Find the latest bookmaker offers available across all uk gambling sites www.bets.zone Read the reviews and compare sites to quickly discover the perfect account for you.
Home / News / Interviste / Intervista a Francesco Resch dei “Ballets de Monte-Carlo”

Intervista a Francesco Resch dei “Ballets de Monte-Carlo”

Francesco Carl Ludwig Resch, nato a Brescia nel 2000 ma cresciuto a Bolzano, è un ballerino professionista italiano dei Ballets de Monte-Carlo. Dopo essersi diplomato con il massimo dei voti presso la prestigiosa Accademia dell’Opera di Vienna, a diciotto anni è stato assunto all’“Eifman Ballet” di San Pietroburgo, diventando il primo italiano nella storia della compagnia. Dopo un anno in Russia, è tornato in Europa e nel 2019 si è unito ai Ballets de Monte-Carlo, sotto la direzione artistica di Jean-Christophe Maillot. A vent’anni ha interpretato il suo primo ruolo da solista, Oberon, in “Sogno di una notte di mezza estate” di Maillot. Successivamente ha ottenuto altri ruoli di prestigio, come Romeo, il principe nello “Schiaccianoci”, il Lupo in “Oeil pour Oeil”, il Re nel “Lago dei cigni” e Hortensio in “La bisbetica domata”, sempre sotto la direzione di Maillot. Nel 2023 ha avuto l’onore di condividere il palco con la grande étoile Olga Smirnova in “Romeo e Giulietta”, a Siviglia e a Brescia. Il suo repertorio da solista include anche il Toreador della “Carmen” di Johan Inger, il passo a due principale in “Within the Golden Hour” di Christopher Wheeldon, “In Memoriam” di Sidi Larbi Cherkaoui e la coppia principale in “La Waltz” di George Balanchine.

Francesco come ti sei avvicinato alla danza?
Mi sono avvicinato alla danza per caso, all’età di sette anni. Dovetti passare un pomeriggio assieme alle mie cugine e dopo aver fatto i compiti della scuola elementare, le accompagnai alla scuola di danza. Ricordo di aver pensato che fosse “ Uno sport da femmine”, per nulla adatto ad un maschio. Ma quando entrai nella saletta, rimasi affascinato dalle fotografie di ballerini e ballerine appese alla parete, raffiguravano uomini che sembravano volare nell’aria, e donne che alzavano le gambe quasi toccandosi la testa. Decisi di rimanere a guardare la lezione, mentre mia madre partì per fare la spesa al supermercato, quando tornò a prenderci, mi trovò alla sbarra che cercavo di replicare tutto quello che facevano.

Quali sono le immagini che affiorano se pensi agli anni trascorsi all’Accademia di Vienna?
La prima immagine che emerge è senza dubbio, me stesso assieme ai miei compagni di classe ed il nostro insegnante nella sala grande dell’Opera. Ricordo, chiaramente, la fatica, il sudore e la stanchezza, ma erano sensazioni provate da tutti noi, quindi ci facevamo forza a vicenda. Sono ricordi comunque bellissimi quelli del mio periodo a Vienna, avevo dei compagni di classe che erano come fratelli, ed è molto raro nell’ambito della danza, in aggiunta erano gli anni dell’adolescenza, quindi sono nati i miei primi amori, le prime vere delusioni, ed oltre il duro lavoro a cui eravamo tutti devoti, ci siamo divertiti tanto. Ho spesso un po’ di nostalgia di quel periodo.

