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La danza non è un sacrificio: intervista a Cristina Amodio

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Cristina Amodio, ancora allieva del Teatro alla Scala prende parte, in qualità di Corpo di ballo, a numerose produzioni tra cui “Lo Schiaccianoci” di R. Nureyev, “La Bella Addormentata nel bosco” di A. Alonso, “Il lago dei cigni” di R. Hightower e “La Turandot” di F. Zeffirelli. Nel 1986 si diploma alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano, diretta da Annamaria Prina. Entra subito a far parte dell’Aterballetto, diretto da Amedeo Amodio. Qui comincia ad interpretare vari ruoli e a cimentarsi in stili diversi: G. Balanchine, M. Bejart, A. Bournonville, G. Tetley, A. Ailey, W. Forsythe, J. Kylian, R. Petit, D. Parson, L. Massine, J. Muller, M. Van Hoecke, D. Byrd, L. Childs. Nel 1992 come assistente, rimonta per l’Arena di Verona il balletto di A. Amodio “Il cappello a tre punte”, musica di M. De Falla. Dal 1994 al 1997 in qualità di assistente, rimonta per il Teatro alla Scala di Milano “L’Après-midi d’un Faune” di A. Amodio. Con l’Aterballetto partecipa a varie tournée in Italia e all’estero: Francia, Germania, Gran Bretagna, Scozia, Tunisia, Algeria, Giordania, Canada, U.S.A., Messico, Brasile, Venezuela, Argentina, Hong-Kong, Singapore, Tailandia, Giakarta, Corea. Nel 1997 abbandona la compagnia Aterballetto e nel gennaio del 1998 partecipa a vari Gala organizzati da e con Carla Fracci, interpretando, insieme ad Alessandro Molin, “L’Après-midi d’un Faune” di A. Amodio e “Apollon musagète” di Balanchine. In seguito partecipa alla tournée in Canada, U.S.A. e Brasile, insieme al Balletto di Toscana di Cristina Bozzolini con “Mediterranea” di M. Bigonzetti. A giugno lavora con Daniel Ezralow per una pubblicità televisiva. A luglio lavora nella Compagnia Contemporanea di Michele Pogliani in “Earoticity”. Dopo lavora ancora con il Balletto di Toscana e partecipa poi con Patrick King e Joahn Silverhult – in una coreografia dello stesso King – nello spettacolo “Madonna in Paradiso”. Viene poi invitata a Tel Aviv presso il Teatro Suzanne Dellal con il pas de deux “L’après-midi d’un faune”. Come assistente al Teatro Verdi di Trieste, rimette in scena il balletto “Coccodrilli in abito da sera” di A. Amodio. A gennaio 2000 rimette in scena per l’English National Ballet School diretta da K. Wade e D. Deane il balletto “Ricercare a nove movimenti” di A. Amodio. Come danzatrice Solista si esibisce a Ginevra con la compagnia “Sinopia” diretta da Etienne Frey. Sempre a Ginevra debutta con lo spettacolo “Face to face” di Etienne Frey, creazione originale commissionata dall’ONU sul tema della condizione della donna nel mondo. Per alcuni mesi nel 2001 è Maître de ballet al Teatro San Carlo di Napoli, diretto da Luciano Cannito. A Ginevra e a Zurigo con la compagnia “Sinopia”, diretta da Etienne Frey, danza come ballerina Solista per l’opera-balletto “Zorba il greco”, coreografia di E. Frey, interpretando il ruolo di Ortensia. Per il “Festival Autunno Musicale” al Teatro Sociale di Como, interpreta con Alessandro Molin il pas de deux “L’après-midi d’un faune”. Sempre in coppia con Molin è invitata a Dessau, in Germania, per un Gala organizzato dall’Unicef. In seguito è assistente alla direzione e ripetitrice presso il Teatro San Carlo di Napoli. Inizia poi la sua attività di Guest Teacher in varie compagnie italiane ed europee: Arena di Verona, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino,Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Massimo di Palermo, Ballet de Nice, Ballet de Toulouse, Ballet de Lyon, Ballet de Montecarlo, Ballet de Génève, Ballet de Augsburg, Ballet des Jeunes Europe de Marseille, English National Ballet School, Scuola di Ballo dell’Accademia di Arti e Mestieri del Teatro alla Scala di Milano, Cullberg Ballet, Royal Swedish Ballet. Nel 2005 al Teatro Massimo di Palermo, rimonta il balletto “Romeo e Giulietta” di Amodio, con Alessandra Ferri e Roberto Bolle. Al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino rimonta il pas de deux “L’ après-midi d’un faune” con Letizia Giuliani e Josè Perez. Lavora come assistente coreografa di Daniel Ezralow per la trasmissione “Amici” di Maria De Filippi e per la creazione dello spettacolo “Why…”. Nel 2010 viene nominata direttore artistico del dipartimento di danza classica del centro D.A.F. Dance Arts Faculty di Roma. Collabora con i grandi teatri nazionali ed internazionali, dando lezioni ad Etoiles di fama mondiale: Svetlana Zakarova, Alessandra Ferri, Viviana Durante, Giuseppe Picone, Roberto Bolle, Olesya Novikova, Leonid Sarafanov, Vogel Friedemann, Paulo Arrais, Liudmila Konovalova, Jurgita Dronina, Dino Tamaziacaru, Isabelle Ciaravola, Nicolas Le Riche, Sylvie Guillem, Massimo Murru, Venus Villa, Rolando Sarabia.

