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Compie 103 anni l’ultima diva del balletto storico: Tatiana Leskova

Ci sono vite che non si misurano in anni, ma in lampi di grazia. In sospensioni d’aria. In quel gesto impercettibile in cui un braccio si solleva, una caviglia vibra, e tutto il mondo sembra fermarsi per un istante. 
Oggi Tatiana Leskova compie 103 anni, e la sua storia — rara, antica, scintillante — continua a vibrare come una corda tesa tra due secoli.

Nata il 6 dicembre 1922 a Parigi da famiglia russa in esilio, nipote dello scrittore Nikolaj Leskov e discendente dell’aristocrazia imperiale, Tatiana porta nel proprio nome il suono delle grandi fughe, dei viaggi notturni, delle valigie chiuse in fretta dopo la Rivoluzione del 1917.

La sua infanzia non è solo nostalgia: è una radice fertile, un orizzonte severo che si apre su una vita di dedizione assoluta all’arte.

La bambina che cercava la luce
A tredici anni, mentre i suoi coetanei ancora scoprono il mondo, Tatiana varca le porte dell’Opéra Comique di Parigi. È piccola, ma brilla. Lubov Egorova — grande étoile del Teatro Mariinsky, anche lei esule — ne scolpisce la postura, il rigore, la disciplina antica. 
La danza, per Tatiana, non è un gesto: è un destino, una promessa fatta alla vita. A sedici anni entra nell’Original Ballet Russe del Colonel de Basil. Non un semplice contratto: un’iniziazione. Londra le apre le braccia e, subito dopo, un universo. È qui che Tatiana, adolescente con la spina dorsale dell’aristocrazia e lo sguardo pieno di stupore, convive artisticamente con i mostri sacri del Novecento: Michel Fokine, Bronislava Nijinska, Balanchine, Picasso, Miró, Stravinskij, Rachmaninov. Con George Balanchine nascerà un’amicizia lunga una vita: due spiriti che si riconoscono.

Sud America, un destino inatteso
La tournée dell’Original Ballet Russe attraversa oceani e approda in Brasile, e là accade ciò che nessun coreografo avrebbe potuto premeditare: la vita entra in scena senza chiedere il permesso. 
Tatiana si innamora. Il Brasile la accoglie come si accoglie una stella arrivata dal cielo: con stupore, con gioia, con desiderio. Sceglie Rio de Janeiro, sceglie un uomo, sceglie una libertà diversa.
 E scambia una carriera internazionale già luminosa per la Golden Room del Copacabana Palace, il palcoscenico dove il suo destino si trasforma.

La maestra che costruì un paese
Il Brasile, allora ancora inesperto di balletto classico, trova in Leskova una fondatrice, una radice, una donna che pretende l’impossibile per amore della danza. A ventisette anni dirige per la prima volta il Balletto del Teatro Municipal di Rio de Janeiro: da lì in poi, la compagnia non sarà più la stessa. Arrivano le stagioni intense, quasi quotidiane; arrivano le prime tournée, gli inviti internazionali, le stelle che lei stessa porta in Brasile come ambasciatrice della danza mondiale. 
I suoi allievi parlano di un rigore che punge, ma costruisce. Di un temperamento che smonta per poter ricostruire meglio. Della magia di una donna che, senza alzare la voce, sapeva piegare il tempo per insegnare l’essenziale. Nella sua Scuola di Copacabana formerà centinaia e centinaia di ballerini: le sue mani, metaforicamente, hanno plasmato la spina dorsale del balletto brasiliano.

La poesia fatta coreografia
Nel 1960 crea Le foyer de la Danse, balletto ispirato ai pastelli di Edgar Degas e accompagnato dalla sinfonia classica di Prokofiev. 
Qui la Leskova rivela un altro tratto del suo genio: l’occhio pittorico. L’aula ottocentesca di Degas — con le sue tonalità impalpabili, le luci liquide, le ballerine eterne — prende vita con una delicatezza che ha il sapore del sussurro. 
La pantomima diventa respiro, la gestualità diventa memoria.
 È un balletto che non “rappresenta”: evoca. In quell’opera c’è tutto: la Parigi che ha perduto, il rigore russo che ha ereditato, il Brasile che ha amato.

La donna dietro la leggenda
Tatiana Leskova non è mai stata soltanto una ballerina o una coreografa: è una custode. 
Ha lavorato in Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Paesi Bassi. È stata ballerina ufficiale di Leonide Massine. Ha calcato palchi storici come l’Opéra di Parigi, invitata da Rudolf Nureyev stesso. 
Eppure, la sua casa è un luogo semplice, pieno di ricordi, nel quartiere di Ipanema. Tra il mare e la luce, vive oggi un’icona del Novecento che ha visto tutto: rivoluzioni, esili, guerre, rinascite, metamorfosi. E che continua a regalarci un esempio raro di dedizione assoluta. La danza, nelle sue mani, non è mai stata un mestiere. È stata un modo di abitare il mondo. Una preghiera silenziosa. Una certezza. Tatiana non ha mai smesso di insegnarci una cosa:
 che la vera arte nasce dal sacrificio, e che il sacrificio, quando è autentico, diventa bellezza.

A questa straordinaria donna che ha attraversato un secolo come una cometa, a questa maestra che ha trasformato il Brasile in una patria del balletto, a questa coreografa che ha saputo danzare con la pittura, va oggi il nostro pensiero più poetico.

Buon compleanno con gratitudine da tutta la redazione del GD.

Michele Olivieri

Foto di Ana Branco

www.giornaledelladanza.com

© Riproduzione riservata

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