Fabio Crestale nasce a Desenzano del Garda. Intraprende i suoi studi di danza in Italia, presso il Ballets de Toscane di Firenze, per poi perfezionarsi presso l’Alvin Ailey Dance Center di New York, il Columbus di Zurigo e il CND di Parigi, città che sceglie come sua sede artistica. Collabora con diverse compagnie: Doppio Movimento, Steptext Dance Company, La Petite Entreprise, la compagnia di Richard Siegal, la Compagnie Baroque en France di Laurence Fanon, la Compagnia Ekodanceproject di Pompea Santoro e l’Opéra de Paris, tra le altre. Alla carriera di danzatore affianca quella di coreografo, raccogliendo grande approvazione con le sue creazioni. Come coreografo firma anche molte coreografie in opere cinematografiche. La sua danza è una sottile miscela di contemporaneo concettuale e narrazione. Nel 2011 fonda, a Parigi, la sua Compagnia “IFunamboli”, per la quale ha creato molteplici produzioni, tra cui De Homini, che debutterà il 4 marzo 2023 al Teatro Impavidi di Sarzana.
Quando è stata istituita e quali sono le caratteristiche che contraddistinguono la Compagnia “IFunamboli” da Lei fondata e diretta?
La Compagnia “IFunamboli” è stata da me fondata nel 2011. Nel 2021 avrebbe dovuto festeggiare i suoi primi dieci anni con un grande evento artistico al Philarmonique di Parigi, con l’Orchestra Pasdeloup, rimandato, purtroppo, a causa della pandemia. Il decennale prevedeva una super programmazione a Parigi, poi slittata, e ora stiamo valutando se riprendere il progetto la prossima stagione o rimandare ulteriormente il tutto alla celebrazione per il compimento dei quindici anni di attività. È una compagnia camaleontica, polivalente, che può passare dal neoclassico al puro contemporaneo, non va in un’unica direzione. I danzatori hanno tutti una formazione differente, partendo naturalmente dalla base classica.
Le creazioni sono tutte Sue o ci sono anche dei coreografi ospiti? Quali sono quelle più rappresentative del repertorio della Compagnia?
Le creazioni sono tutte mie, perché, per il momento, la compagnia non può sostenere i costi di collaborazioni esterne, ma, tra i progetti futuri, vi è l’idea di invitare dei coreografi ospiti per lavorare a nuovi progetti. Il primo grande lavoro che ho portato in scena è Petites Pièces, uno spettacolo che si compone di brevi coreografie, inframezzate da momenti musicali interpretati dal vivo dal pianista Andrea Turra e dal violinista Amaud Nuvolone, entrambi dell’Opéra de Paris, da cui provengono anche alcuni danzatori che fanno parte del cast. In quest’opera si delinea chiaramente l’evoluzione del mio lavoro per la Compagnia, da quando ho cominciato nel 2011 a oggi. Il lavoro più recente si intitola De Homine e tratta temi molto attuali, ossia il bullismo, l’omofobia, tutto ciò che riguarda l’emarginazione. Lo spettacolo debutterà il 4 marzo 2023 al Teatro Impavidi di Sarzana, in Liguria. In scena quattro danzatori affrontano il tema del bullismo e della discriminazione di genere. Anche questo spettacolo affonda le radici in Petites Pièces, poiché parte inizialmente da una breve creazione di quindici minuti che ne faceva parte, presentata nel 2018 al concorso internazionale “Les Synodales”, un concorso per coreografi molto famoso in Francia, dove De Homine ‒ che inizialmente si chiamava Uomini ‒ ha ricevuto il primo premio per la creazione dal Consiglio Regionale di Borgogna e Franca Contea. Mi sono stati assegnati dei fondi e così ho avuto la possibilità di sviluppare questo tema e dar vita a una creazione più completa della durata di sessanta minuti, che è stata poi rappresentata in numerosi festival in Francia e in Italia.
Crede che la danza abbia il potere di sensibilizzare il pubblico sul tema, così attuale, del bullismo?
Credo che la danza sia un potente mezzo per sensibilizzare il pubblico su tematiche di rilievo sociale. Questo spettacolo è aperto a tutti, in particolare ai giovani; infatti, avremo delle matinées nelle scuole in Francia e questo è molto importante. Qualche tempo fa, in Francia, dopo essere stato vittima di bullismo, un ragazzino di tredici anni si è suicidato. Il bullismo è un tema molto importante, da mettere in risalto, non da nascondere in un angolo. Nel nostro programma di spettacoli per le scuole è previsto anche un dibattito con il pubblico e soprattutto con i giovani, perché bisogna fare cultura su questo, spiegare bene come evitare ogni forma di discriminazione. Soltanto con il sapere e con la cultura si potranno sconfiggere queste piaghe sociali.
