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Danza autoriale tra gioco e democraticità: intervista a Compagnie MF

Danza autoriale tra gioco e democraticità: intervista a Compagnie MF

 

La Compagnie MF viene fondata in Francia nel 2012 da Maxime Freixas, più tardi ne entra a far parte anche Francesco Colaleo e dal 2014 viene co-prodotta dalla compagnia italiana Artemis Danza/Monica Casadei, che ne sostiene le attività. La Compagnie sviluppa parte della ricerca coreografica del primo progetto Re-Garde attraverso delle residenze artistiche in centri internazionali: CID di Parma (IT), l’Espace 13 di Béziers (FR), Electa ACS (IT). Nel 2014 Re-Garde viene rappresentato al CID di Parma (IT), all’Espace 13 di Béziers (FR), al teatro la Cigaliere (FR), al festival Festival Mouvement Contemporain a Parigi e alle Pecq (FR). Nel 2015 la Compagnia vince con Re-Garde diversi premi coreografici: il premio Outlet per la rete abruzzese diretta da Eleonora Coccagna, il premio Cortoindanza diretto da Simonetta Pusceddu, il Tobina Festival diretto dall’associazione Ngamb’Art. Con il secondo lavoro, Beviamoci su_No Game, la Compagnie aggiunge una terza presenza autoriale/performativa: Francesca Linnea Ugolini.

 

Da dove nasce il nome della vostra compagnia, MF, così semplice, immediato e senza troppi fronzoli?

MF: Sono le iniziali del mio nome, Maxime Freixas, perché si tratta di un’associazione culturale fondata da me in Francia ancor prima d’incontrare Francesco e di venire a lavorare in Italia. Avevo intenzione di seguire un mio percorso individuale da coreografo e, dunque, nel momento in cui io e Francesco abbiamo creato il nostro duetto, ne ho approfittato per renderla ufficialmente reale.

FC: Da quel momento io sono divenuto “coreografo associato” ed è stato divertente notare come, per un buffo gioco linguistico, il nome della compagnia si fosse esteso a tutti e due senza apportare alcuna variazione: MF, Maxime e Francesco. A prescindere da questo, comunque, il titolo è stato concepito e confermato nel corso del tempo come qualcosa di non complicato, facilmente intuibile, nient’affatto questionabile.

La Compagnie viene fondata nel 2012 e dal 2014 è co-prodotta da Artemis Danza/Monica Casadei. In questi ultimi due anni c’è stata un’influenza della coreografa parmense sul vostro modo di fare e concepire la danza?

FC: In realtà no. L’opportunità di co-produzione che Monica Casadei ci ha concesso nel 2014 è stato il trampolino di lancio vero e proprio della compagnia, la quale, nonostante esistesse giuridicamente da due anni, non aveva avuto ancora modo di istituirsi a tutti gli effetti, soprattutto perché Maxime era sempre impegnato a lavorare in qualità di danzatore professionista. E ci tengo a sottolineare la gratitudine che nutriamo nei confronti della co-produzione di Artemis Danza in virtù – soprattutto – del sostegno economico  iniziale che ci ha permesso di realizzare le prime tappe del nostro percorso, senza però interferire con le idee coreografiche che intendevamo e intendiamo realizzare.

Parlatemi un po’ di Re-Garde, la prima opera della compagnie. Da dove nasce? Che messaggio vuole trasmettere?

MF: La proposta iniziale è stata mia, perché mi incuriosiva tutto ciò che riguardasse lo sguardo. Siccome ho avuto la fortuna di viaggiare molto tra Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Regno Unito e Svizzera, ho potuto constatare di persona quante diverse tipologie di sguardo esistano, relative non soltanto all’estrazione geografica ma anche all’età. Quando si è bambini, lo sguardo è “pulito”, neutro, innervato di un pregiudizio innocente che, crescendo, diviene sempre più pungente, messo in evidenza da una maschera dai tratti assai negativi. Il mio scopo, dunque, è quello di condividere col pubblico questa esperienza sensoriale da me vissuta.

FC: L’opera vuole essere, infatti, un’esperienza empirica su uno dei cinque sensi che – a nostro avviso – è banalizzato, cioè la vista. Alla base, quindi, di Re-Garde vi è un percorso di sensibilizzazione sull’importanza della vista e su quanto essa condizioni il nostro esistere nel mondo, il quale ci rende spesso vittima del pregiudizio perché legato all’apparenza piuttosto che alla vera essenza. Questa sensibilizzazione indotta si focalizza soprattutto sullo sguardo interiore, più intimo, che riflette al meglio il carattere della gente, diversamente da quella maschera di cui parlava prima Maxime. Il fine è il raggiungimento dell’espressività di un io umile, genuino, attraverso una spontaneità dei gesti (performati in tutta la pièce) che paragonerei concettualmente al “fanciullino” pascoliano, spontaneità che, cucendosi addosso a noi due in scena, rende sì palese un certo grado d’intimità ma sempre in secondo piano rispetto allo scopo sensibilizzante esposto poc’anzi.

Con Re-Garde avete ottenuto diversi premi e riconoscimenti, e in particolare nel 2015 il Premio Outlet, il Premio Cortoindanza e quello del Tobina Festival. Che sensazioni provate, alla luce soprattutto dell’emergente carriera da Compagnie che avete alle spalle?