Ricordando i tuoi inizi un pensiero è rivolto anche a Martin Zanotti, Renate Kokot, Chiara Tanesini, docenti della tua città d’adozione, i quali ti hanno accompagnato nel cammino di formazione?
Tutti loro hanno dato un’enorme contributo alla mia formazione, ovviamente Chiara Tanesini è stata la mia prima insegnante, è stata lei a farmi innamorare di quest’arte, ed ha avuto molta pazienza con me, perché ero un bambino particolarmente vivace, mi piaceva far ridere tutte le bambine in sala, così mi attribuì il titolo del pagliaccio. Non mi riprese mai più di tanto, mi lasciava esprimere e divertire. Credo sia importante a quell’età permettere questo tipo di spazio ai bambini, se fosse stata troppo rigida con me probabilmente non avrei continuato a danzare, inconsciamente associavo la danza all’espressione di me stesso. Con Renate Kokot, cambiarono parecchie cose. Mi trasmise la disciplina ferrea e la serietà che deve avere un buon ballerino e allievo. Martin Zanotti mi diede lezioni durante il mio ultimo anno a Bolzano, prima di entrare in Accademia, debbo moltissimo anche a lui, mi preparò tecnicamente e fisicamente ai severi regimi accademici.

Che esperienza hai vissuto al “Eifman Ballet” di San Pietroburgo?
Fu una delle esperienze più importanti della mia vita, il mio anno in Russia. Avevo diciotto anni e approdai dal nulla, come un marziano, alla compagnia. All’inizio non fu semplice adeguarmi al loro stile di danza, e prevalentemente di vita. Abitavo in un appartamento assieme ad altri sei colleghi, condividevamo un bagno ed una cucina con solo quattro fornelli. Trovai il mondo russo freddo e molto distaccato sotto un aspetto umano, ma con il passare del tempo, dopo aver imparato a farmi comprendere con la lingua, perché nessuno parlava inglese, o meglio, nessuno voleva parlare in inglese, iniziai a saldare delle amicizie. Da un punto di vista lavorativo mi trovai bene, nonostante i ritmi fossero assai ostici, e la gerarchia giocasse il ruolo più importante all’interno della compagnia. Lavorai alcuni giorni anche per nove ore, altri non avevo neanche il tempo di pranzare, finivamo tutte le sere alle dieci, escluso il sabato, mi rimaneva solo il tempo di mangiare e dormire. Ma nonostante tutto ciò amo i balletti di Boris Eifman, e danzarli fu la mia motivazione di permanenza.

Come mai sei rientrato in Europa solo dopo un anno?
Decisi di rientrare per motivi vari. Pensai di aver imparato molto in quella compagnia, da una prospettiva umana e professionale, ed ero convinto che fosse giunto il momento di cambiare per ampliare il mio repertorio. A San Pietroburgo rappresentammo solo coreografie di Boris Eifman, ed ebbi fame di nuove esperienze.

Molti danzatori dicono che la danza è sacrificio ed altri dicono l’esatto opposto. Tu da che parte stai?
Non è semplice parteggiare queste opinioni, però dico apertamente che non mi piace chiamarli sacrifici, è un termine con un peso importante, ho dato molto di me stesso affrontando difficoltà e ho dovuto prendere decisioni fondamentali, ma ho anche ottenuto tante gratificazioni. Il nostro è un regalo ed un privilegio, quello di fare ciò che amiamo. Penso che i sacrifici li facciano le persone che si svegliano alle cinque di mattina, fanno due lavori e non riescono comunque a mettere del cibo a tavola per i propri figli, o bambini che, purtroppo, sono in ospedale, quando dovrebbero godere della propria infanzia. Conoscendomi so per certo che una vita comune non mi appartiene, e ciò che ho affrontato, o deciso, ha fatto in modo che potessi vivere la vita che volevo, viaggiare, conoscere persone, danzare su palchi di tutto il mondo, ma d’altro canto ho avuto anche qualche perdita, non ho visto mia sorella crescere, non ho potuto essere vicino a mia madre mentre affrontava una malattia importante, mia nonna sta diventando sempre più anziana e non posso approfittare della sua presenza per molto, ma non li considero veri sacrifici. Dunque è una vita colma, e le decisioni da prendere mi hanno messo in difficoltà a volte, ma credo di essere sempre stato ripagato.

