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“Kiss & Cry”: quando cinema e danza si trasformano in sogno

“Kiss & Cry”: quando cinema e danza si trasformano in sogno

 

Ho sognato, a occhi aperti, seduto comodamente in poltrona a teatro. Ho vissuto il sogno di due mani che si seguivano, intrecciavano, cercavano sensorialmente. Poi mi sono svegliato, e il tutto – fortunatamente – era pura realtà: sul palcoscenico dell’Arena del Sole di Bologna, lo scorso 18 ottobre, le mani di Michèle Anne De Mey e di Grégory Grosjean, rincorse e zoomate dall’occhio cinematografico del regista Jaco Van Dormael, hanno dato vita a Kiss & Cry, spettacolo assai fuori dagli schemi performativi usuali e, proprio per questo, incomparabile.

Sulle note dell’aria di Händel Lascia ch’io pianga ha inizio la storia di Giselle, protagonista emblematica di una vicenda che deborda i confini dell’impianto spettacolare per catapultare il pubblico in un altro mondo, quello in cui tutti i ricordi, le emozioni, i vissuti e le persone che hanno aggiunto un tassello al puzzle della Vita restano vividi, facendo parte – in qualche modo – ancora del presente. Come il ragazzo incrociato sul treno per soli 13 secondi, quando lei era adolescente. Il suo primo amore, probabilmente l’unico vero, sicuramente il più indimenticato.

Nonostante i successivi uomini, infatti, il cuore della protagonista resta aggrappato all’immagine di quelle mani sfioranti per caso nel vagone, la dolcezza del cui tocco ne ha carezzato il ricordo così tanto da tenere vivo il tiepido fuoco della speranza, atteso d’alimentarsi alla vista di ogni treno, lasciato poi viaggiare. E non in termini metaforici: il treno è proprio lì, sul proscenio, attivato e ripreso dallo stesso Van Dormael, direttore di un’intera orchestra di suoni, luci, effetti, azioni, tempi, ritmi e persino silenzi, colmi di un tale pathos da mozzare il respiro degli spettatori imbambolati. Ci si domanda, increduli, come la magnificenza del film – proiettato live sul fondo bianco del boccascena – possa essere frutto della manipolazione di micro-pupazzi e accessori, comprendendo perfettamente il talento impareggiabile della coppia di artisti artefici di cotanto capolavoro.

Ma la coreografa belga riesce a regalare ancor più emozioni, intessendo con tutto il corpo una sequela di movimenti plasmanti una danza tra le NanoDanses inquadrate dalle telecamere: teneramente avvinghiati l’uno all’altra, i due danzatori lasciano che le sensazioni tattili delle dita penetrino fino al più recondito angolo delle membra, donando all’occhio umano la possibilità di godere contemporaneamente di due spettacoli, elidenti senza troppa fatica il confine tra finzione e realtà. Un deliberato tentativo di fondere (e confondere) la messinscena e il backstage, complementari ed efficaci a contornare l’intera performance di un alone di magicità.

La “morale della favola”? Troppo sciocco indicarne una sola. La storia di Giselle è la storia di tutti, è la storia di una memoria dove niente sprofonda nell’oblìo, dove i veri sentimenti restano eternamente immutati, dove ognuno ritrova il suo destino, aspettandolo con ansia sulla panchina del proprio “kiss & cry”.

 

Marco Argentina

www.giornaledelladanza.com

Michèle Anne De Mey/Jaco Van Dormael / Kiss & Cry © Maarten Vanden Abeele

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