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Matteo Bittante: la danza rende liberi

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Matteo Bittante, si perfeziona presso l’Hamburg Ballettschule diretto da J. Neumeier con una borsa di studio. Ha lavorato per: Ballet National de Marseille Roland Petit; Teatro alla Scala di Milano; come solista al Stadtheater Bremenhaven, Compagnie Aenaon Daniel Lommel, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Balletto dell’Esperia, eseguendo, tra gli altri, le coreografie di Neumeier, Petit, Duato, North, Dell’Ara, Nureyev, Bourmaister, Kemp, Berriel, Della Monica. Ha danzato accanto alle étoiles Myrna Kamara, Oriella Dorella, Carlotta Zamparo. Dal 2003 collabora con Susanna Beltrami come assistente coreografo in tutte le sue creazioni e come ballerino, della Compagnia Susanna Beltrami”. Partner di Luciana Savignano negli spettacoli: “Tango di Luna”, “Il suo nome…Carmen”, “Ukijo-e”, “Le sacre”. Ballerino del Tour di Tiziano Ferro “Nessuno è solo”. Nel 2011 è cofondatore di Contart associazione artistica che si occupa di formazione del pubblico e promozione della danza contemporanea, dal 2014 fa parte del network DANCEHAUSpiù, sostenuto dal MIBACT. Nel 2012 da vita alla DanceHaus Company, giovane realtà milanese, nata in grembo all’Accademia Susanna Beltrami, con la quale partecipa al Festival Milanoltre 2012, collabora con il Teatro Coccia di Novara, il Festival Girovagando di Sassari e il Milano Pride Week 2013 con le produzioni; Paradise Loft, Carmen, RI, OUT, Dada Tango. Importante la collaborazione dal 2014 con Gilda Gelati, già prima ballerina del Teatro alla Scala per la quale crea gli spettacoli “Tempi Moderni” e “Memento”. Le prossime produzioni previste sono Escapin’ Timelandia che debutterà ad ottobre all’Elfo Puccini per il Festival Milanoltre ed Inside a dicembre al CRT di Milano nell’ambito del Festival Exister. Attualmente è docente e coreografo residente presso DanceHaus Susanna Beltrami.

Caro Matteo, il tuo essere artista in veste sia di ballerino che coreografo ti ha permesso di farti conoscere ed apprezzare per la qualità del tuo lavoro. Tra queste due discipline quale ti regala maggiore soddisfazione?
Sono due visioni diverse, essere danzatore ti permette di essere te stesso fino ad un certo punto, perché devi confrontarti con il personaggio, quando è richiesto; essere coreografo ti permette di inserire esattamente il tuo punto di vista e di plasmare dei corpi che creeranno sensazioni fruibili. La soddisfazione per un artista purtroppo è fugace, perché non si è mai contenti, perché sensibili e quindi fragili ed esposti al cambiamento.

Che ricordi hai della tua formazione e come è nata in te la passione per la danza tanto da trasformarla in professione?
A sei anni ho detto ai miei genitori che volevo fare il ballerino, l’illuminazione è stata durante un centro estivo “in collina”, dove ogni ragazzo aveva a disposizione un momento per esprimersi, e lì ho incontrato Claudia, con la sua musica dello Schiaccianoci… Come quasi tutti ho iniziato nella scuola più comoda della città, poi quando i miei genitori hanno capito che volevo fare della danza qualcosa di più, hanno iniziato a cercare formazioni più professionali. E quindi valigia in mano, mi sono trasferito a Torino alla Fondazione per la danza Teatro Nuovo dove sono rimasto per quattro anni. Eravamo un bel corso, c’erano talenti come Federico Bonelli. Poi aereo per Amburgo, alla Ballett Schule J. Neumeier.