La vita è fatta di passioni, la danza è una di queste, ne coltivi altre nel tuo tempo libero?
Scrivo da quando sono adolescente, amo i libri di Hemingway, Nietzsche, D’Annunzio, Bukowski, e guardo molti film. Lo sport ha anche giocato un ruolo importante nella mia vita, seguo con passione il pugilato ed amo correre.

Cosa rende speciale la compagnia dei “Ballets de Monte-Carlo”?
Secondo la mia opinione sono le coreografie di Jean-Christophe Maillot e tutto il team di supporto della compagnia. Sono onorato di lavorare ai “Ballets de Monte-Carlo”, di danzare i suoi balletti e di poter lavorare con lui.

Mentre cosa rende speciale il direttore Jean-Christophe Maillot?
È un vero artista, ed è umano. Trovo intrigante la sua visione sulla danza, le sue coreografie permettono di esprimere esplicitamente le sensazioni del personaggio/ruolo che si interpreta. Ogni passo, ogni movimento ha un significato, e lui si aspetta che questo sia il linguaggio del racconto di una storia. Passiamo parecchio tempo a parlare del ruolo oltre che a perfezionarlo tecnicamente.

Come è nato il progetto di ricominciare a studiare, nello specifico al corso per insegnanti, che ti ha portato al diploma nel 2024?
Essenzialmente per ritornare alle basi e l’ho fatto per me stesso, ero sicuro che riprendere a studiare mi avrebbe aiutato come attuale ballerino. Imparare ad insegnare ti permette di entrare nel dettaglio, non si può semplicemente mostrare un passo ad un bambino o bambina, bisogna usare una terminologia corretta, analizzare un movimento, saper spiegare come incanalare le energie, di conseguenza questo percorso si è mutato anche in una autoanalisi della tecnica.

Un maestro non insegna solo i passi… qual è la dote più importate a tuo avviso?
Un buon insegnante dovrebbe conoscere la psiche d’un allievo, adattare i propri metodi individualmente e sapere sino a che punto spingere uno studente. Un maestro, secondo la mia opinione ha anche il dovere di educare e disciplinare i ragazzi, dato che nella maggior parte delle accademie, i giovani vivono soli e non hanno un riferimento parentale.

A quale metodo di danza classica accademica sei più affine e perché?
Sono cresciuto con il metodo accademico Vaganova e lo trovo più affine a me, per un ragazzo credo metta delle basi salde e crei una muscolatura forte e potente, ma trovo che variare sia importante, dunque non mi radico in un solo stile.

Chi sono i vostri maestri in compagnia, oltre al direttore Maillot? Vuoi fare un piccolo ritratto di ognuno di loro?
Sono tutti ex ballerini della compagnia, si completano a vicenda, hanno tutti un approccio alle prove differente e non tralasciano nulla delle direzioni del coreografo, Bernice Coppiters, Musa di Mr. Maillot è stata la persona che mi ha dedicato più tempo per la crescita artistica, dedicandomi molta cura per ogni ruolo. Sono debitore della mia carriera a tutti loro.

La danza contemporanea da qualche anno affianca la danza classica in ogni prestigiosa compagnia internazionale, per tua esperienza convivono sempre al meglio le due discipline?
Sono due discipline il cui approccio è differente, ma la convivenza tra classico e moderno è cambiata nel tempo, personalmente sono più affine al neoclassico e contemporaneo, il balletto classico non mi appartiene più, anche se sono dell’idea che ogni ballerino debba avere una solida base di tecnica classica.

Nella tua carriera, due produzioni che ti hanno arricchito quali sono?
Romeo e Giulietta” e “Oeil pour Oeil”, entrambi di Jean-Christophe Maillot.

Mentre il ruolo che caratterialmente hai sentito più tuo?
Romeo senza alcun dubbio, è un ruolo molto intimo, sono costretto a rivivere e agire come un ragazzo adolescente che sperimenta la meravigliosa sensazione del primo amore. Mi provoca un’emozione profonda, riportare alla luce quel periodo di vita in cui le responsabilità sembravano remote, di conseguenza ogni azione era più impulsiva. Il romanticismo, la poesia e un fanciullesco modo di guardare il mondo, sono gli elementi principali di questo suo carattere e che amo.