FC: La viviamo come un sogno. E non in senso metaforico. Siamo davvero increduli di avere conseguito tutte queste vittorie. Soprattutto perché, per noi, salire ogni volta su un palcoscenico per far vivere la nostra danza rappresenta già una grande conquista e suscita, di conseguenza, un’enorme emozione. Con ciò voglio dire che, a tutt’oggi, non siamo davvero consapevoli di aver vinto dei premi da primo classificato, perché l’obiettivo primario non era quello di guadagnarli a tutti i costi, bensì di avere sempre un’occasione in più di condividere il nostro universo e la nostra esperienza.

MF: Quando abbiamo creato Re-Garde, infatti, non pensavamo assolutamente al successo che avrebbe potuto avere, ma ci concentravamo solo sull’aspetto ludico dell’opera, su quanto potevamo divertirci nel danzare insieme per raccontare ciò che più ci stava a cuore. Ci siamo messi letteralmente a giocare, fino a che non è nato il nostro primo “bambino”, che performiamo ogni volta con l’illusione di non avere alcuna aspettativa, in maniera tale che, quando riceviamo un premio, ci lasciamo piacevolmente disilludere.

Passiamo al secondo lavoro, Beviamoci su_No Game, in cui a essere in scena è un trio, composto da voi due e Francesca Linnea Ugolini. Com’è stato introdurre il terzo elemento nel vostro consolidato duo?

FC: Sempre in linea con la prospettiva di gioco precedentemente esposta, ad un certo punto ci siamo detti: «perché non creiamo un trio?!». E così abbiamo chiesto a Francesca, che conoscevamo già da tempo professionalmente parlando e con la quale abbiamo anche un rapporto d’amicizia, di creare con noi questo trio e, di conseguenza, Beviamoci su_No Game, proposte che lei ha accettato di buon grado. Ci siamo lanciati in questa nuova avventura a seguito della vincita del Premio Outlet, grazie alla quale abbiamo avuto la residenza artistica presso il Teatro Spazio Electa di Eleonora Coccagna, dove abbiamo potuto lavorare sulla nostra seconda pièce in un spirito sempre parco di aspettative. E il lavoro è stato al contempo più difficile (tre cervelli da mettere in connessione piuttosto che due) e interessante (la componente femminile del trio ha apportato un tessuto emotivo differente). Insomma, il numero 3, che da sempre ha subito geometricamente e simbolicamente delle gravi depressioni, ci sta confermando appieno la proverbiale assimilazione alla perfezione. Soprattutto, nel nostro caso, da un punto di vista dinamico: tutte le prese e le sequenze di danza contact di una composizione a tre rivoluzionano completamente quelle architetture che avevamo prestabilito nel duetto, confluendo verso un processo creativo basato su un profondo ascolto, su dinamiche che non escludono nessuno dei tre performer.

Nel curriculum vitae della Compagnie MF comparite tutti e tre in qualità di interpreti/coreografi. È questa la chiave di lettura che volete promuovere del vostro concetto di “compagnia”?

FC: Esattamente. Quando abbiamo riflettuto sullo statuto che la nostra Compagnie dovesse assumere, considerando il fatto che le tre figure autoriali collimano con quelle da interpreti, ci è balenato il pensiero che la dicitura di “collettivo” potesse essere più appropriata rispetto a quella di “compagnia”. Ma, francamente, in me c’era la voglia di rivoluzionare questo assunto, comunicando attraverso ogni piccola possibilità a disposizione che a noi apparteneva di più il secondo dei termini citati. Il concetto di “compagnia” rende più onore – a mio avviso – rispetto a quello di “collettivo”, che mi pare avere una connotazione sociale più che artistica; e poi il termine “compagnia” rispecchia antropologicamente quello che siamo noi, il nostro affiatamento, il nostro essere parte fondamentale e integrante della fase produttiva, al contrario dei grandi ensemble, capeggiati da un autore che si aggiudica imprescindibilmente il merito della partitura danzata, anche quando creata per buona parte dagli stessi performer. Il nostro intento, dunque, è quello di democraticizzare il processo di creazione coreografica, augurandoci di fungere da exemplum per molte altre compagini della scena contemporanea.

MF: Confermo appieno le parole di Francesco, aggiungendo che dal momento in cui ho fondato la Compagnie MF ho perseguito (e perseguo tuttora) l’obiettivo di portare la mia “creatura” nel suo luogo di nascita originario, in Francia, invitando coreografi dall’esterno a risiedere presso di essa per plasmare progetti performativi nuovi, nei quali anche noi stessi potremmo essere coinvolti come danzatori. Ecco perché abbiamo deciso di non instaurare una netta distinzione tra il ruolo artistico al di qua e quello al di là del palcoscenico. Una compagnia, insomma, che non “appartiene” ad un coreografo, ma a danz’autori e anche (altri) coreografi.

Progetti per il futuro?

FC: C’è un assolo di Maxime, coreografato da me, dal titolo Ospite Lontano_Sindrome di Ulisse, debuttato al Teatro Comunale de Micheli a Copparo (FE) lo scorso ottobre 2015, che andrà in scena l’11 e 12 giugno al Solo Dance Contest di Gdansk in Polonia e sarà poi ripreso da noi per sviluppare ancor meglio questa tematica che ci è risultata molto interessante. In seconda battuta, c’è un progetto sulla sensualità che coinvolgerà più di tre danzatori (probabilmente sei), ancora in piena fase di ideazione e comunque rivolto ad un’attuazione sicuramente non legata all’imminente futuro. Infine, nell’immediato presente c’è la selezione alla Vetrina 2016 di Anticorpi XL a Ravenna, a cui parteciperemo col trio Beviamoci su_No Game.

 

Marco Argentina

www.giornaledelladanza.com

Compagnie MF / Beviamoci su_No Game © Christian Di Egidio

Compagnie MF / Re-Garde © Christian Di Egidio

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