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A passi di danza, tra zelo e affermazione: intervista ad Andrea Zardi

A passi di danza, tra zelo e affermazione: intervista ad Andrea Zardi

 

Artista piacentino, classe 1987, Andrea Zardi è un giovane danzatore e coreografo dalla formazione poliedrica e dal bagaglio di esperienze corposo e duraturo. Muove i primi passi nel mondo della danza nel capoluogo emiliano natale, presso la scuola Chòros, per poi viaggiare in lungo e in largo per le sale di prestigiose scuole e istituzioni italiane, come la scuola Hamlyn di Firenze o il N.O.D. Contemporary Program di Torino. Plasma le sue prime opere coreografiche nel 2013, entrambi performate a Milano, fino a giungere l’immediato presente con la sua ultima creazione, Nòstoi / View Room, presentato alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri (TO) il 18 novembre.

La tua formazione ha inizio nel 2006 a Piacenza presso la scuola di danza Chòros. Che ricordi hai a tutt’oggi di quel “trampolino di lancio” nel mondo della danza?

Ho dei bellissimi ricordi di quegli anni: diciamo che mi hanno dato basi generali abbastanza solide per poter pensare di proseguire in questo mestiere. Quello che più mi impressiona ancora oggi è la capacità di mettere in primo piano la qualità e la tecnica prima della quantità, che, se consideriamo quello che si vede nelle scuole private di danza oggi, non è cosa da poco…

Sin dall’inizio dei tuoi studi di danza fino al 2013 partecipi ai workshop di moltissimi coreografi e compagnie celebri a titolo internazionale, come Robert North, Cristina Rizzo, Sharon Fridman, nonchè i percorsi di Impulstanz. Quale di essi ha lasciato nella tua indole performativa un segno indelebile?

Sicuramente il percorso “extra-scolastico” per me più interessante in Italia è stato quello con la Nuova Officina della Danza a Torino: ho potuto conoscere lì il linguaggio Gaga, oltre a tanti insegnanti che provengono da compagnie che ho sempre ammirato. Sicuramente fra i miei favoriti c’è sempre stato il lavoro di Idan Sharabi e di Jermaine Spivey.

In molte altre città e istituzioni di danza italiane fa tappa il tuo percorso: dalla scuola Hamlyn di Firenze a Loris Petrillo a Perugia, al già citato N.O.D. Contemporary Program di Torino, dove hai studiato la tecnica Gaga®. Come senti di aver inglobato in te tutto questo enorme bagaglio di esperienze?

Non mi sento di averlo inglobato in realtà. Quando affronto qualcosa di nuovo, spesso fatico a capirlo subito. Ci metto tempo, non ci penso più e dopo un po’ di esercizio mi accorgo di aver incorporato una sensazione, un movimento o un espediente di un determinato insegnante. Ecco, si tratta magari di un piccolo pezzettino che sono riuscito a carpire in tutto un lavoro. Io consiglio sempre di studiare con insegnanti diversi selezionati, ma in maniera intensiva: io ho sbagliato a seguire workshops a caso per molti anni, perché provavo tutto e non approfondivo nulla.

Nel biennio 2009-2010 ottieni il Diploma Cecchetti presso l’I.S.T.D. della già citata scuola Hamlyn. Come ti sei approcciato a tale tecnica?

Come ogni cosa studiata bene, mi ha veramente plasmato sotto un certo punto di vista. Va presa con le pinze, in quanto è una tecnica datata e spesso poco funzionale, soprattutto per un danzatore contemporaneo.  L’approccio è stato disastroso, ma i risultati si sono visti. Posso dire, insomma, che, con il senno di poi, avrei potuto studiare meno Cecchetti e andare un po’ di più a curiosare all’estero, cosa che faccio solo da pochi anni.

Il tuo curriculum professionale annovera, inoltre, una serie di performance da tersicoreo per opere liriche messe in scena in teatri e festival assai rinomati, come il Teatro Regio di Torino, il Comunale di Bologna o il Macerata Opera Festival. Reputi altrettanto gratificante fare danza all’interno di contesti di questo tipo?