Quando si partecipa a delle creazioni, non si è solo esecutori, ma si porta del proprio all’interno del lavoro. Così capita anche in prova con i Balletti di Monte-Carlo?
Assolutamente sì, Mr. Maillot si ispira molto ai ballerini che ha dinanzi a lui.

Per numerosi ballerini è uno sviluppo graduale che avviene in maniera naturale passare dall’essere danzatore a coreografo. A te Francesco piacerebbe?
Ci ho pensato, ma non credo faccia per me divenire coreografo. Non ho un buon orecchio musicale, e penso che sia una delle qualità più importanti che un creatore debba avere. Ho scritto delle sceneggiature per il teatro, che un giorno potrebbero essere adattate ad un balletto quindi non do nulla per scontato.

Tra tutti i grandi coreografi del passato a chi sei maggiormente legato?
Decisamente a Jean-Christophe Maillot.

Mentre dell’attuale scena a chi rivolgi il tuo sguardo, oltre al direttore Maillot?
Sono affascinato da vari coreografi, ma principalmente mi piace posare lo sguardo sui giovani, credo abbiano molto da dire, molto da gridare al mondo. Seguo spesso gli eventi “Young Choreographers”, e noto come cercano di mettere una loro impronta circa i passi, la musica, la storia, è un esperimento per molti, una ricerca, e io sono una persona curiosa.

Francesco nella professione tersicorea hai sempre seguito il tuo istinto?
Nella maggior parte dei casi sì, ho seguito il mio istinto. Dipende poi dalle situazioni, in alcuni casi, con il senno di poi, credo di aver fatto bene ad aver dato retta alla ragione.

In cosa trovi che la danza si stia rinnovando? Dove vedi la maggiore evoluzione?
Ogni ente legato al teatro sta cercando di rimodernizzarsi per mezzo della tecnologia, tramite dirette, pagine internet, social media, avvicinando le persone, anche, a ciò che accade dietro le quinte.

Doti e proporzioni fisiche sono fondamentali in un ballerino, e con la crescita si modificano, a te com’è andata maturando?
Ho lo stesso fisico da quando ho quindici anni, sono sempre stato un ragazzo dall’ossatura pesante, ed una corporatura muscolosa, senza dover ricorrere ad intensi allenamenti in palestra, aumento di massa muscolare facilmente. Credo che il mio fisico sia stato un grande aiuto nella mia carriera, ho subìto pochi infortuni, ed ho un recupero veloce.

Quando si balla c’è una forma di egocentrismo nell’affrontare il palcoscenico?
In alcuni casi sì, dipende dall’individuo, ma non dovrebbe essere così, secondo la mia opinione, prima di tutto viene il ruolo e il balletto.

Cosa significa per te la “bellezza dell’arte”?
Secondo me la bellezza dell’arte è quando un’opera suscita un sentimento, non importa quale, l’osservazione di essa deve riuscire a distaccarmi per un attimo dal mondo reale, raccontarmi una storia, farmi riflettere.

Mentre l’estetica?
L’occhio vuole la sua parte, l’estetica trovo sia importante, associata ad una profondità etica e morale.

Quanto è importante nel tuo lavoro il binomio corpo/spazio?
Il binomio corpo e spazio è la danza!

Qual è il momento che più ti affascina in sala prove?
Il momento più affascinante è il processo di ricerca, che nasce quando si lavora sul carattere di un ruolo.

Per un artista reputi sia necessario sapersi rinnovare o è meglio rimanere sempre fedeli al proprio stile e al proprio trascorso?
Sapersi rinnovare è fondamentale, la danza, nell’individuo che la pratica, è un’esplorazione di sé stesso, e un motivo di crescita.

