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Il “Lago” del Balletto Internazionale Italiano [RECENSIONE]

 

Debutto milanese per la neonata compagnia, con l’ultimo appuntamento del primo tour, del Balletto Internazionale Italiano, in scena al Teatro Manzoni con uno dei capisaldi della danza classica, Il Lago dei Cigni (presentato in due atti su base musicale registrata di ottima qualità nell’intramontabile e commovente partitura di Pëtr Il’ič Čajkovskij). Uno dei poemi epici che hanno definito il genere del balletto classico, tra i più rappresentati e citati al mondo, a ben ragione per la purezza e il candore.

La giovane compagine ha visto la luce grazie alla fattiva collaborazione e coproduzione tra il Nuovo Balletto Classico di Reggio Emilia e l’Ukrainian Classical Ballet di Kiev. Lo spettacolo ha presentato come si conviene alla trazione accademica, scenografie accurate, luci suggestive e costumi storici a beneficio di un cast dove il giovane talento è stato il fil rouge della serata.

Il Balletto Internazionale Italiano nasce dall’unione di due realtà ben consolidate dirette da Rezart Stafa e da Ivan Zhuravlov. L’accoppiata ha palesato l’attento pubblico presente in sala (tra cui la già prima ballerina del Teatro alla Scala e dell’English National Ballet Renata Calderini e l’altrettanto prima ballerina del Balletto Nazionale di Cuba Caridad Martínez) una produzione in grado di rinnovare il celebrato titolo del grande repertorio senza far mancare gli ingredienti fondamentali ad esso collegati: rigore, pathos, tecnica e carisma in un suggestivo incontro di culture differenti.

Il Lago dei cigni ha affascinato in passato e continua a farlo oggi. La storia di Odette/Odile vittima dell’incantesimo del mago Rothbart che la sottrae alla vita quotidiana di donna per farne un cigno che non deve innamorarsi di un uomo seduce soprattutto per il doppio ruolo della prima ballerina che da cigno bianco incanta con dolce timidezza, mentre quando si tramuta in cigno nero ne esalta il lato oscuro per ingannare l’amato.

La qualità viene fuori dalla capacità della prima ballerina di impersonare i due cigni con quell’intensità interpretativa che va oltre la tecnica esecutiva dei passi. Karyna Shatkovskaya è riuscita a donare emozioni, e nel suo Cigno nero si è riscontrato il giusto cambio di direzione della personalità. Il principe Siegfried impersonato da Lorenzo Lodi (che ha sostituito all’ultimo l’infortunato Oleksii Potomkin) è stato capace di rendere palpabile la passione che lo fa capitolare sentimentalmente. A Dmytro Chebotar nei panni di Rothbart è mancato a tratti il mordente per interiorizzare la parte del malvagio, ma ciò non lo ha distolto dal catalizzare l’attenzione degli spettatori. Il Giullare di Enrique Raul Sanchez Neyra ha raccolto unanimi consensi per verve e dinamicismo. Il Pas de trois con Ilaria Grisanti, Rika Sugimoto, Devis Masini ha fatto vivere un momento di grazia. I quattro cignetti (brano sempre atteso anche dai neofiti) ha visto Nuria Martin Boleas, Alice Soncini, Rika Sugimoto, Ilaria Grisanti ben sincronizzate nell’abituale e scenografico spostamento saltato in cou-de-pied avanti e dietro, circonduzione della testa, saltino in avanti con successivo pas de bourrée, retiré ed entrechat che batte dietro e chiude in avanti, passé, quattro echappés, otto pliés e piqués in avanti, cinque spostamenti per giungere con il sesto al developpé laterale in punta. I Grandi cigni con Alessandra Di Fabrizio e Marika Morra hanno attuato un insieme armonico.

Buono il livello del Corpo di ballo che ha eseguito la splendida coreografia di Ivanov-Petipa cimentandosi in un’innovazione interpretativa dei sentimenti.