Le è mai capitato di vivere direttamente forme di discriminazione?
Sì, questo è un tema a cui sono particolarmente legato e che mi tocca molto da vicino, perché, quando ero a scuola, sin dalle elementari, ero spesso schernito per il fatto di frequentare dei corsi di danza. A quei tempi i maschietti che studiavano danza erano malvisti, senza capire che scegliere l’arte coreutica è un’esigenza interiore che poco ha a che fare con l’appartenenza di genere. Io arrivavo a metter su una maschera per difendermi dai pregiudizi e non essere bullizzato. Tutti questi temi per me sono molto importanti e li sento profondamente. Un’altra mia creazione che prende spunto da tematiche sociali si intitola Outdoor # Our Revolution #. Andrà in scena la prossima stagione ed è incentrata sul concetto di maschera che spesso si è costretti ad indossare nel quotidiano per adeguarsi a determinati gruppi o situazioni. È uno spettacolo forte, a cui prendono parte sei danzatori, che segue dei ritmi alternati, diversifica le atmosfere dei vari momenti e si conclude rivolgendo al pubblico domande e affermazioni provocatorie sotto forma di cartelli. Il quesito che si pone è: quanto siamo realmente puri o noi stessi? Quanto invece fingiamo pur di essere accettati dalla società? Ognuno è spinto ad interrogarsi su temi intimi, profondi, sociali e viene guidato nel mettere alla prova la propria capacità di autoanalisi. Anche Outdoor # Our Revolution # trova il suo focus sui temi della diversità e della (non) inclusione, declinati nei più diversi ambiti della vita di ogni individuo: rapporti interpersonali, società e socialità, politica, credo religiosi, identità sessuale, espressione del sé. All’interno della rappresentazione la diversità trova la sua metafora nella figura mitologica dell’Unicorno, animale sacro, simbolo puro, intoccabile, leggendario, il cui corno a spirale ha il potere di neutralizzare i veleni.
Qual è il significato profondo di tale simbologia?
L’Unicorno viene portato in scena dai danzatori che indossano una maschera che ne ricrea le sembianze. La maschera ha un duplice significato: esalta la natura unica, sacra e leggendaria dell’Animale-Uomo e contemporaneamente è un rifugio dietro cui celare queste stesse prerogative. È un pretesto per evitare il confronto, la discussione, la battaglia, nel voler affermare le esigenze del proprio io, l’espressione, i desideri, soprattutto quando questi sono troppo scomodi per lo status quo che la società impone. In un ambiente sociale in cui la difficoltà di comunicazione sta allontanando sempre di più gli esseri umani, in cui la parola è sostituita da messaggi digitati dal mondo virtuale, in cui le emozioni non trovano la via per manifestarsi, l’Uomo-Unicorno di Outdoor instaura con il pubblico una comunicazione fatta di gestualità e fisicità chiare e dirette. L’intento è porre degli interrogativi agli spettatori, indurli, a porsi, a loro volta, delle domande. Il concetto alla base è che la danza deve coinvolgere il pubblico, invogliarlo a venire a teatro, per immedesimarsi e confrontarsi con ciò che vede, in un concetto artistico di partecipazione attiva. Creare coreografie per me non è solo mettere insieme delle sequenze di passi ben eseguiti, ma è esprimere, attraverso il movimento, un concetto in cui il pubblico possa immedesimarsi. Questo per me è molto importante.
Il Suo lavoro, quindi, è molto proiettato sul sociale e sui giovani?
Sì, tantissimo. In Francia lavoro come Professeur de Danse Contemporaine, attività che lì si può svolgere solo se si ha una laurea, il Diplôme d’État de Professeur de Danse. Per me la didattica è molto importante. Come professionisti, abbiamo un compito preciso riguardo la formazione dei giovani. Abbiamo una responsabilità enorme, perché ogni allievo è un terreno fertile; se lo concimiamo bene, il suo seme crescerà rigoglioso. Io vengo da una realtà spartana, da una famiglia di persone che coltivavano i fiori, una realtà naturale. La mia famiglia mi ha insegnato l’essenziale, che per me è sinonimo di una buona terra, un buon concime, il seme che aspetti che cresca. Questo fiore lo esponi in uno spettacolo. Riguardo il sociale, per me riveste grande importanza, poiché è ciò che può indirizzare la sensibilità dei giovani. Un artista è un essere umano e, come tutti gli altri, è calato nelle dinamiche della società. Il messaggio che rivolgo ai giovani è di avere una visione aperta, essere un cilindro in cui inserire tante cose per diventare un artista. In Italia esistono molti giovani talentuosi ma non ben indirizzati e questo è un vero peccato. Credo fortemente che andrebbero aiutati con le risorse giuste, perché i giovani rappresentano il futuro.
