunque dal punto di vista estetico una sua utilità: circondare i fianchi e quindi metterli in evidenza, sottolineandone i movimenti caratteristici. A lezione però prediligo l’uso di una cinta senza monete, per evitare di coprire troppo la musica in quanto ad ogni movimento corrisponde un tintinnare metallico che distrae dalla musica e deconcentra dall’esecuzione dell’esercizio. Questo però, durante le lezioni in aula: infatti a seconda del costume, dello stile, a volte anche della situazione, nella danza orientale si possono usare cinte con monete, fusciacche, scialli, anche un semplice foulard legato in vita: ma certo evidenziare la linea dei fianchi è importante in questa danza che si concentra proprio nell’energia e nei movimenti del bacino.


Perché negli ultimi anni le donne occidentali si scoprono cosi interessate alla danza orientale?

È un viaggio alla riscoperta della propria femminilità, intesa come universo di codici, intesi come movimenti ancestrali, semplici e allo stesso tempo misteriosi.


La danza ha anche un potere curativo e terapeutico?

Il ballo determina un aumento delle endorfine: questo facilita un maggior benessere fisico ed emotivo. Il ballo, inoltre, evoca giovinezza, bellezza, grazia, e incoraggia la nostra capacità interpretativa ed espressiva, è una vera e propria “terapia della vita”.


Per coloro che non hanno la cultura araba e non conoscono questa danza se non magari a livello turistico da dove si può cominciare per affascinarli e trasportali in un viaggio culturale artistico di indubbio fascino e incanto. Prima di iniziare un corso di danza del ventre qual è l’aspetto più importante per approcciarsi al meglio?

Ogni cultura ricerca esotismi e se ne appropria: troppo spesso nei viaggi organizzati nei paesi arabi la danza che viene proposta è ben lontana dalla realtà. Bisognerebbe cercare di andare oltre questi stereotipi e vivere quei momenti e quegli spazi in cui le donne arabe vivono la danza, che non è quella dello spettacolo ma quella vera, fatta di gesti e movimenti naturali, femminilità allo stato puro. Il modo migliore per andare incontro alla danza è aprire i sensi, abbandonarsi all’idea che attraverso il corpo e la danza araba si sperimentano emozioni infinite.


Questa danza è fatta per le donne e un uomo in questo frangente la insegna ma non la balla. Perciò si può dire che la danza orientale è solo femminile, non è un ballo di coppia?

Negli stili popolari troviamo la pratica di danzare in gruppo o in coppia. La danza popolare o tradizionale è una danza appartenente al popolo, creata ed eseguita dal popolo, a differenza della danza folcloristica o folk che ha sì le sue origini nella danza popolare, ma non è più eseguita dal popolo bensì da gruppi di ballerini specializzati o gruppi di danzatori amanti delle tradizioni. Generalmente la danza popolare è legata ai momenti di festa della comunità e viene danzata da ballerini spesso non professionisti, ma da attenti studiosi delle tradizioni specifiche delle loro zone di provenienza del mondo arabo.


Mentre nella danza folcloristica egiziana c’è spazio anche per gli uomini?

Certamente, anzi, si può citare il caso della “dabka”, nata come danza maschile per i momenti di festa in cui le donne partecipavano solo con il battito di mani e gli applausi, e sono state inserite nel ballo in un momento successivo. La “dabka” simboleggia la conquista e la forza maschile, in cui l’uomo dimostra le sue capacità attraverso il saltare, il battere i piedi con vigore e di eseguire a tempo delle mini-acrobazie. Il ballo si svolge in semicerchio, al cui inizio si posiziona chi guiderà il gruppo, solitamente il più abile; alla sua sinistra seguono gli altri ballerini che si tengono mano nella mano, che seguono a ritmo di musica i passi, i movimenti e le sequenze comandate dal capogruppo.


Però ricordo di aver letto che ci sono anche alcuni danzatori celebri, che si esibiscono, nella danza del ventre. Dico male?

Sì, ci sono diversi ballerini nella danza orientale; in fondo, ognuno di noi ha un corpo, un’anima e una coscienza: perché dunque non dovrebbe danzare? È documentato anche in diverse epoche storiche che gli uomini hanno danzato.


Ci sono nel mondo arabo, ad esempio in Egitto scuole che preparano a diventare maestri di danze orientali e del ventre?

No, non ci sono in Egitto istituzioni ufficiali per questo. Un tempo c’era la “Reda Troupe”, in cui hanno studiato il Dr. Geddawi e tanti altri. In seguito alla “Reda Troupe” si sono formati altri gruppi, che si sono sviluppati nel tempo e hanno formato ballerini e insegnanti. Inoltre ci sono invece molte danzatrici che danno lezioni private, o si possono prendere lezioni di folclore da coloro che danzano nei gruppi di folclore locale. Alla base di un simile percorso c’è la consapevolezza che, se si è veramente interessati alla danza orientale, si deve vivere nei paesi arabi e lavorare duramente per poter arrivare a cogliere la vera essenza di questa meravigliosa danza.


Per concludere, cara Aziza, un tuo pensiero per dipingere al meglio questa meravigliosa disciplina?

Continuare a lavorare affinché la Danza orientale possa occupare il posto che merita, al pari delle altre danze perfezionando un linguaggio che possa renderla ulteriormente universale, lavorare con le giovani generazioni per far comprendere che il percorso artistico richiede sforzo, dedizione e disciplina.

 

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

Foto di Margherita Demichelis e archivo

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