Tra tutte le tue creazioni a quale ti senti più legato e orgoglioso?
Ogni mia creazione è uno studio, di solito mi preparo anche un anno prima. Un bel ricordo è “Paradise Loft”. La maggior parte dei danzatori provengono dall’Accademia, e quindi ho la possibilità di insegnare loro durante l’anno e di elaborare la corporeità più vicina a me. Mi ritengo una persona fortunata. L’altro sarà “Inside” spettacolo presentato nell’ambito di NEXT 2015 sovvenzionato dalla Regione Lombardia e prodotto da ArtedanzaE20 che debutterà a dicembre. È da un po’ di mesi che ci lavoro, sia la parte drammaturgica che la parte musicale, perché avrà musica live e proiezioni video, e da coordinare tutto non è facile. Più passa il tempo più impari il mestiere, e ti dai delle regole, ma la cosa più importante per un artista è avere tempo, certe intuizioni hanno bisogno di crescere e di maturare!

Nel momento in cui fai le audizioni per la ricerca di nuovi talenti da inserire nei tuoi lavori, cosa ti colpisce particolarmente in un candidato/a?
Per ogni lavoro ricerco tipi di danzatore diverso, quello che mi colpisce maggiormente è l’approccio personale del danzatore, la voglia di fare e di mettersi in gioco. Oltre al resto ovviamente corporeità tecnica, fisico, ascolto, bellezza…

Con la cara amica nonché signora della danza contemporanea “Susanna Beltrami” collabori fin dai tuoi esordi. Cosa la rende così speciale oltre alla creatività e all’unicità del suo lavoro?
Con Susanna ci siamo conosciuti circa sedici anni fa, sono stato presentato da Carlotta Zamparo, perché Susanna cercava un sostituto per un riallestimento. Il lavoro con Susanna è meritocratico, calcola che sono partito dall’avere una piccola parte “in fondo” e ora mi ritrovo davanti con tra le braccia una grande stella. Quando lavori vicino a Susanna lavori a 360 gradi sempre in quinta. Ovviamente il talento e il forte legame alla drammaturgia per le sue creazioni la rendono unica. Per questo ho deciso di fermarmi a Milano, prima la mia carriera mi portava ad essere sempre in movimento per poter collaborare con diversi coreografi.

Per la tua esperienza, quando un danzatore sente la necessità di affiancare al lavoro in scena anche l’arte della coreografia?
Il lavoro coreografico è un’esigenza. Oggi al danzatore, al contrario di un tempo dove in sala eseguivi un disegno del coreografo, è anche richiesta la possibilità di sperimentare con il proprio linguaggio coreografico.

A tuo avviso quali sono le maggiori peculiarità e caratteristiche fondamentali per accostarsi alla coreografia?
Oggi le caratteristiche sono infinite, c’è chi arriva anche da altre forme d’arte. “Le vie della coreografia sono infinite”.

Oggi proliferano molti talent, accademie, scuole, stage, audizioni, workshop… eventi che raccolgono un’infinità di giovani che desiderano entrare nel mondo della danza, ma come ben sappiamo, ci sono dei canoni che vanno rispettati per svolgere questa professione. A tuo avviso reputi positivo incoraggiare tutti verso l’arte coreutica, indipendentemente dalle doti tecniche?
Aprire la danza a tutti rende la cultura della danza “popolare” e quindi è positivo. Non bisogna però creare false illusioni. Sarebbe opportuno distinguere l’ambito amatoriale da quello professionale, spesso si confondono.

Nel tuo repertorio di danzatore, qual è stato il ruolo che porti nel cuore?
Don Jose nel “Il suo nome… Carmen”.

Che esperienza è stata quella presso il Teatro alla Scala di Milano, tempio incontrastato dell’arte?
Ero giovane, arrivavo dal Balletto di Marsiglia. La Scala cercava dei ballerini da aggiungere per “Cenerentola” di Nureyev con Alessandra Ferri. È stata una bellissima esperienza che ho ripetuto anche con “Excelsior” di Dell’Ara, ma non mi sentivo libero.

Mentre al Maggio Fiorentino?
Per il Maggio devo ringraziare Frederic Olivieri, il quale mi notò al Teatro alla Scala. Qui oltre al repertorio della compagnia ho avuto l’opportunità di lavorare con i giovani coreografi della compagnia… ai quali mi sentivo più vicino per stile!