Cara Cristina, ti sei formata alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala. Cosa ricordi di quegli anni e com’è avvenuto il tuo ingresso?
Per accedere alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala ho dovuto sostenere tre esami: uno fisico-attitudinale, uno medico e un mese di lezioni di prova. Ero molto emozionata, direi impaurita. Da subito ho avvertito un’atmosfera militaresca. Se non avessi avuto un carattere forte non sarei sopravvissuta otto anni in un clima tanto austero però è stato anche un bene perché ho imparato come affrontare le difficoltà. Ai miei tempi la scuola era dentro il Teatro alla Scala, la mia prima lezione di danza classica era alle ore 08:30 per cui arrivavo sempre minimo un’ora prima. Mentre passavo nel labirinto dei vari corridoi, il sottofondo musicale che mi accompagnava era il suono del pianoforte che veniva accordato. Ancora oggi, se mi capita di ascoltarlo, mi sembra di ritornare bambina, rivivo le stesse emozioni della piccola Cristina che non vedeva l’ora di calcare le scene. Durante la pausa pranzo andavo in mensa, a volte non c’era posto nella stanza preposta ad accogliere noi ragazzi per cui, con il mio vassoio, mi sedevo in un palco e assistevo alle prove di scena di un’opera o balletto, che meraviglia!!! Conoscevo ogni piccolo meandro nascosto di quel teatro, curiosa com’ero, non perdevo mai l’occasione di avventurarmi per scoprire qualcosa di nuovo! Amavo andare in sartoria, mi facevo dare i ritagli delle stoffe che buttavano via così potevo realizzare delle piccole borsette e beauty-case.

Prima della Scuola di Ballo avevi frequentato altre realtà coreutiche?
No, Amedeo (mio padre), malgrado io lo chiedessi, non ha mai voluto perché diceva che una cattiva impostazione mi avrebbe rovinata per cui dovevo aspettare di fare l’esame per entrare alla Scala, sennò niente. Sono nata a Roma e non vedevo l’ora di trasferirmi a Milano per studiare danza. Parlavo con l’accento romano e quando mi chiedevano di dov’ero, proiettata nel futuro dicevo “de Milano”… Tutte le mie amichette studiavano danza classica e io soffrivo perché non potevo. A sette anni, con tutta la mia famiglia ci siamo trasferiti nel capoluogo lombardo. Vicino casa c’era una chiesa con annesso un oratorio dove si svolgevano molte attività artistiche, io mi ero iscritta a teatro e canto per cui già da allora, avevo la settimana super impegnata e tutte le domeniche cantavo nel coro durante la messa.

Tu sei figlia d’arte del grande maestro e coreografo Amedeo Amodio, quanto ha influito la sua presenza nella scelta della tua professione?
Da quando sono nata ho respirato un’atmosfera intrisa d’arte, da sempre immaginavo che avrei fatto la ballerina classica, non ho mai pensato ad altri lavori, mai. Mi sembrava così naturale che il mio futuro fosse legato alla danza. Non saprei dire cosa sarebbe successo se fossi nata da un padre geologo.

