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Storia e Cultura

Pierina Legnani, la regina leggendaria del passo perfetto

Nel panorama della danza classica, pochi nomi risplendono con la stessa intensità di Pierina Legnani. Fu una star internazionale. Considerata una delle ballerine più straordinarie del suo tempo, Legnani ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo del balletto per la sua tecnica impeccabile e per aver spinto i confini dell’arte a livelli fino ad allora impensabili. Nata a Milano il 30 settembre 1863, si formò alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, allora diretta da Caterina Beretta. Fu proprio alla Scala che Legnani affinò la tecnica combinando la severità dello stile italiano con la leggerezza e il virtuosismo che anticipavano le tendenze del balletto russo. Pierina Legnani è universalmente riconosciuta per essere stata la prima ballerina ad eseguire 32 fouettés en tournant consecutivi sul palco nella produzione russa di Cenerentola al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Questo momento rivoluzionario fu accolto con stupore e immediata consacrazione. I 32 fouettés furono successivamente incorporati ne Lago dei Cigni diventando uno degli standard di virtuosismo per ogni Odile che si rispetti. In Russia, Pierina Legnani divenne “prima ballerina assoluta”, un titolo raramente conferito. Collaborò con Marius Petipa partecipando alla creazione di ruoli fondamentali in balletti come Raymonda, Le Corsaire e La Camargo. La ...

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Le eteree ballerine romantiche dell’800: Carolina Rosati

Carolina Rosati (Bologna, 13 dicembre 1826 – Cannes, 1905) è stata una danzatrice celebrata come interprete del Balletto Romantico. Il suo nome da nubile era Carolina Galletti, ma divenne celebre assumendo il cognome del marito Francesco Rosati che fu un ottimo ballerino con il quale spesso si esibì in coppia. Suo nipote Ferdinando Pratesi, figlio della sorella Gaetana Galletti, fu anch’egli un noto ballerino e coreografo. Carolina si era formata alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano sotto la guida del Maestro Carlo Blasis e debuttò all’età di sette anni. Nel 1841 fu scritturata come prima ballerina al Teatro di Apollo di Roma, esibendosi inoltre a Trieste e a Parma nel 1843 e danzando con il marito alla Scala nel 1846. Venne definita ballerina terre à terre, termine accademico molto in voga a quel tempo che stava a significare un modo di danzare in antitesi all’élévation. La Rosati era particolarmente portata all’espressività e alla capacità interpretativa piuttosto che al virtuosismo dei salti. Nei trattati di balletto classico il termine terre à terre indica quei passi in cui i piedi sfiorano il pavimento senza staccarsene mai, al contrario dei passi nell’elevazione. Vittoria Ottolenghi scrisse che fu Carlo Blasis ...

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Nel gesto la storia: il flamenco come danza dell’identità

Il flamenco è una forma d’arte complessa nata in Andalusia tra XVIII e XIX secolo, frutto dell’incontro tra culture gitane, andaluse, arabe, sefardite e orientali. Non si tratta solo di musica o danza, ma di un linguaggio identitario profondamente radicato nella storia di emarginazione e resistenza di molte comunità, in particolare quella gitana. Si compone di tre elementi principali: canto, chitarra e danza. Il canto esprime emozioni profonde, spesso legate alla sofferenza; la chitarra interagisce in modo attivo con il cantante e il ballerino; la danza, fisica e ritmica, trasforma la musica in gesto espressivo. Il flamenco è inoltre fortemente improvvisativo, mantenendo un legame vivo con la tradizione orale e performativa mediterranea. Durante il regime franchista, il flamenco fu strumentalizzato come simbolo folclorico nazionale, ma mantenne una funzione critica e identitaria per molti artisti. Anche oggi, pur essendo riconosciuto come patrimonio immateriale dell’umanità dall’UNESCO, il flamenco si confronta con i rischi e le opportunità della globalizzazione: la contaminazione con altri generi ne rinnova il linguaggio, ma pone interrogativi sull’autenticità e la conservazione della tradizione. In conclusione, il flamenco è una forma artistica viva, capace di raccontare dolore e bellezza, oppressione e resistenza, diventando oggi un simbolo universale di memoria culturale ...