Cosa ne pensi della tecnologia contemporanea?
Non sono molto a favore dell’intelligenza artificiale, ho notato come adesso si scrivono libri, creino opere illustrative con essa, sono dell’opinione che non dovrebbe affiancare l’arte, perché l’arte è sempre stato un metodo di comunicazione e una espressione dell’animo umano. La fortuna è che la danza è un’arte performativa dell’uomo, che non può essere sostituita, almeno che un giorno a ballare non siano i robot, ma lo dubito, forse la danza sarà l’ultima arte ad essere esposta dalla carne umana.

Che tipo di evoluzione ha avuto “la tua danza” negli anni?
Credo che la mia evoluzione più grande sia stata quella di aver imparato a dosare maggiormente le mie energie, trovando una scioltezza nei movimenti, che ancora devo approfondire nitidamente.

La danza dovrebbe portare ad una più profonda comprensione di chi siamo e di chi ci circonda, è sempre così per tua esperienza?
Nel mio caso è stato così, la danza può avere un aspetto filosofico e psicologico, di conseguenza ti conduce a dover fare i conti con il proprio “io” interiore.

Qual è il messaggio più incisivo che l’arte ai tempi nostri dovrebbe trasmettere ai giovani?
La forza interiore, la potenza del nostro essere. Credo che i giovani abbiano bisogno di una spinta, come ne ho bisogno anche io molte volte, viviamo in un’epoca che ci ha permesso di condurre una vita semplice, e l’esito di questa semplicità ci ha reso più deboli in confronto alle generazioni passate.

Un libro di danza che hai amato e perché?
Io danzerò” di Stephanie Di Giusto. Racconta la storia di Loie Füller, è stata una pioniera delle arti performative. Ho amato questo libro perché parla delle sue battaglie, della fiducia in sé stessa e nella propria visione, senza mai sconfinare nel banale.

Mentre un film sempre legato all’arte coreutica?
Notti Bianche” con Mikhail Baryshnikov.

Qual è il ballerino o la ballerina del passato a cui guardi con stupore oggi e perché? Hai avuto dei miti a cui ispirarti?
Ho sempre amato i grandi miti rivoluzionari di quest’arte come Rudolf Nureyev e Mikhail Barishnikov, ma in Accademia ricordo di aver passato molto tempo ad ispirarmi a Irek Muchamedov.

Nelle vesti di spettatore, in quale spettacolo di danza del grande repertorio e di quello contemporaneo, hai percepito maggior entusiasmo?
Lo Schiaccianoci” di Rudolf Nureyev, lo vidi per la prima volta all’Opera di Vienna, il mio primo anno in Accademia. Mi innamorai del famoso passo a due tra il Principe e Clara e secondo la mia opinione rimane la miglior versione classica dello Schiaccianoci in assoluto.

Le idee cambiano, perché cambiamo noi. Questo è l’aspetto più affascinante delle arti performative?
Si, una continua evoluzione e la crescita di quest’arte è uno degli aspetti più affascinanti, e credo che le nuove generazioni in arrivo abbiano qualcosa da constatare a riguardo.

L’aver scelto la danza come compagna di vita in quale maniera ti ha arricchito culturalmente ed umanamente?
Culturalmente, la danza mi ha permesso di essere stato messo a confronto con molte persone derivanti da vari paesi del mondo, di viaggiare ed apprendere usi e costumi di altre società. Umanamente, è una disciplina che mi ha consentito di comprendere l’importanza di una profonda conoscenza di sé stessi e della continua progressione.

Michele Olivieri

Foto di Ashley Krauhaus

www.giornaledelladanza.com

Check Also

Tre straordinari coreografi del Novecento al Teatro San Carlo di Napoli

Tre straordinari coreografi del Novecento per ripercorrere, in una soirée, un secolo di danza: al ...

Boris Charmatz lascia la direzione del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch

Nel comunicato stampa ufficiale si rende noto che il direttore del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, ...

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. E maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo. Puoi consultare per maggiore informazione l'apposita pagina sulla nostra Privacy Policy

Chiudi