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“La Fille de marbre”, storia di un balletto dimenticato

Nel cuore dell’epoca romantica, tra passioni impossibili, visioni oniriche e mondi oltre la realtà, nacque un balletto che riuscì a scolpire nella danza il dramma dell’amore ideale: La Fille de marbre.

Presentato per la prima volta all’Opéra di Parigi il 20 ottobre 1847, questo balletto-pantomima in due atti segnò non solo un trionfo scenico, ma anche uno dei momenti più simbolici della carriera di Fanny Cerrito e del suo compagno di scena e coreografo Arthur Saint‑Léon.

La Fille de marbre trae ispirazione evidente dal mito classico di Pigmalione, lo scultore che si innamora della propria creazione. Ma qui, il racconto assume una tinta più cupa e gotica.

L’artista protagonista, Manassès, chiede al destino che la sua statua prenda vita. Nasce così Fatma, fanciulla idealizzata, danza vivente del sogno dell’uomo. Ma l’incantesimo ha un prezzo: la vita senza amore.

Quando Fatma ricambia l’affetto, la maledizione si spezza — e la bellezza viva ritorna pietra.

Non c’è lieto fine, solo l’eterno ritorno alla materia inerte, come a dire che la perfezione non può restare troppo a lungo nel mondo degli uomini.

Nessuna interprete avrebbe potuto incarnare meglio Fatma della napoletana Fanny Cerrito, nota per la sua tecnica brillante e il portamento quasi scultoreo. Nel suo corpo si fondevano grazia e forza, passione e geometria.

Quando danzava, Fatma sembrava davvero sospesa tra il respiro e il marmo.

Saint‑Léon firmò la coreografia, mentre Pugni orchestrò l’universo musicale, alternando passaggi lirici e momenti di tensione drammatica.

I critici dell’epoca non mancarono di sottolineare alcune incoerenze narrative o eccessi scenografici. Ma il pubblico, affascinato dall’elemento rispose con entusiasmo.

Oggi, La Fille de marbre non è più rappresentata, ma vive come memoria estetica in musei, archivi e studi accademici.

La figura di Fatma – idealizzata, negata, perduta – continua a parlare a chiunque si sia mai innamorato di un sogno.

E Fanny Cerrito? Rimane, come la sua creatura, scolpita nel tempo. Un marmo che danza ancora.

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

©️ Riproduzione riservata

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