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Al suono delle armi: danze di guerra dell’antica Roma

La fama degli antichi Romani è legata al vasto impero che seppero costruire attraverso gloriose imprese e grandi battaglie contro i nemici: Cartaginesi, Celti, Galli e Greci sono solo alcuni dei popoli sottomessi, uno dopo l’altro. I Romani avevano una vera vocazione al dominio e una raffinata scienza bellica che li rese al lungo superiori agli altri. Accanto all’ immagine delle grandi battagli l’esercito romano, s’imponeva anche lo scenario delle arene, intrise di polvere e di sangue, di gladiatori sgozzati, dei Cristiani dati in pasto alle belve: tutte piccole forme di guerra che avevano la funzione di fare spettacolo e divertire. In effetti, l’associazione tra carattere guerriero e Romanità, ha avuto sempre una salda fortuna. Non deve dunque stupire il fatto che anche la danza abbia avuto a Roma un ruolo specifico nella sfera sacrale connessa alla guerra.

Stando alla tradizione Romolo, il leggendario primo re di Roma, avrebbe inventato la Bellicrepa, una danza al suono delle armi con la quale si commemoravo il ratto delle Sabine compiuto da Romolo e dai suoi compagni; secondo la credenza interveniva a questa danza il dio Marte in persona, il quale, immaginato fino ad allora come divinità agraria, divenne in questo modo dio della guerra.

La più maestosa e la più sacra di tutte le danze degli antichi Romani è tuttavia quella dei Salii, sacerdoti così chiamati dal verbo latino salire, cioè “danzare”, incaricati dal culto di Marte. La loro danza era eseguita al suono delle trombe di guerra, durante una complessa cerimonia pubblica celebrata nei mesi di Marzo e Ottobre, cioè all’ inizio e alla fine della stagione di guerra. Consisteva in una lunga processione che si protraeva per 20 giorni, durante la quale, in luoghi prestabiliti, i Salii s’arrestavano e danzavano, battendo le lance sugli scudi e cantando un inno particolare. Secondo la tradizione, la processione era stata istituita dal re Numa Pompilio e aveva lo scopo di mostrare pubblicamente i dodici scudi sacri. Era una danza collettiva eseguita su un ritmo ternario, con due cori (degli anziani e dei giovani) che ripetevano i movimenti di una solista girando in cerchio al ritmo dei colpi battuti sugli scudi.

Lo storico greco Plutarco la descrive così: “Percuotono di continuo con piccole lance i sacri scudi: tutto il resto è lavoro di piedi. Si muovono in maniera assai piacevole, formando certe giravolte e lanciandosi qua e là, ma sempre secondo un ritmo misurato, che mostra forza e agilità, velocità e destrezza”. Tra gli scopi di questa danza v’era quello di allontanare presenze non umane ostili, una sorta agraria, come traspare dalla cadenza stagionale del rito e nell’ analoga concezione stagionale dell’attività bellica.

Contrapposto al collegio dei Salii v’era poi quello dei Frates Arvales, un collegio che custodiva il pacifismo conservatore legato alle tradizioni agrarie. Gli arvales danzavano da soli nel tempio, dopo aver compiuto il sacrificio, nel secondo giorno della loro festa principale, celebrata il 17, 19 e 20 maggio in onore della dea Dia. Gli aspetti specifici della loro danza sono ignoti, per il riserbo mantenuto dalle fonti scritte; sappiamo però che, come in quella dei Salii, essi si muovevano su un ritmo ternario, quindi con una danza di tre passi, grave, sacra, piena di dignità. La danza degli Arvales era inoltre accompagnata da un inno, così come avveniva per i Salii; d’altra parte il legame tra canto e danza, o meglio tra poesia, musica e danza, era fortissimo in tutto il mondo antico (si pensi al teatro greco), e spesso, nei secoli successivi all’ Impero  Romano, si è tentato di ricostruire questa unità trinitaria. I due sodalizi, quello dei Salii e quello degli Arvales, durarono a Roma fino al quarto secolo a. C.

Sara Zuccari

Direttore del www.giornaledelladanza.com

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