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La danza hip hop tra contaminazione e disciplina. Intervista a Luca Lupi

La danza hip hop tra contaminazione e disciplina. Intervista a Luca Lupi

 

La formazione professionale del livornese Luca Lupi è avvenuta sotto la guida di maestri di fama nazionale e internazionale nelle diverse discipline, consentendogli di acquisire la padronanza delle tecniche contemporanee e caratterizzando in lui particolari doti di insegnante dal forte impatto emotivo, scenico, coreografico e di avanguardia. Il suo insegnamento, basato su disciplina, rispetto, responsabilità, simpatia e raggiungimento degli obiettivi, riesce a coniugare le nuove tendenze hip hop con il modern in una combinazione innovativa ricca di energia e tecnica di sicuro effetto e molto apprezzata dagli allievi sia dei corsi base che dei corsi avanzati. Con la sua sensibilità ed impronta personale ricca di contemporaneità di stili, riesce a cogliere le innovative opportunità e potenzialità che l’hip hop offre.

Una formazione senza ombra di dubbio eterogenea, radicata moltissimo nell’hip hop, ma anche molto contaminata da discipline ben diverse, come la danza modern, contemporanea e anche classica. Come mai questa tua scelta di percorso formativo così variegato?

Ritengo fondamentale che la formazione di un ballerino avvenga a tutto tondo, esplorando ogni disciplina di danza possibile, perché ciò lo rende sicuramente più completo. Detto questo, guardando nello specifico alla mia esperienza personale, posso dirti che il mio approccio all’hip hop è avvenuto proprio grazie ad Arianna Benedetti, maestra indiscussa e incomparabile – a mio avviso – per quanto riguarda lo stile di contaminazione con la danza modern che ho scoperto successivamente essere tanto affascinante quanto in linea con la mia modalità coreografica. Difatti, già dopo un anno dall’inizio della mia frequenza dei corsi di Arianna, ho avuto il privilegio di insegnare in una classe di principianti lo stesso stile che mi aveva stregato in sala da allievo, dando avvio così alla mia primigenia carriera da coreografo. E sottolineo che, per raggiungere questo traguardo, non mi è stato comunque sufficiente studiare solo hip hop e danza modern: mi sono cimentato infatti – come hai detto tu stesso – nello studio della danza classica, per me la disciplina numero 1 per poter costruire le basi di un’ottima preparazione tecnico-disciplinare, utile per percorrere qualsiasi “cammino” il mondo della danza ti riservi nella vita. È sicuramente “al passo coi tempi” innervarsi profondamente nella contaminazione degli stili, ma ritengo che sia comunque controproducente scegliere di effettuare degli studi esclusivi di una disciplina durante la primissima fase di mera formazione.

La tua formazione così completa ti ha condotto a frequentare ambienti di danza a loro volta altrettanto eterogenei: da un lato le scuole di danza più comuni, dall’altro quelle di stampo più accademico, come la Scuola del Balletto di Toscana. Quando ha avuto inizio la tua carriera da insegnante nelle medesime scuole hai notato un approccio differente al tuo stile da parte degli allievi di ciascuna di esse?

In tutta franchezza, ritengo che la risposta più esaustiva a questa domanda tu la possa ricevere dagli allievi dell’uno e dell’altro tipo di scuola, ma intanto dal canto mio posso dirti che l’approccio all’insegnamento del mio stile avviene nel medesimo modo per entrambe le “tipologie” di allievo che mi ritrovo in sala, puntando cioè a rendere la lezione divertente e interessante per far sì che l’attenzione non cali mai fino all’ultimo minuto di esercizi o coreografia. A prescindere da ciò, comunque, c’è un elemento di base che contraddistingue i due diversi tipi di allievi: in un contesto più accademico, votato alla formazione pre-professionale, gli allievi sono molto più motivati a imparare nuove tecniche e a dare il meglio di sé, dato che aspirano ad essere dei danzatori professionisti nel futuro; mentre, all’interno di una scuola più comune la lezione di danza in sé è vissuta quasi come un passatempo, ed è molto più raro che un allievo appaia così motivato a studiare per calcare un domani i palcoscenici da professionista. Naturalmente il mio lavoro “subisce” questo entusiasmo o indifferenza nella fase d’insegnamento, ma ciononostante non intacca minimamente sul divertimento e l’interesse di cui parlavo poco fa.

Scostandoci per un attimo dalla danza, possiamo citare la tua esperienza di formazione nel 2004 all’interno del corso di Espressione teatrale di Edoardo Bacchelli. Cosa ti ricordi di quell’esperienza e cosa ti ha lasciato in funzione del tuo stile coreografico?

Mi ha lasciato moltissimo, impartendomi nozioni di teatralità che, a mio avviso, sono molto importanti per essere un ballerino a tutto tondo – perpetuando il discorso di completezza esposto prima. Ho avuto modo di studiare al meglio come esprimere ogni emozione, attraverso la mimica facciale o la gestualità corporea, ponendomi dinanzi a uno specchio e, dunque, aiutandomi a esternare ciò di più profondo vi era in me, operazione che nella danza è divenuta, poi, col tempo immancabile.