Da artista dalla nazionalità italo-francese, nota delle differenze nell’approccio all’arte coreutica?
Sicuramente noto delle differenze, perché, ovviamente, sono due culture completamente diverse. Io sono abituato a viaggiare molto e ho vissuto non solo in Francia, ma anche in Inghilterra e in altri Paesi, in tutto il mondo. Mi sono confrontato sempre con un ambiente cosmopolita e questo mi ha dato la possibilità di sviluppare una mentalità più aperta. Vivendo all’estero e confrontandosi con altre realtà, a distanza, si acquisisce una visione più chiara anche rispetto al proprio Paese. Ciò che io vedo è che in Italia troppo spesso la danza si basa su stereotipi e modelli televisivi. In Francia c’è una cultura completamente diversa. I teatri sono sempre pieni, che si tratti di teatro di prosa o di danza, la gente va sempre a teatro. La televisione è totalmente distinta dal teatro. Non c’è una Maria De Filippi. Esistono programmi simili, ma non di così grande risonanza mediatica, quindi l’approccio è diverso. Un ragazzo entra al Conservatorio perché sa che, se deve andare a ballare all’Opéra o in una compagnia, deve comunque studiare e lavorare sodo prima di avere una carriera da danzatore.
Ha mai pensato di creare una Compagnia anche in Italia?
No, non ci ho mai pensato perché è già difficile gestirne una in Francia, però ho tanti progetti in Italia, con compagnie junior e centri coreutici molto noti. La mia attività si svolge costantemente tra la Francia e l’Italia, in una visione di sviluppo artistico internazionale. Uno dei progetti, iniziato tre anni fa, si intitola Atelier Paris&Italie ed è indirizzato a giovani danzatori semi-professionisti, ai quali, dopo un’accurata selezione, sono assegnate delle borse di studio a Parigi, città nella quale hanno la possibilità di studiare con professionisti di caratura internazionale che, nel percorso di formazione, spiegano e insegnano loro pièces del repertorio di coreografi quali Kylian, Forsythe e della mia compagnia, avendo così una grande opportunità di crescita.
Dal punto di vista dell’organizzazione della Compagnia, Lei si occupa di tutto, oltre che della parte artistica?
Io mi occupo solo della parte artistica. Per il resto posso contare su un validissimo staff, composto da collaboratori che si occupano della distribuzione degli spettacoli, in Francia Mike Derrua, in Italia Mia Meneghini. Poi ho un assistente alla coreografia, Rafael Molina, e un mâitre de ballet, Maria Pia Di Mauro, oltre al Presidente e al Tesoriere e a tante altre figure che rendono la Compagnia una bella squadra.
Quali sono i Suoi progetti futuri, ci sono altre produzioni in cantiere?
Tra i progetti più immediati, il 24 febbraio 2023, vi sarà una nuova rappresentazione di Petites Pièces al Théâtre Montdory a Barentin, in Francia e, come già anticipato, la messa in scena di De Homine al Teatro Impavidi a Sarzana il 4 marzo 2023. Tra i miei progetti a più lungo termine c’è lo sviluppo della Compagnia a 360 gradi, oltre alla messa in scena ‒ come già accennato ‒ nella prossima stagione, di Outdoor # Our Revolution #.
Il suo messaggio finale come coreografo?
Amo i danzatori, perché vestono di un fluido molto strano il nostro movimento, troppo asciutto per essere visto da tutti. Creiamo un gesto, i danzatori lo assimilano, lo coreografano. Ma lo rispettano, lo deformano addosso man mano, come un costume. Questo è misterioso. Noi coreografi abbiamo bisogno di loro, perché noi siamo in sala, e loro sul palco, siamo nell’oscurità e loro nella luce.
Lorena Coppola
Photo Credits: Tommaso Giuntini – Paolo Provenzano – Mario Sguotti