Artisticamente come ti piacerebbe dipingere a parole tuo padre?
Lo stimo molto, ha una grande sensibilità e umanità. Conosco perfettamente il suo linguaggio artistico e amo molto il suo approccio con i ballerini quando deve creare un balletto, è un grande visionario.

Alla Scuola di Ballo cosa ricordi del giorno del diploma?
Del diploma ho pochissimi ricordi. Ero in coppia con Nicola Biasutti, danzavamo “Don Quixote” di Baryshnikov, all’inizio della mia variazione mi è caduto per terra il ventaglio che ho raccolto alla velocità della luce.

Da bambina quale ruolo sognavi di interpretare? E si è poi realizzato?
Da piccolina sognavo tutti i ruoli che ballava Carla Fracci in quanto ero spesso in tournèe con Amedeo e lei per cui vedevo sempre i loro spettacoli. Da allieva sognavo di essere Giulietta, e quando l’ho interpretata è stata una grandissima emozione.

In seguito, come allieva, sei entrata nel corpo di ballo della Scala da aggiunta. Quali emozioni ti ha regalato il palcoscenico milanese?
La prima volta che ho calcato le scene della Scala avevo quasi dodici anni, ero al primo corso e facevo la danzetta nello “Schiaccianoci” di Nureyev. Purtroppo interpretavo la parte del maschio e mi dispiaceva tantissimo!!! Mi sarebbe piaciuto andare in scena con il vestitino, i capelli sciolti e la bambola, invece avevo una parrucca con capelli corti, pantaloni e un cavallino! Certamente ero emozionata ma forse, al momento, ero più concentrata sul fatto che non mi sentivo a mio agio nella parte dell’uomo.

Poi sei entrata da professionista ad Aterballetto, una realtà molto amata e sempre in evoluzione. Questo ingresso ha cambiato qualcosa nel tuo modo di ballare e nella tua visione della danza?
Da quel momento è cominciata un’altra epoca, un’altra scuola direi. Sono sempre stata alla ricerca di qualcosa in più, di andare sempre oltre al mio sapere. Per mia grande fortuna in compagnia circuitavano ottimi insegnanti e grandi Etoiles per cui non facevo altro che nutrirmi tramite loro.

C’è un tuo consiglio personale che vuoi donare a chi ha deciso di seguire una carriera di grande magia ma anche di sacrifici e tanto lavoro?
Il più grande consiglio è quello di seguire il proprio cuore, se c’è veramente una forte passione tutto viene in modo naturale. Lo studio quotidiano è una necessità che appaga, il grande lavoro una costante che dona i suoi frutti e onestamente non so cosa siano i sacrifici. Anzi, forse il sacrificio più grande sarebbe stato vietarmi di fare la ballerina.

A distanza di anni, com’è stata la tua strada per raggiungere quello che sei oggi con un importante traguardo?
L’esperienza è un bagaglio importantissimo! Le difficoltà ci sono e ci saranno sempre ma dipende da come si affrontano. Ho passato momenti terribili, momenti fantastici ma non ho mai potuto fare a meno della danza.

Che cosa significa per te la danza al di là della professione, qual è la vera essenza di quest’arte?
La danza è la mia vita, in ogni momento, anche il più tragico, è stata il mio rifugio, il mio sfogo. Un’emozione che nasce da dentro, non credo si possa descrivere, bisogna viverla. La vera essenza di quest’arte non si può nemmeno insegnare ma, come dicevo prima, si deve viverla per assaporarla.

Come ha modificato la tua vita essere sempre sotto i riflettori, su un palcoscenico e in giro per il mondo?
Per me è stata la mia normalità, ho scelto espressamente una Compagnia che mi permettesse di viaggiare moltissimo! Da sempre desideravo conoscere il mondo e grazie alla danza ho avuto anche questa meravigliosa opportunità.

La danza negli ultimi tempi ha di nuovo un grande posto d’onore nella vita socio-culturale. Quali carte si potrebbero giocare per avvicinare maggiormente il pubblico dei giovani?
Forse bisognerebbe portare a teatro più spesso i bambini con le loro famiglie, nell’immaginario comune si ha timore ad andare a vedere uno spettacolo e di certo i costi dei biglietti non aiutano.

