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José Galán: “La danza è l’equilibrio tra studio ed esperienza” [ESCLUSIVA]

Galan Ph. Massimo Piccinini

José Galán, danzatore, coreografo, pedagogo, fondatore e direttore della Compañia de Flamenco Integrado José Galán, è il pioniere del Flamenco Inclusivo, un progetto innovativo ed unico, che permette a tutti, anche a chi ha differenti abilità, di imparare il flamenco migliorando la conoscenza di sé e le proprie capacità espressive. Nella sua accezione la danza non è solo un’arte, ma un potente strumento di comunicazione che mette in correlazione corpo e mente, in grado di abbattere le barriere e consentire di andare oltre quelli che sembrano limiti, dunque danza intesa come mezzo per facilitare lo sviluppo delle capacità fisiche e psichiche di tutti, senza escludere nessuno. Nel 2010 José Galán ha istituito una sua compagnia e attualmente viaggia in tutto il mondo per diffondere il suo metodo che è anche una filosofia e un nuovo modo di intendere il Flamenco. Nell’ottobre 2018 per la prima volta ha portato il Flamenco Inclusivo anche in Italia, grazie a un workshop che si è svolto a Fiorano Modenese. In questa intervista si racconta in esclusiva al Giornale della Danza.

Cos’è il Flamenco Inclusivo?

Il Flamenco Inclusivo è il Flamenco per tutti. Comprende tutte le persone senza alcuna distinzione e con piena partecipazione. Non conosce barriere, confini, età, razza, sesso, è universale, come è stato dichiarato nel 2010 e io lo rendo realtà.

A che punto della Sua carriera ha deciso di intraprendere questo percorso e cosa La ha spinto a farlo?

Non avrei mai immaginato che il destino mi avesse riservato questa missione. Quando ho conseguito la mia laurea in Scienze dell’Educazione all’Università ho unito le mie conoscenze pedagogiche alla danza e nel 2004 ho iniziato a dare lezioni a persone con disabilità intellettive, attività che ho svolto per un anno. Ma, nello stesso tempo, la mia carriera di ballerino di flamenco mi chiamava e mi sono trasferito dalla mia città natale, Siviglia, a Madrid per unirmi alla compagnia di Sara Baras, pur continuando ad approfondire il teatro e la danza inclusiva. Il 2010 è stato un anno decisivo, perché sono tornato a Siviglia per creare la mia prima compagnia di danzatori diversamente abili, con la quale ho presentato in anteprima il mio primo spettacolo Cierra los ojos y mirame alla Bienal de Sevilla. Le motivazioni di questa scelta sono state personali e professionali, poiché il Flamenco Inclusivo non esisteva, dunque ho deciso di essere il pioniere e il promotore di spettacoli di Flamenco Inclusivo a livello professionale.

Potrebbe definirlo un metodo? Un approccio? O altro?

È lo stesso lavoro, ma a tre livelli: è un approccio, inteso più come una stimolazione in cui conta più l’espressione fisica attraverso il Flamenco quando si tratta di persone con gravi disabilità. È una metodologia vera e propria sviluppatasi dalla mia formazione e dai tanti anni di esperienza in ambito pedagogico e come insegnante di Flamenco per persone con diversi tipi di disabilità che hanno difficoltà di accesso alle scuole normali. È un laboratorio di ricerca coreografica per creare danze adattate alle caratteristiche di ciascun artista prendendo i limiti creativi come punto di partenza e potenziando le capacità di estrinsecazione artistica.

L’esperienza più significativa nel Suo cammino pedagogico?

È difficile sceglierne una. Ogni persona è unica e così la sua capacità di imparare. Insegnare Flamenco a persone cieche o sorde è molto interessante, perché si lavora con menomazioni sensoriali che tuttavia sono compensate dallo sviluppo di altri sensi. Le persone con patologie mentali trovano nel Flamenco uno strumento adatto di riabilitazione in cui incanalare le proprie emozioni. Ma la mia sfida è rivolta soprattutto alle persone che non sono in grado di deambulare. Le possibilità coreografiche di ballare sulla sedia a rotelle rappresentano un compito difficile dal momento in cui il Flamenco è una danza caratterizzata dal lavoro di zapateado.

Come si svolgono le Sue classi?

Esattamente come le classi per persone senza disabilità: riscaldamento, tecnica, coreografia e improvvisazione. Ciò che cambia è la relazione insegnante-allievo, poiché è un tipo di insegnamento inclusivo, che si concentra sullo studente e non sulla materia, che richiede progressi, ma non valuta e non giudica, è condivisione e compete con l’arte.

È una danza senza limiti, a Suo avviso questo messaggio è inteso nel contesto attuale?

