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PROSPETTIVE01 – Maria Chiara de’ Nobili: “Le mie creazioni le immagino come dipinti che cambiano costantemente”

Maria-Chiara-de-Nobili

“Prospettive01” è una rubrica rivolta ad artisti e contesti che rappresentano un mondo di talenti in continua evoluzione. Ideata e curata da Lorena Coppola, la rubrica si propone di dare spazio a iniziative dedicate ai giovani e di raccogliere articoli e interviste mirate a dar voce a tutte le fasce creative del mondo coreutico: realtà in via di sviluppo ed espansione, progetti innovativi o realtà già consolidate e di chiara fama, meritevoli di attenzione. Un luogo di rivelazione e di incontro di nuove prospettive.

Maria Chiara deNobili si forma in danza contemporanea presso la DanceHaus di Milano sotto la direzione di Susanna Beltrami. Successivamente si è trasferita a Israele per dieci mesi presso la KCDC per il Dance Journey Program, dove ha iniziato a sperimentarsi come coreografa. Tra il 2016 e il 2018 ha lavorato come danzatrice per la compagnia Elephant in the Black Box a Madrid. Nel 2018 è stata una delle coreografe invitate alla Biennale di Venezia. Nello stesso anno ha intrapreso il suo percorso alla Palucca Hochschule di Dresda. In questa intervista esclusiva si racconta al Giornale della Danza.

Quando hai scoperto la tua passione per la danza?

Ho cominciato davvero presto. Avevo 4 anni quando ho iniziato a ballare. È sempre stata la mia passione.

Quali sono state le tappe salienti della tua formazione?

All’inizio il mio sogno era diventare una ballerina di danza classica ma con il passare degli anni molte cose sono cambiate. Una delle tappe salienti è stata di sicuro la scoperta della danza contemporanea, della libertà e del piacere che essa procura. Avevo 13 anni e da lì è iniziato il mio percorso professionale. La DanceHaus, diretta da Susanna Beltrami (Milano), ha segnato l’inizio di un percorso che mi ha condotto dove sono oggi. Ho approfondito lo studio della danza contemporanea, materie come teatro fisico e storia del teatro mi hanno portata, anni dopo, alla scoperta della mia estetica come coreografa. All’età di 16 anni mi sono trasferita a Milano ed è stato un periodo difficile perché ero costantemente sottoposta allo stress sia dell’accademia di danza che del liceo. Un’altra tappa importante è stata il mio anno in Israele. Sono stata lì presso la KCDC per il Dance Journey Program dove ho creato le mie prime coreografie e sono cresciuta tantissimo non solo come danzatrice ma anche come coreografa. Prima di allora non credevo di essere tanto creativa da poter produrre lavori miei. Altra tappa è rappresentata dagli anni a Madrid che hanno definito il mio stile come coreografa. Ho lavorato come coreografa per una compagnia di teatro (Suite Oblique), dove ho scoperto il mio interesse per lo stesso e ho iniziato a fondere danza e teatro nelle mie creazioni. La tappa più recente è quella di Dresda, dove vivo attualmente. Qui ho studiato coreografia alla Palucca (Palucca University for Dance – Dresden), che ha fatto sì che al mio processo creativo istintivo e naturale, si unissero tutte le conoscenze apprese durante i due anni di master all’Università. Attualmente sto lavorando a molti progetti nella città di Dresda.

Ad un certo punto del tuo percorso hai deciso di lasciare l’Italia, è stata una scelta voluta o una necessità data dall’impossibilità di affermarti nella tua terra natia?

Ho deciso di lasciare l’Italia per questioni di opportunità. All’estero la cultura e le arti performative sono supportate; al contrario in Italia ci sono molte difficoltà a trasformare l’espressione artistica nella propria attività lavorativa.

Quali sono state sino ad oggi le esperienze più significative sul piano artistico?

Come danzatrice, considero il periodo in Israele come un’esperienza altamente significativa. Ho riscoperto il piacere di danzare in un ambiente esclusivamente dedicato a quest’arte e dove ho avuto la possibilità di incontrare tanti altri artisti che mi hanno ispirata e aiutata nel mio percorso di crescita. Come coreografa, l’esperienza più significativa è stata alla Biennale di Venezia dove ho presentato la mia prima coreografia con un cast di 7 danzatori nel 2018. Ho avuto la possibilità di investigare e sperimentare con il supporto che solo una grossa produzione come quella della Biennale di Venezia poteva darmi. Da lì ho capito che la coreografia sarebbe stata la mia vita. Mi piace danzare ma la coreografia è il mio modo di comunicare con il pubblico attraverso un universo stravagante, assurdo e spesso divertente che, al tempo stesso, nasconde significati profondi e problematiche attuali strettamente connessi alla mente umana.

E le sfide più grandi?

Le sfide sono state moltissime. Fin dai primi anni le delusioni non sono mancate. Tuttavia le difficoltà mi hanno sempre aiutata a rialzarmi più forte di prima. In questo ambiente è molto difficile lavorare perché c’è molta competizione. La sfida più grande è stata sicuramente quella di decidere di trasferirmi lontano dalla mia famiglia e accettarne tutte le conseguenze.