In scena quanto cambia la tecnica e la sicurezza nell’avere un diverso partner ogni volta al proprio fianco?
Prima di fare uno spettacolo si fanno le prove per cui non c’è mai una reale difficoltà. È normale cambiare partner.

Mi spieghi esattamente il ruolo di “ripetitrice” per i nostri lettori? In cosa consiste e come si articola? Quali sono le maggiori difficoltà?
La ripetitrice è colei o colui che insegna tutti i passi di un determinato balletto, ai ballerini. Può capitare che si lavori da soli oppure, all’inizio ci sia il coreografo. La prima volta che ho rimontato un balletto ero giovanissima ed è stato per l’Arena di Verona ed era una coreografia di Amodio. La difficoltà è che bisogna fare da filtro tra ballerini e coreografo. Ho lavorato anche con Nils Christe, Hans Van Manen, Heinz Spoerli, Marc Ribaud, ognuno di questi grandi artisti aveva esigenze diverse. È molto importante essere versatili e pazienti.

Tra tutti i paesi visitati in tournée qual è la serata che ti è rimasta nel cuore? E il pubblico più affettuoso e amante della danza?
Ogni paese mi ha lasciato un ricordo unico. Mi viene in mente quando, in Messico, a Guanajuato, la fiumara di gente accalcata per vederci ballare, aveva portato uno specchio che permetteva loro di seguire la perfomance girati di spalle! Mai vista altrove una pratica simile!

Hai partecipato a diverse serate di gala al fianco di Carla Fracci. Qual è il suo segreto e i suoi veri punti di forza che l’hanno resa eterna?
Carla è e sarà per sempre unica! Penso che lei abbia un talento innato per la danza classica, la sua bellezza è paragonabile ad un dipinto di un’opera d’arte.

Mentre al Balletto di Toscana diretto da Cristina Bozzolini cosa ricordi con più affetto?
Era un periodo di transizione, conoscevo molto bene tutti i ballerini. Con loro sono stata in Canada, Stati Uniti e Brasile.

Com’è stato lavorare con Mauro Bigonzetti?
Con Mauro ho lavorato all’Aterballetto solamente quando lui era ancora ballerino, quindi c’era la complicità che si instaura con tutti i propri colleghi.

Mentre con Daniel Ezralow?
Daniel è un artista col quale mi è capitato spesso di collaborare. L’ho conosciuto a Milano, quando sono stata scelta per girare uno spot pubblicitario per una lavatrice famosa. Eravamo un bel gruppo di ballerini, tra cui c’era un giovane e sconosciuto (all’epoca) Kledi Kadiu. Dopo quell’esperienza siamo rimasti in contatto e abbiamo lavorato altre volte assieme. Sono stata anche sua assistente. Non è semplice stargli accanto, è un artista molto creativo che cambia spesso idea, ci vuole molta lucidità e calma.

Con lui hai anche collaborato per “Amici”. Quali sono i punti negativi e positivi nella formazione per un allievo l’entrare in un talent televisivo?
Onestamente non ho mai seguito nessun programma televisivo in quanto da circa vent’anni non possiedo, per scelta, la televisione. Certamente, avendo lavorato per quel programma posso dire che è molto lontano dalla mia concezione della danza in quanto io amo il teatro con il pubblico vero. La lucetta rossa che si accende, quando si va in onda, non fa parte della mia formazione e cultura.

L’esperienza in Svizzera quali valori aggiunti ha apportato alla tua carriera e come viene vissuta la danza in questo paese, a tuo avviso?
Ho lavorato per una piccola compagnia d’autore, la sede era a Ginevra e siamo stati anche a Zurigo per un breve periodo. È stata un’esperienza fantastica! In Svizzera ci sono una grande quantità di spazi dedicati alla danza e alla sperimentazione contemporanea, in Italia tutto questo non esiste purtroppo. Lo Stato li sovvenziona per cui tutto è più semplice, da noi si tende ad eliminare al posto di sostenere.