Il tuo curriculum di esperienze da danzatore conferma, infatti, proprio questo tuo intenso coinvolgimento artistico, segnato da diversissime tappe performative: coreografie di Arianna Benedetti, passi a due, produzioni teatrali operistiche (come Traviata nel 2011) e apparizioni in tv (come in Parental control su MTV nel 2006). Quale di esse ritieni sia stata la più gratificante?

È difficile individuarne una in particolare, ma sicuramente quelle legate alle coreografie di Arianna hanno lasciato in me il segno più indelebile. Per esempio, l’ultima performance a cui ho avuto il piacere di partecipare, Malia, danzata nel 2014 al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, è ancora vivida nei miei ricordi, provocando in me a tutt’oggi ancora forti emozioni come quelle provate pochi minuti prima di entrare in scena allora. È stato uno spettacolo che mi ha “travolto” appieno, tanto per la celerità delle prove e della messinscena (tre soli mesi in tutto!) quanto per la ripercussione che ha avuto sul mio stile coreografico. Non lo dimenticherò mai!

Guardando più nello specifico la lista delle tue performance da danzatore c’è un titolo che ha particolarmente attratto la mia attenzione: Anxiety del 2013. Un titolo che suggerisce tormento, disagio e metamorfosi: emozioni che hai vissuto davvero nell’esecuzione?

Devo dire proprio di no, o almeno non durante l’esecuzione. Anxiety è un passo a due danzato insieme a Marco Pasqualetti, mio allievo e assistente da moltissimi anni, nato proprio dall’ansia generatami da lui stesso per far sì che si andasse in scena noi due da soli. Posso dirti che il vero “tormento” emotivo che sento di provare più spesso è quello legato al momento della messinscena delle mie coreografie attraverso i miei allievi talentuosi, perché per me è pari al dare alla luce un “figlio”, emozione che – come spesso affermano – ti cambia, ti stravolge e ti fa sentire l’uomo più felice del mondo!

E finalmente giungiamo alle tue esperienze da coreografo, la cui lista è tanto lunga quanto eterogenea. Data l’enorme produttività avuta in pochissimo tempo, mi sapresti dire cosa ti ha ispirato e aiutato ad essere così fruttuoso?

«La coreografia è un’arte che si ha dalla nascita»: questo è quello che mi ha sempre detto la mia maestra Arianna, ed è ciò che ho testato direttamente nella mia esperienza personale. Ho avuto una predilezione nel dare sfogo alla mia creatività sin da ragazzo, quando plasmavo delle creazioni coreografiche all’interno di spettacoli della Compagnia Giovanile di Vernacolo Ska’tizzi. L’arte coreografica è davvero, quindi, un talento innato che, col tempo, puoi affinare, modernizzare e perfezionare, affiancando altri coreografi e/o approcciandoti ad allievi di vario genere e preparazione. Dunque nella mia carriera è partito tutto da un istinto naturale, esploso letteralmente nel giro degli ultimi anni attraverso varie occasioni performative che mi hanno dato modo di esprimere tutto il mio estro creativo.

Di questa lunga sequela di coreografie mi piacerebbe che mi parlassi (in pillole) di quattro di esse: Diva (2015), Lettera V (2016), Spears (2016) e Ask (2016).

Diva è una coreografia che ho costruito insieme agli allievi di un corso intermedio, la cui fonte d’ispirazione è stato un microfono trovato in sala prove un giorno per caso. Il plot, quindi, dell’azione scenica è molto lineare: si tratta del tentativo da parte di una delle ballerine di cantare e avere il suo momento di gloria – da “diva”, per l’appunto – tra gli ostacoli e le invidie di tutte le altre danzatrici/corpo di ballo che le stanno intorno. Questa performance ha subito un’evoluzione nel momento in cui mi è stato chiesto di portarla in scena con un cast di giovani detenuti, all’interno di uno spettacolo ANPI, in cui il loro apporto maggiormente teatrale si è affiancato a quello danzato delle mie allieve rendendo l’azione scenica quella di una vera e propria audizione, pari a quella degli odierni talent show.

Lettera V è il trampolino di lancio di Nuda, ultima mia creazione datata 2017. È stato progettato sulla base delle improvvisazioni danzate di Ginevra, mia allieva e protagonista dell’assolo, dei cui rapidi progressi interpretativi all’interno del mio stile sono estremamente orgoglioso. Lo spettacolo è stato presentato in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne (“V” sta proprio per “Violenza”) e andava in scena subito dopo un videoclip montato sulle testimonianze a livello mondiale di donne che hanno subito violenza. È stata un’esperienza molto toccante e artisticamente indimenticabile, dato che la perfomance comportava l’utilizzo del sistema di video mapping, ovvero la proiezione in 3D con animazioni della danzatrice su di un pannello posto sul fondale del palcoscenico, un effetto che è stato reso possibile dalla maestria di Proforma Videodesign & Projection Mapping.