Il Flamenco Inclusivo non ha limiti. Ogni individuo ha il diritto di accedere alla cultura, di parteciparvi attivamente come cittadino. Io ho sia allievi provenienti da workshop di livello amatoriale che ballerini professionisti con disabilità che fanno parte della mia compagnia di Flamenco Inclusivo José Galán. Il livello e la qualità artistica sono gli stessi, ecco perché il mio obiettivo è quello di scoprire nuovi talenti e continuare la formazione finalizzata a professionalizzare le persone diversamente abili. Nella storia del Flamenco ci sono stati grandi geni con disabilità, quali Enrique el Cojo, La Niña de la Puebla, El Loco Mateo, La Sordita… e sono stati apprezzati per la loro arte, non giudicati per le loro disabilità. Nell’attuale contesto di grandi cambiamenti e di forti contraddizioni tra diversi punti di vista, come il flamenco ortodosso o il flamenco eterodosso, tradizione o avanguardia, payos o gitani, la verità è che non mi interessa quello che pensano gli altri, penso che quello che faccio è giusto e necessario sia per la società che per il Flamenco, perché la diversità arricchisce ed apporta nuovi valori. Ho il sostegno delle istituzioni pubbliche sia culturali che sociali e anche di soggetti privati, i partecipanti e le loro famiglie, i colleghi lodano il mio lavoro, quindi posso dire che è un’idea generata e messa in pratica da me. Molte persone interessate si rivolgono a me per saperne di più sul Flamenco Inclusivo e provengono dagli ambiti più disparati, dall’ambiente universitario a quello artistico, sociale e sanitario. Dopo l’apertura della Bienal de Flamenco de Sevilla 2018 con il mio Flashmob Inclusivo c’è stata una risonanza internazionale in tutto il mondo.

Per molti anni il Flamenco è stato considerato un mondo confinato nei limiti rigorosi della tradizione e del “purismo”, crede che le cose stiano cambiando?

Il Flamenco non cerca la perfezione, ma la verità, l’autenticità. È l’espressione che deriva da un sentimento puro, il che non vuol dire che è un’arte pura. Poiché la sua caratteristica è l’impurità, che fa vincere l’emozione allo stato puro sulla tecnica, non è richiesta l’impeccabilità, l’importante è danzare con grazia e ritmo. Come direbbe Rancapino: “Il Flamenco è scritto con errori ortografici”. Il canto non è una voce pulita, ma rotta dall’emozione, il grido del “cante jondo”. Allo stesso modo la danza non è il balletto accademico, ma la spontaneità e il movimento dei corpi naturali. Esistono mode, come in tutti i campi, ma è naturale che vi sia stata un’evoluzione dalle radici e dalle origini alla fusione di oggi, perché è un’arte che vive in costante ricerca. Prima di ogni altra cosa viene la libertà espressiva del creatore di un codice personale come artista in uno stile flamenco. Per apprezzare i colori. C’è sempre stata la critica del nuovo, da Camarόn de la Isla a Israel Galván. Naturalmente non tutto ha un valore, però innovare e sperimentare è sinonimo di attualità; diversamente, ripetere sempre ciò che appartiene alla tradizione sarebbe folklore.

Cos’è lo sperimentalismo per Lei?

Rispetto al Flamenco Inclusivo ciò che realizzo io è partire dalle basi e dalla tradizione fino ad arrivare allo sperimentalismo. Nel caso della danza con la sedia a rotelle sostituiamo lo zapateado con la percussione delle ruote anteriori e mi baso sul movimento della parte superiore del corpo tipico della scuola sevillana, ma non mi limito a questo, utilizzando nuovi movimenti che forse non sono mai stati utilizzati prima nel Flamenco. Sempre con rispetto e senza perdere l’essenza del Flamenco,  credo sia bene osare, per questo utilizzo altre tecniche per creare il mio linguaggio della danza e il risultato è il Flamenco Inclusivo della Compagnia José Galán.

In quale direzione va il Flamenco Inclusivo?

Da un lato porto avanti il lavoro della mia compagnia di flamenco professionale con diversi spettacoli e dall’altro collaboro con diverse associazioni per organizzare i vari laboratori di Flamenco Inclusivo. Ho partecipato a importanti festival internazionali, quali Bienal de Sevilla, Festival de Jerez, Festival International Arte Flamenco Mont de Marsan, Festival Flamenco de Nimes, Flamenco Festival Esch, Flamenco Biënnale Nederland e continuo a viaggiare per esportare in tutto il mondo questo grande progetto che non è solo un concetto, ma una filosofia e un modo di intendere il Flamenco.

Un messaggio conclusivo rivolto a chi voglia aprire i suoi orizzonti alla danza.  

Ballare con corpi diversi dà la possibilità di uscire dall’automatismo, dalla morsa che incatena la creatività. La flessibilità mentale apre nuove possibilità per il movimento fisico, proposte interessanti per ballare la stessa cosa in modo diverso. L’empatia e il lavoro umano con l’arte sviluppano nuovi stimoli in un artista. Lo rendono più coraggioso e sincero, con maggiore capacità di trasmettere al pubblico. Non si dovrebbe ragionare per pregiudizi o stereotipi. Di fatto alle “vecchie gitane” sedute basta solo alzare un braccio o muovere una mano per ispirare un “olé”, più delle dimostrazioni di virtuosismo di giovani che trascorrono molte ore a studiare di fronte a uno specchio. La danza è l’equilibrio tra studio ed esperienza, tra formazione e vissuto. Bisogna essere consapevoli del proprio corpo e poi lasciarlo libero al ritmo del cuore in modo che balli con l’anima o, come dice Matilde Coral, “Il Flamenco è una danza senza corpo”.

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

Photo Credits: Massimo Piccinini, Paolo Stuppazzoni, Yasmin El Mogy

 

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