Il tuo elenco delle compagnie in qualità di guest teacher è lunghissimo e sicuramente tra le più prestigiose. Cosa ti piace nella professione di docente? Cosa ti colpisce maggiormente in un allievo? E qual è la soddisfazione più grande in questo ruolo?
Mi piace lavorare con professionisti di altissimo livello, quando sei Guest Teacher hai la possibilità di conoscere artisti meravigliosi! Amo fare parte, anche se per poche settimane, di compagnie prestigiose. È una grande responsabilità e quando vedo lo spettacolo per il quale stiamo tutti lavorando, mi emoziono ogni sera.

Sei stata nominata anche Direttore artistico di classico al D.A.F. Cosa rende speciale questa realtà?
Il D.A.F., acronimo di Dance Arts Faculty, è paragonabile ad un consorzio artistico internazionale, con coreografi, danzatori ed insegnanti ognuno dei quali contribuisce con la sua visione ad arricchire la sensibilità artistica di ciascun allievo. Grazie ai numerosi scambi e collaborazioni con artisti internazionali, cerchiamo di offrire la massima qualità nell’arco dei tre anni di studio. Da due anni, oltre alla sede in via Di Pietralata, ne abbiamo aperta un’altra in via Assisi, sempre a Roma, con un indirizzo più classico associato sempre al contemporaneo. Lo scopo è di formare ballerini in grado di affrontare qualsiasi audizione per accedere nella più prestigiose compagnie europee. Da quest’anno, ho l’onore di avere un artista di fama mondiale che tiene le lezioni di repertorio classico e pas de deux, Vladimir Derevianko. Ci siamo conosciuti all’Aterballetto, per me è sempre stato un mito, il Grande Maestro grazie al quale potermi arricchire. Lo stimo molto, la sua immensa cultura, è uno stimolo continuo per andare oltre. Sono felice che i miei allievi possano avere un artista così generoso nell’elargire i suoi preziosi consigli ed insegnamenti.

Ti elenco alcuni nomi, tra i grandi artisti, con i quali hai collaborato e ti chiedo di associarli ad un pensiero…Svetlana Zakarova?
Magnetica.

Alessandra Ferri?
Delicata.

 Roberto Bolle?
Perfezione.

Massimo Murru?
Grande Artista.

Leonid Sarafanov?
Potente.

Vogel Friedemann?
Bellissimo.

Nicolas Le Riche?
Affascinante.

Sylvie Guillem?
Instancabile.

Hai avuto tanti maestri. Chi vuoi ricordare con più gratitudine e perché?
Ne ho tanti nel mio cuore, ma ringrazio soprattutto chi mi ha fatto comprendere ciò che non si deve fare.

Da spettatrice, uno spettacolo di danza che ti ha colpito positivamente e al quale avresti voluto prendere parte come protagonista?
Non posso citare solo uno spettacolo, in realtà tutti i balletti che mi appassionano li avrei voluti danzare! “Bella Figura” e “Petite Mort” di Kylian, “Limb’s Theorem” di Forsythe, “Smoke” di Mat’s Ek… la lista è troppo lunga!

Mentre tra quelli in cui sei stata interprete, quale ruolo ti ha emozionato in particolare?
Ogni balletto ha lasciato inevitabilmente un segno. Ogni ruolo ha avuto la sua importanza nel definire chi sono io adesso.

Tra tutti i sacrifici, qual è il più grande che hai fatto in nome della “danza”?
Non ho mai fatto nessun sacrificio, non farla sarebbe stato il più grande.

Qual è il tratto principale del tuo carattere?
Tenacia e sensibilità.

Tra i tuoi colleghi, chi ammiri di più anche dal punto di vista umano?
Non mi piace stilare una graduatoria, perché anche in questo caso, la diversità aiuta a spaziare e arricchirsi.

Che rapporti avevi con le scarpette da ballo? Per molte danzatrici fonte di gioia ma anche di dolore…
Da sempre, grande dolore…

Per concludere cosa speri di poter ricevere ancora da questa nobile arte… quale sogno coltivi in questo senso?
Quanto amavo ballare prima tanto oggi amo insegnare. Nulla è cambiato, si è solo trasformato, tutto il percorso della nostra vita è in continua evoluzione ma, la magia che provavo quando entravo in scena, oggi la rivivo quando sono seduta in platea e vedo entrare il direttore d’orchestra… ancora una volta sento i brividi!

 

Michele Olivieri
Foto: Francesco Candi e Matteo Gueriso
www.giornaledelladanza.com


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