Spears è una coreografia a cui sono molto legato, dove le protagoniste (tutte donne) sono delle Amazzoni che, con tanto di lancia alla mano, si sfidano, combattono tra di loro e, alla fine, si affiatano con solidarietà per dimostrare quanto il cosiddetto “gentil sesso” al giorno d’oggi abbia lotte da affrontare a livello sociale, riuscendo fortunatamente a vincerle e – nella maggior parte dei casi – a non soccombere. Le sequenze danzate di lotta sono nate grazie anche al contributo di Giacomo Scamuzzi, insegnante di grappling, una tecnica di combattimento dalla quale ho tratto ispirazione per molti dei salti, giravolte, prese ed evoluzioni.

Infine, Ask – come dice la parola stessa – è la coreografia della domanda, del quesito, del dubbio. E ti posso assicurare che ogni singolo elemento di essa rifletteva perfettamente queste tre componenti. È stata creata per un gruppo di danzatori di livello intermedio, che sono stati sottoposti ad una struttura coreografica e ad una partitura musicale da corso avanzato: una sfida, insomma, per testare la loro capacità di evolversi stilisticamente rispetto alla loro preparazione di base. Poi, ispirato dal banalissimo gesto di sollevamento del dito per domandare qualcosa a scuola, ho strutturato tutta la coreografia su questo “simbolo” gestuale (per anni scimmiottato da molti, lo ammetto con divertimento). Il tutto per giungere ad un finale scenico che sembra apparentemente “dare una risposta” a queste “dita sollevate”, e invece lascia solo al pubblico una “domanda aperta” a cui chissà se riuscirà a dare mai risposta. L’input è arrivato dalla mia cerchia di amici più intimi, coi quali spesso mi sono confrontato manifestando dubbi e ponendo interrogativi che – spesso – sono rimasti fini a se stessi.

Un altro interessante lavoro da menzionare è Private Party, presentato sotto forma d’improvvisazione in diverse location, un po’ sulla falsariga di No, non distruggeremo… del CollettivO CineticO. È del tutto improvvisato estemporaneamente o ne sussiste una struttura coreografica alle spalle?

La partitura coreografica di Private Party è composta tanto dall’improvvisazione quanto dall’assetto più strutturato. Il lavoro deriva dal laboratorio di improvvisazione che, ormai da due anni, porto avanti nelle scuole in cui insegno nel ritaglio di tempo di sole due ore a settimana, in cui sperimento con una classe di 25 persone diverse forme coreografiche composte direttamente dai danzatori presenti in sala. Per esempio, chiedo loro di lavorare al buio, oppure bendati, oppure alla ricerca di equilibri, per far sì che, una volta in scena, sappiano ben destreggiarsi sul palcoscenico evitando di urtare il compagno che gli è accanto oppure riuscendo a mantenere tesa la concentrazione nonostante i riflettori puntati dritti negli occhi. Nei precedenti due anni il risultato finale di questo laboratorio era una dimostrazione in palcoscenico all’interno del saggio di fine anno della scuola; da quest’anno, invece, sono riuscito orgogliosamente a far sì che tutto questo materiale improvvisato potesse plasmare un vero e proprio spettacolo, assai apprezzato e richiesto.

Ballerino, coreografo, regista. E con quest’ultimo titolo non si può non citare il tuo ultimo “figlio”, cioè Gear Project. Ti va di parlarmene?

Gear Project è un progetto nato dalla classe di hip hop avanzato del Centro Studi Danza Arabesque di Livorno, formato per portare avanti ciò per cui – come detto prima – Lettera V ha rappresentato un trampolino di lancio: volevo che gli effetti grafici di video mapping fossero maggiormente protagonisti di un intero spettacolo in palcoscenico. E da lì è nato Nuda, uno spettacolo debuttato lo scorso 23 aprile dal plot interamente originato da me, che ha faticato a nascere (per motivi economici e performativi) ancor peggio di un parto dalla lunga gestazione! In breve posso dirti che la storia è quella di una ragazza, Nuda per l’appunto, totalmente scevra di emozioni, istinti e sentimenti, che si ritrova a scoprire il Bene e il Male attraverso l’avvicendarsi di incontri casuali e circostanze fortuite lungo il “cammino” per comprendere e scoprire se stessa. Naturalmente, come accade nella vita di tutti i giorni, il Bene e il Male arriveranno a scontrarsi per averla tutta per sé e lei, alla fine, continuerà ad andare per la sua strada, senza davvero schierarsi per l’una o per l’altra fazione. Gli interventi di video mapping sono sempre sporadici (come in Lettera V), ma questa volta ancor più innervati nella vicenda della protagonista. Si tratta di uno spettacolo davvero unico nel suo genere, che – grazie al cielo! – sta riscontrando tanti successi.

E, quindi, per concludere: tra i cosiddetti “progetti per il futuro” c’è ancora Nuda? O bolle anche qualcos’altro in pentola?

Ovviamente Nuda ha la priorità a livello di distribuzione nei teatri, ma posso anticiparti che anche altro “bolle in pentola”, ma mi riservo di dare ancora altre informazioni a riguardo.

 

Marco Argentina

www.giornaledelladanza.com

Luca Lupi © Lorenzo Papi

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