Tra tutti i coreografi della scena contemporanea sia nazionale che internazionale chi guardi con interesse?
Oltre ai grandi coreografi sono incuriosito dalle nuove generazioni che sono in continua evoluzione.

Da dove trai ispirazione per le tue creazioni?
Come dicevo, voglio entrare in sala prove preparato. La preparazione può durare anche molti mesi. L’ispirazione la trovo camminando per strada, la vita, a volte più teatrale del teatro, oltre all’osservazione di opere d’arte, installazioni o semplici immagini che mi comunicano uno stato d’animo, il resto è una magia.

C’è un messaggio di base che lega tutte le tue coreografie tra loro?
L’artista è un occhio della e nella società, e quindi nella sue opere anche involontariamente emergono percezioni del mondo attuale.

Nel mestiere di coreografo la “musica” che posto trova e soprattutto come ti relazioni con essa?
Ho una bella relazione con la musica, a volte ci vado contro a volte la uso in parte. Amore e Odio. È difficile trovare la musica giusta, spesso una volta decisa, dopo alcuni mesi è già vecchia al mio udito e quindi cerco altro. Ultimamente ho avuto la fortuna di lavorare con il compositore Chris Costa. Per questo progetto sono partito usando delle sonorità, ho fissato la coreografia e poi Chris ha iniziato a comporre la musica sulla coreografia. Il risultato è stato bello anche se ho dovuto “sporcare” molto perché a volte la coreografia con la musica erano molto “precisine”, a sincrono e le cose “precisine” non mi piacciono, comunque oggigiorno un lusso.

Grazie ad una borsa di studio ti sei perfezionato presso la Scuola dell’Hamburg Ballett. Quali sono i ricordi più belli legati a quel periodo?
Sono stati due anni molto duri e molto importanti per la mia formazione, me la ritrovo ancora oggi. I più bei ricordi sono quando ho avuto la possibilità di andare in scena con la Compagnia, e quando sono stato scelto per ruoli importanti… Purtroppo non sono riuscito a finire la formazione perché Roland Petit mi voleva in compagnia e ho dovuto scegliere.

Che tipo di lavoro svolgevate in sala danza?
Oltre allo studio classico e moderno, svolgevamo repertorio della Compagnia, grazie a questo mi hanno inserito anche in cast di spettacoli come “La bella addormentata”, “Romeo e Giulietta”, “Sogno di una notte di mezza estate” e in creazioni come “Hamlet”. Ricordo anche “Kompo”, che è lo spazio creativo che ogni danzatore deve obbligatoriamente fare. Ovviamente i risultati non erano di stile contemporaneo ma un moderno con tanta base classica se non addirittura neoclassico.

Ora ti faccio qualche nome e mi dai un tuo pensiero. Luciana Savignano?
Istinto puro, ogni spettacolo un viaggio unico. È un cara persona.

Oriella Dorella?
Professionista, lavoratrice.

Lindsay Kemp?
Artista 360 gradi, ha lasciato un segno importante nello spettacolo dal vivo.

Roland Petit?
È storia, ho avuto la fortuna di lavorare con lui negli ultimi sei mesi del “Ballet National de Marseille” diretto da lui.

John Neumeier?
Un grande maestro, è stato uno dei primi ad intuire la mia vena coreografica, durante la mia formazione ad Amburgo, ho avuto la fortuna di avere dei consigli diretti.

Qual è la “forza” della DanceHaus intesa come distretto culturale e formativo?
È un centro dove si respira arte, dove si lavora duro perché non c’è tempo da perdere. Se una persona entra nel Distretto si accorge che è all’interno di un mondo artistico, i ragazzi dopo tre anni di formazione escono diversi, più maturi, con vedute più ampie, con una forte base di danza su cui lavorare. La formazione dell’artista però non è mai finita.

In conclusione caro Matteo, quali aggettivi usare per dipingere l’arte della danza in tutte le sue innumerevoli sfaccettature?
L’arte oltre ai bellissimi aggettivi che usiamo solitamente è anche avere coraggio di esprimersi. L’arte rende liberi.


Michele Olivieri
www.giornaledelladanza.com

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