Un capolavoro dove si intrecciano pantomima, divertissement, danze di carattere, sfumature malinconiche, atmosfere eteree e su tutto l’antitesi tra bene e male. Si tratta di un patrimonio che appartiene all’immaginario, e si rinnova di volta in volta con nuove interpretazioni e nuovi allestimenti, tenendo come base la sua forza evocativa, lasciando ben presente la traccia storica a cui siamo soliti collegarla.

Il libretto conobbe svariate modifiche, fu scritto da Vladimr Begicëv e Vasilij Gelcer, tratto dal testo di Johann Karl August Musäus e ancor prima da alcuni racconti popolari tedeschi della fine del Settecento, fino alla revisione del fratello di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Modest per la versione di Petipa-Ivanov. Basti pensare che nella prima drammaturgia presentata a Mosca nel 1877 il Lago riscosse un insuccesso totale. Solo grazie a Modest Čajkovskij, Marius Petipa e Lev Ivanov arrivò il sospirato consenso di pubblico e critica.

A Milano il Balletto Internazionale Italiano ha così presentato un nuovo allestimento senza innescare confronti o paragoni. Reinterpretare significa basarsi su una inedita situazione rispondente al momento attuale. Si può (e si deve per una giusta evoluzione dell’arte) revisionare il contenuto di un’opera ma il fine dev’essere quello di ottimizzare quanto pensato in precedenza lasciando intatte le concordanze cattedratiche. E ciò è avvenuto con eleganza e misura.

Ad apertura di sipario, dopo l’intervallo, la fitta nebbia sospesa sul palco contro il cielo illuminato dalla luna, ha visto i cigni alzarsi con clemenza. Le ragazze sono apparse leggere sui piedi dove si è percepito a malapena il ticchettio delle loro scarpette sulle assi del palcoscenico. Mentre gli uomini hanno saltato con buona elevazione. La schiera di cigni ha fluttuato all’unisono e i loro movimenti hanno catturano la magia del mondo onirico per eccellenza.

Il Balletto Internazionale Italiano ha preso tutto ciò che di bello e senza tempo incornicia il Lago dei Cigni e l’ha distillato in 120 minuti perfettamente condensati. Gli ingredienti essenziali sono stati ben presenti: dalle scarpette al passo a due, dalle raffinate pose ai tutù piumati, agli spettacolari fouetté, alle piroette, ai giri alla seconda senza tralasciare quello che appassiona l’estetica della danza nel suo glossario canonico.

La storia è ricca di dramma, romanticismo e di una chiara lotta tra tradimento ed onore. La bellissima principessa Odette, maledetta dal malvagio stregone Rothbart a vivere come cigno di giorno, tornando in forma umana solo di notte. Il bel principe Siegfried, la sua nascente storia d’amore con Odette e la potente amicizia e solidarietà femminile tra le fanciulle cigno. Ciò ha garantito il lieto fine grazie alla rottura del sinistro incantesimo e il ricongiungimento eterno dei due giovani innamorati.

È un compito arduo per qualsiasi produzione portare alla ribalta questo capolavoro. A Milano si è visto un allestimento fresco senza che ne sia stata snaturata la sua vitale natura. Nulla è apparso polveroso e nel finale la vulnerabilità e la delicatezza del Cigno Bianco si sono unite al richiesto lirismo. La sua promenade in cambré con Siegfried ha incarnato lo spirito di un cuore spezzato che si scioglieva. Tutto il Corpo di ballo del Nuovo Balletto Classico (a cui idealmente si ricollega alla eccelsa étoile Liliana Cosi) ha attinto dalla coreografia per ricercare le proprie possibilità di sincerità emotiva e di impatto (malgrado sottili divergenze sui tempi e sulle prese) dove le linee e la musicalità sono risultate brillanti.

Sicuramente il miglior biglietto da visita di questa nuova compagnia è la disciplina, dove l’imprescindibile complesso di norme che regolano il vocabolario coreutico porta all’osservanza senza riserve di tali norme: mantenendo, rispettando, osservando.

Gli applausi e le ripetute chiamate alla ribalta hanno incorniciato una piacevolissima serata.

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

© Riproduzione riservata

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