
Nell’Ottocento, quando la danza classica era ancora avvolta nei veli romantici dei teatri europei, una giovane donna italiana attraversò l’oceano per portare l’eleganza del balletto in un mondo che stava appena imparando a guardarlo.
Maria Bonfanti non fu solo una ballerina: fu pioniera, ambasciatrice culturale, e per certi versi una rivoluzionaria. La sua storia è quella di un ponte tra vecchio e nuovo mondo, tra disciplina e libertà, tra tradizione e futuro.
Nata nel 1847 a Milano, Maria Bonfanti si formò alla prestigiosa scuola di ballo del Teatro alla Scala, sotto l’egida del metodo Blasis. Si trattava di una scuola dura, rigorosa, dove l’eleganza era una questione di geometrie corporee, di equilibrio perfetto tra grazia e forza.
La giovane Maria imparò a dominare il corpo e la scena, costruendo giorno dopo giorno quella che sarebbe diventata una carriera luminosa, ma tutt’altro che scontata.
Negli anni Sessanta dell’Ottocento, Maria salpò per gli Stati Uniti, portando con sé il bagaglio della danza classica europea e la determinazione di chi sa di poter cambiare qualcosa. Fece il suo debutto a New York nel 1866 nello spettacolo The Black Crook, considerato da molti il primo musical americano. Il pubblico, che non era abituato a un balletto così raffinato, restò stregato.
Bonfanti brillava per tecnica, ma anche per carisma: era capace di far sembrare ogni passo un gesto naturale, ogni arabesque un’idea che nasceva sul momento. Nel suo modo di danzare, Maria Bonfanti univa la disciplina del metodo italiano a una sorprendente capacità espressiva.
Sul palco non era solo una ballerina: era un personaggio, un racconto vivente. Non recitava, raccontava con il corpo. E proprio questa sua capacità di adattarsi ai gusti del pubblico americano, senza mai rinunciare alla qualità della sua arte, la rese una figura imprescindibile per lo sviluppo della danza oltreoceano.
Nel 1885 diventò prima ballerina del Metropolitan Opera House di New York: un riconoscimento altissimo, ma anche la conferma che quella ragazza arrivata da Milano aveva cambiato le regole del gioco. Dopo una lunga carriera sulle scene, Bonfanti si ritirò dal palcoscenico per dedicarsi all’insegnamento.
La sua Scuola a New York non fu solo un luogo dove si imparava a danzare, ma un laboratorio di idee. Tra le sue allieve si ricordano nomi destinati a fare la storia, come Ruth St. Denis e, secondo alcune fonti, persino Isadora Duncan.
Se queste nuove voci della danza moderna seppero rompere gli schemi, fu anche perché avevano visto da vicino cosa significava padroneggiare il linguaggio classico con grazia e consapevolezza.
Maria Bonfanti venne a mancare nel 1921, lasciando un’eredità che va oltre i successi personali. Fu tra le prime a dimostrare che la danza classica poteva essere più di un repertorio europeo, più di un rituale aristocratico: poteva parlare a tutti, ovunque, se eseguita con verità.
Il suo nome, oggi è una chiave per leggere la trasformazione della danza da arte d’élite a spettacolo globale. In un’epoca in cui le donne artiste dovevano lottare per affermarsi, Maria Bonfanti non solo riuscì a emergere, ma a lasciare un segno.
Non fu solo una grande tecnica o una prima ballerina assoluta. Fu un’artista completa, una visionaria con le punte ai piedi e lo sguardo rivolto al futuro. Forse, tra i riflettori dei teatri di Broadway, la sua presenza aleggia ancora: elegante, determinata, e pronta a danzare oltre ogni confine.
Michele Olivieri
Foto di Jeremiah Gurney
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