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Cleopatra e la Danza: fascino, potere, politica e seduzione

Quando si parla di Cleopatra, l’ultima regina d’Egitto, la mente corre subito ad immagini di potere, bellezza, diplomazia e tragedia. Tuttavia, un aspetto meno esplorato ma profondamente affascinante della sua figura è il rapporto con l’arte della danza — non soltanto come forma di intrattenimento, ma come strumento politico. Cleopatra usava la danza (tramite altri) come strumento simbolico per affermare il proprio dominio, fascino e controllo. Nell’Antico Egitto, la danza aveva un valore sacro e sociale: veniva praticata durante cerimonie religiose, rituali funebri, feste di corte e celebrazioni pubbliche. Le danzatrici, spesso sacerdotesse o artiste, usavano il movimento per comunicare con il divino, evocare emozioni o onorare i faraoni. La danza era anche associata alla dea Hathor, simbolo di amore, bellezza, musica e maternità — un’icona con cui Cleopatra amava identificarsi. Le cronache storiche ci raccontano di come Cleopatra orchestrasse incontri teatrali e spettacolari con i suoi amanti e alleati politici. È lecito immaginare che in questi scenari la danza fosse parte della sua messa in scena regale. Non è documentato che Cleopatra danzasse personalmente, ma come donna colta e raffinata, sicuramente conosceva il potere comunicativo del corpo in movimento. L’episodio più celebre — l’incontro con Marco Antonio a Tarso ...

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Le danze di carattere nei tre balletti di Čajkovskij

Nel grande teatro del balletto classico, le danze di carattere non sono solo ornamento, ma veri e propri frammenti di mondo. Travestite da folklore, da fiaba o da cerimonia, queste danze si insinuano nella struttura narrativa e scenica dei grandi titoli ottocenteschi, svelando un lato meno noto del virtuosismo accademico: quello che parla la lingua delle culture. Nei tre capolavori di Čajkovskij – Il Lago dei Cigni, Lo Schiaccianoci e La Bella Addormentata – esse si trasformano in specchi dell’umano, celebrando la varietà e il ritmo della vita. Nel terzo atto del Lago dei Cigni, la corte celebra un momento solenne: il principe deve scegliere la sua sposa. Ma ciò che si consuma sul palco è qualcosa di più profondo. La scena si trasforma in una galleria di maschere nazionali: una mazurka polacca, una csárdás ungherese, una tarantella napoletana, una danza spagnola. Ogni popolo entra in scena non come entità storica, ma come simbolo, portando con sé profumi, gesti e ritmi stilizzati. Ma il vero scopo di queste danze non è folklorico: sono un velo, un artificio, un teatro dentro al teatro. Sotto i tamburi, i ventagli e i tacchi, si cela la trappola tesa da Rothbart. È in questo contrasto ...

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Le eteree ballerine romantiche dell’800: Amalia Ferraris

Amalia Ferraris (Voghera, 1828 – Firenze, 1º aprile 1904) è stata una celebre danzatrice italiana del periodo romantico. Fu in grado in pochi anni di costruirsi una fama riconosciuta da pubblico e critica nel 1846, anno in cui ballò al Teatro Regio di Torino nella coreografia Zampa di G. Astolfi, sostituendo Fanny Cerrito. Da quel momento divenne una stella indiscussa e ammirata. La Ferraris detiene un posto importantissimo nella Storia del Balletto Romantico poiché, per la sua ferrea tecnica e per il suo stile lirico, fu una danzatrice capace di miscelare con cura il “volo” di Maria Taglioni e il virtuosismo innato delle grandi dive tersicoree. Dopo gli studi prima a Torino e poi alla Scuola di ballo dell’Accademia alla Scala, sotto la direzione di Carlo Blasis, debuttò giovanissima a Milano. In seguito calcò il palcoscenico del Teatro San Carlo di Napoli e poi di quelli in tutta Europa. Nel 1848 si esibì all’His Majesty’s Theatre di Londra in occasione dell’Esposizione Universale. Riscosse plausi e consensi a Londra, Roma, Vienna e all’Opéra di Parigi. Insieme a Carolina Rosati, sua rivale artistica, fu una delle ballerine italiane più note dell’epoca. Danzarono in coppia all’Opéra di Parigi nel balletto Marco Spada ou ...

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L’ultima coreografia dimenticata di Marius Petipa

A più di un secolo dalla sua scomparsa, il nome di Marius Petipa continua a riecheggiare tra i velluti rossi dei teatri e i parquet consumati delle sale di danza. Coreografo di origini francesi naturalizzato russo, Petipa è considerato il padre del balletto classico ottocentesco e autore di capolavori immortali come Il lago dei cigni (in collaborazione con Lev Ivanov), La bella addormentata e Don Chisciotte. Tuttavia, pochi conoscono i dettagli della sua ultima coreografia, un’opera crepuscolare che, seppur meno celebre, racchiude il distillato della sua poetica e rappresenta il suo testamento artistico. Nel cuore dell’inverno pietroburghese del 1903, tra le quinte ornate del Teatro Mariinskij, si consumava un tramonto: quello di Marius Petipa. Il coreografo che aveva dato forma ai sogni imperiali stava per firmare il suo ultimo incantesimo. Il titolo era fiabesco, quasi infantile: Le Miroir Magique. Ma dietro lo specchio magico, si celava un’altra storia: un duello amaro tra un’epoca che finiva e un’altra che premeva per emergere. Le Miroir Magique nacque come un balletto-féerie in quattro atti, commissionato dai Teatri Imperiali per arricchire il repertorio con una nuova meraviglia scenica. Pepita, ormai ottantenne, si ispirò alla fiaba russa della principessa caduta sotto l’incantesimo della gelosia — ...