Mi piace moltissimo fare opere liriche: ti insegna a lavorare a orari decisi dall’alto, con ritmi serrati in alcuni casi, ma soprattutto a lavorare con altre professionalità, e quindi impari a stare al tuo posto. Alcune opere sono anche belle nella parte danzata. Ma i lati negativi sono tanti, e se dovessi aprire il libro, direi che gli Enti Lirici lucrano tantissimo sulla precarietà dei danzatori, passando sopra ogni diritto contrattuale. Ma i veri colpevoli sono proprio i danzatori, che accettano qualsiasi cachet e qualsiasi condizione.

A Torino hai avuto modo di lavorare col Teatro Stabile e il già citato Regio sotto un profilo più “accademico”, cioè come archivista e impiegato dell’ufficio artistico. Cosa ti ha lasciato, soprattutto in relazione alla danza, quest’esperienza teatrale – in qualche modo – vissuta nel “dietro le quinte”?   

È stata entusiasmante! È difficile autodisciplinarsi quando si lavora con materiali cartacei o davanti a un pc. Ti sembra di perdere tempo, di sprecare ore della tua vita inutilmente. Poi, quando devi andare in scena con tuo lavoro, capisci che le ore passate a mandare mail, compilare tabelle in excel, curare l’ufficio stampa e lavorare sulle piattaforme social si scoprono essere molto utili. In secondo luogo capisci che il Teatro è una macchina molto più complessa  – e disastrata, spesso – di quanto si possa pensare.

È il 2013, invece, l’anno delle tue due prime creazioni: Contraria_Mente e Relation_À bout de souffle. Mi racconti un po’ da dove nascono e com’è stata la fase di creazione?

Entrambi sono nati per caso, e creati in pochissimo tempo (affittando spesso spazi improvvisati). Ma da lì ho scoperto che trovo molto più appassionante proiettare sugli altri quella che mi sembra una buona danza, e riesco molto meglio a capire di cosa ha bisogno uno spettacolo per poter funzionare. Per fortuna ho potuto, in entrambi i casi, duettare con professionisti molto disponibili e preparati. Nel caso di Relation, in particolare, ho dovuto lavorare con un’artista visiva, Laura Zeni, e per me è l’arte visiva è sempre stata un buon punto di partenza, fin dai tempi dell’Università.

Giungiamo, infine, a Nòstoi | View Room, spettacolo che debutta alle Fonderie Teatrali Limone venerdì 18 novembre (LEGGI ANCHE: “NÒSTOI / VIEW ROOM”: LA GIOVANE DANZA (RI)TORNA SUI SUOI PASSI). Uno spettacolo assai introspettivo, dove il tema del ritorno (fisico o metaforico che sia) è pregnante tanto quanto l’energia delle sequenze coreografiche. È possibile leggervi una nota autobiografica?

Beh, avendolo pensato e creato io, sicuramente sì. Era da tempo che ci lavoravo e poi, per caso, ho chiesto una collaborazione a Roberto De Lellis del Teatro Gioco Vita di Piacenza, mia città natale. Dopo dieci anni è stato anche quello un “ritorno” a casa: è stato consolante vedere come molti amici rimasti lì si sono mossi per potermi aiutare in questo progetto. Lo spettacolo è stato visto nel suo studio iniziale da molte persone, e grazie al Teatro Trieste34, è stato ultimato per la data alle Fonderie.

Concludo chiedendoti quali sono i tuoi prossimi progetti per il tuo futuro da coreografo?  

Ne ho un paio in cantiere, già scritti su carta, ma non posso rivelare molto. Sto cercando di partire da questioni sociali e politiche che mi premono e spero, stavolta, di poter avere una residenza in cui creare con tranquillità. E non da solo: ci tengo infatti a precisare che ci sono due tipi di artisti freelance, quelli – di cui faccio parte io – che sono davvero freelance, e quelli che vengono un po’ supportati e messi dappertutto, che, quindi, proprio “freelance” non sono…

Marco Argentina

www.giornaledelladanza.com

Andrea Zardi © Luca Rossi

Andrea Zardi © Bruno Perroud

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