Parlare con i piedi, pensare con il corpo, scrivere nell’aria: questa è l’essenza della danza classica. Ma ogni arte, anche la più eterea, ha bisogno di un linguaggio preciso, condiviso, scolpito nel tempo.
E nella danza classica, questo linguaggio ha un nome e una lingua: il dizionario francese dei codici accademici.
Non si tratta di un semplice elenco di termini, ma di un alfabeto in movimento, un sistema codificato che unisce generazioni di danzatori in ogni angolo del mondo.
È un lessico nato a corte e cresciuto nei teatri, conservato nelle accademie, inciso nella memoria muscolare di chi balla.
Nel XVII secolo, mentre l’Europa si agitava fra guerre e rivoluzioni, alla corte di Luigi XIV prendeva forma un’arte silenziosa e potentissima: la danza come disciplina accademica.
Il Re Sole, che amava danzare tanto quanto governare, capì il potere del gesto ben ordinato. Nel 1661 fondò l’Académie Royale de Danse, chiamando a sé i migliori maestri per codificare i movimenti che fino ad allora erano stati lasciati all’intuizione.
Fu così che nacquero le cinque posizioni dei piedi, l’en dehors, il principio dell’aplomb. Parole francesi, certo, ma che descrivevano idee universali di forma, equilibrio, armonia. Il francese non fu una scelta casuale: era la lingua dell’eleganza, della diplomazia, del teatro – e lo è rimasta nella danza classica fino ad oggi.
Chi studia danza classica impara prima a nominare i gesti, e poi a farli vivere nel corpo. Ogni parola ha un peso, una direzione, una qualità. Non è una lingua morta, ma una grammatica vivente.
Questi termini compongono una mappa. Il dizionario accademico è come una partitura per il corpo: indica cosa fare, dove farlo, come farlo, e soprattutto perché.
Dietro ogni parola c’è una filosofia, un’estetica, un’idea di bellezza costruita nei secoli.
Il vocabolario francese della danza è una traccia comune: permette ai danzatori di parlarsi senza parole, anche se vengono da culture lontanissime. È un linguaggio senza frontiere, un codice che unisce discipline, scuole e generazioni.
Ogni volta che un insegnante dice “tendu”, ogni volta che un’allieva esegue un “pas de bourrée”, quel dizionario vive, respira, evolve.
Ma più che un dizionario, quello della danza classica è un patrimonio immateriale. È una memoria incarnata. Non lo si apprende sui libri, ma nella sala prove, con le mani degli insegnanti che guidano le braccia, con gli occhi che osservano e imitano, con il corpo che ripete fino a interiorizzare.
Parlare la lingua della danza classica significa entrare in una comunità che si estende nel tempo e nello spazio.
Significa connettersi con i maestri del passato e preparare il terreno per i danzatori del futuro.
Il dizionario francese dei codici accademici è un ponte invisibile tra l’idea e l’azione, tra il passato e il presente, tra la tecnica e l’arte.
Michele Olivieri
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