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Le danze del Gattopardo: il ballo come rito di fine epoca

Tra i molti simboli potenti che attraversano Il Gattopardo, capolavoro letterario di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, le danze occupano un ruolo centrale, silenzioso ma eloquente. Non si tratta solo di scene coreografiche o di momenti mondani: le danze nel romanzo sono l’espressione più raffinata e malinconica del passaggio di un’epoca, di un’aristocrazia che muore danzando, senza accorgersi che il mondo sta cambiando sotto i suoi piedi. Le danze — valzer, quadriglie, polke — non sono semplici divertimenti, ma atti liturgici di una nobiltà che si celebra mentre si estingue. È un ballo sontuoso, con luci sfavillanti, sete, ventagli, candelabri, tendaggi, specchi e profumi. Ma tutto è attraversato da un velo struggente. Il principe danza con Angelica, la splendida borghese che ha conquistato l’amore del nipote Tancredi e il favore della nobiltà con la sua bellezza. Nel mondo de Il Gattopardo, danzare è anche fingere. È mantenere la maschera dell’etichetta, dell’illusione che nulla stia cambiando. Il celebre e pluripremiato film di Luchino Visconti (1963) tratto dal romanzo, ha amplificato la potenza simbolica delle danze con gli splendidi costumi di Piero Tosi, le coreografie del Professor Alberto Testa e la colonna sonora firmata da Nino Rota (con un valzer inedito di Giuseppe ...

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Re Ludwig e la danza: sogno, libertà, arte, movimento

Nel panorama dei sovrani europei del XIX secolo, pochi sono stati tanto enigmatici e affascinanti quanto Ludwig II di Baviera. Famoso per i suoi castelli fiabeschi – primo fra tutti Neuschwanstein – Ludwig è spesso ricordato come il “re delle illusioni”, un monarca che preferiva i mondi ideali dell’arte e della musica alla fredda realtà della politica. Ma tra le pieghe della sua personalità complessa e della sua dedizione all’estetica, esiste un aspetto meno esplorato: il rapporto con la danza. Ludwig II nacque nel 1845 in un’epoca in cui la danza era un elemento imprescindibile della vita di corte: dai balli ufficiali agli spettacoli di balletto nei teatri reali. Tuttavia, per Ludvig la danza non fu solo una formalità cerimoniale. Fu un linguaggio dell’anima, un mezzo di espressione che, come la musica wagneriana che tanto amava, poteva evocare altri mondi sospesi tra sogno e simbolo. Nei suoi diari e nelle sue lettere si trovano riferimenti a spettacoli di balletto, e la preferenza per le opere che miscelavano musica e movimento. Durante il regno di Ludwig, il Teatro Nazionale di Monaco e il Teatro Residenz ospitarono molte rappresentazioni di balletto. Il re sovvenzionava generosamente queste produzioni. Ludwig a volte organizzava performance private ...

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L’Ultimo Ballo dei Romanov: un tuffo nel passato

  Nel cuore dell’inverno del 1903, mentre il gelo avvolgeva San Pietroburgo, il Palazzo d’Inverno si trasformava in una macchina del tempo. Per due notti incantate, la corte imperiale organizzò un ballo in costume che non fu soltanto un evento mondano, ma un vero e proprio tributo alla storia e alla magnificenza di una dinastia che, inconsapevolmente, stava per vivere gli ultimi bagliori. I partecipanti, nobili e aristocratici, indossarono costumi che sembravano usciti da un quadro secolare. Abiti di velluto, sete ricamate, pellicce regali e gioielli scintillanti ricostruivano un’epoca di potere, tradizione e ritualità. I dettagli furono curati con meticolosità: dai copricapi elaborati alle spade ornate, ogni elemento raccontava una storia di grandezza passata. Il ballo non fu solo un’occasione per danzare. Fu un rituale carico di significati, dove ogni passo era un’eco di un potere che tentava di affermarsi in un mondo che stava rapidamente cambiando. Le danze si susseguivano senza sosta, dal valzer alle mazurche, attraversando le stanze illuminate da lampadari di cristallo, mentre la musica sembrava voler sospendere il tempo. La famiglia imperiale ballava l’ultima danza di un’epoca destinata a finire. L’evento rimase come un’istantanea di un mondo che avrebbe cessato di esistere poco tempo dopo, con ...

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