Come danzatrice qual è il linguaggio in cui ti riconosci di più?

Come danzatrice, inizialmente, sono stata influenzata dalla danza contemporanea e dai coreografi israeliani. Tuttavia, con il passare degli anni, ho iniziato a sviluppare un interesse per la fusione di più arti che mi hanno portata ad allontanarmi da un’espressione prettamente tecnica per approcciare ad un’estetica più intima.

I coreografi che hanno maggiormente influenzato il tuo stile?

Anche come coreografa sono stata influenzata inizialmente dai coreografi israeliani come Ohad Naharin, Rami Be’er ecc. Tuttavia, con il passare degli anni, la mia passione e il mio interesse per il teatro-danza e il teatro fisico mi ha avvicinata maggiormente al linguaggio di coreografi quali Wim Vandekeybus (Ultima Vez), Gabriela Carrizo & Franck Chartier (Peeping Tom).

Oltre ad essere una danzatrice, ti sei scoperta molto presto coreografa, come sei approdata alla creazione?

Nonostante avessi già cominciato a creare lavori miei, ero ancora orientata a pensare al mio futuro come danzatrice. Lo switch è successo per caso. Tra le tante applicazioni inviate all’inizio del 2018, ce n’era una come giovane coreografa presso la Biennale di Venezia per la creazione di un lavoro coreografico. È stata una bella sorpresa ricevere l’invito e questo è stato lo stimolo che mi ha spinta a mandare la stessa applicazione anche per il master di coreografia della Palucca. La creazione della coreografia RarefieLd per la Biennale di Venezia, mi ha fatto provare un’emozione fortissima che mai avrei immaginato. In quel momento ho deciso che non avrei più smesso. Mi sono accorta che dirigere mi diverte molto di più che eseguire.

Come definiresti il tuo approccio coreografico?

Il mio approccio coreografico si basa sull’unione di elementi di teatro e di danza. Non sono interessata al movimento fine a se stesso. Ricerco la stessa ricchezza nelle intenzioni ed espressioni, e nella fisicità. Ogni interprete è coinvolto mente e corpo non solo con il movimento ma anche con la voce e qualsiasi altro mezzo a sua disposizione. Mi piace scegliere tematiche strettamente connesse alla psicologia e alla mente umana, per trasformarle e tradurle in coreografia. Le mie creazioni le immagino come dipinti che cambiano costantemente, immagini che abbiano un senso profondo che unisco come parti di un puzzle. Cerco di trasmettere, a volte, attraverso situazioni divertenti significati molto più profondi che fanno riflettere. Il coinvolgimento del pubblico avviene attraverso un linguaggio universale cosicché chiunque possa riconoscersi e possa perdersi attingendo dalle proprie esperienze.

Cosa ti ispira di più?

Traggo ispirazione da qualsiasi cosa, che possa essere un paesaggio, un film, il lavoro con i miei danzatori, o anche la lettura. La parte principale della mia ispirazione proviene dall’osservazione.

Come stai affrontando questo difficile periodo dovuto alla pandemia COVID-19?

Sto utilizzando parte del tempo libero per presentare applicazioni per progetti e per l’accesso ai fondi dedicati alla cultura. In questo momento, nonostante le restrizioni ed il lockdown, sono a Stoccarda dove sto lavorando allo spettacolo teatrale Doch an uns wird mancher sich erinnern später noch” diretto da Jule Bökamp. Questo mi ha consentito di arricchire la mia esperienza coreografica lavorando con gli attori.

A causa della chiusura dei teatri, molti artisti hanno dovuto “reinventare” le loro attività in chiave digitale. Hai sperimentato anche tu questa forma di espressione artistica? Cosa ne pensi?

Purtroppo il momento storico che stiamo vivendo ci ha costretti a reinventarci. Presentare una performance in chiave digitale non è semplice in quanto è necessario imparare ad usare un ulteriore elemento a supporto della creazione: il video. È stato necessario studiare per imparare come editare un video, come produrre una drammaturgia e una sceneggiatura che supportino la coreografia proposta attraverso questo nuovo mezzo nel migliore dei modi. A mio avviso il video non potrà mai sostituire la performance dal vivo. Siamo di fronte a due mezzi di comunicazione e di produzione dell’arte molto diversi.

Progetti futuri?

Con il mio partner Alexander Miller abbiamo fondato una compagnia (Miller/de’ Nobili) e stiamo lavorando a progetti futuri che uniscono teatro, danza contemporanea e breaking (breakdancing). Abbiamo già in programma dei lavori come PACK, che verrà presentato in prima assoluta il 23 settembre 2021 a HELLERAU – European Centre for the Arts. Sto anche lavorando ad un progetto di ricerca finanziato (“DIS-TANZ-SOLO”) per strutturare un metodo di creazione coreografica valido sia per gli attori che per i danzatori. A maggio 2021 andrò in tournée in Francia e in Germania con VORTEX, uno dei miei ultimi lavori che ho presentato in collaborazione con il media artist Ulf Langheinrich ad ottobre 2020. Insomma, sono alla ricerca costante di sfide e di stimoli e non mi fermo mai.

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

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