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Mauro Astolfi racconta “Vivaldiana”, in scena al Teatro Carcano di Milano

Vivaldiana, la nuova pièce di Spellbound Contemporary Ballet sarà in scena da venerdì 20 a domenica 22 dicembre al Teatro Carcano di Milano: in occasione di questo importantissimo appuntamento, abbiamo parlato con Mauro Astolfi, coreografo e fondatore – nel 1994 – della compagnia.

Al centro di Vivaldiana, l’idea di lavorare ad una parziale rielaborazione dell’universo di Vivaldi integrandolo con alcune caratteristiche della sua personalità di ribelle fuori dagli schemi. Da questa suggestione è partito il coreografo Mauro Astolfi per tradurre in movimento alcune creazioni di Vivaldi e raccontarne il talento e la capacità di reinventare, nella sua epoca, la musica barocca.

Forte di una cifra stilistica inconfondibile esaltata da un ensemble di danzatori considerati tra le eccellenze dell’ultima generazione, Spellbound si colloca oggi nella rosa delle proposte italiane maggiormente competitive sul piano di una dialettica internazionale, espressione di una danza che si offre al pubblico con un vocabolario ampio e in continua sperimentazione, convincendo le platee dei principali Festival di Europa, Asia, Americhe. L’ensemble si avvicina al venticinquennale di attività, un arco di tempo in cui alla produzione di spettacoli di danza ha unito da sempre e con sempre maggiore interesse progetti di formazione ed educazione sia del pubblico che di almeno due generazioni di danzatori. Le attività di Spellbound, oltre alle creazioni di Astolfi, abbracciano una serie di produzioni e progetti in rete con altri artisti e istituzioni su scala internazionale, come il recente “La Mode”, installazione a firma di Tomoko Mukayiama e Tojo Ito che ha inaugurato il National Taichung Theater a Taiwan nell’ottobre 2016.

C’è un’importante opportunità per chi legge il nostro giornale: i primi lettori de Il Giornale della danza che scriveranno a  community@teatrocarcano.com potranno prenotare 1 oppure 2 biglietti ridotti a 17 euro anziché 38 euro per lo spettacolo Vivaldiana di venerdì 20 dicembre ore 20.30 al Teatro Carcano. Trenta posti disponibili.

Per confermare specificare nell’oggetto: “Promo Spellbound Il Giornale della Danza”, indicando nel corpo della mail nome, cognome, numero di telefono. Attendere conferma di ricezione.

In Vivaldiana si racconta l’universo Di Antonio Vivaldi, in tutta la sua complessità e ribellione. Perché dedicare una pièce a questi aspetti del Maestro?

Tutto nasce con la realizzazione di “Quattro stagioni”, che oramai ha compiuto dieci anni ed è uno spettacolo a cui sono particolarmente legato. Una pièce che mi ha permesso di entrare nell’universo di Vivaldi, che si è sempre contraddistinto per la caratteristica di andare controcorrente e anche oltre i limiti del proprio tempo. Vivaldi, per comporre, si esponeva per molti giorni e si lasciava trasportare dalle emozioni e dagli eventi che accadevano intorno a lui. Mi ha sempre affascinato questo approccio. E poi, mi è sempre piaciuto poter pensare di fare un omaggio alla sua musica e di pensare che, magari, è lì in sala con noi, a guardare quanto è stato realizzato grazie alle sue melodie. Come se stesse pensando” Wow, guarda cosa sono riusciti a creare anche grazie a me”. È un pensiero positivo, un modo di dire grazie a chi, prima di noi, ha composto musiche meravigliose che, a distanza di anni, sono fonte d’ispirazione.

E Lei si sente un po’ “ribelle creativo”?

Ribelle, sì. E su vari livelli. Creativo? Non mi piace questo termine. Io cerco, attraverso le mie coreografie, di interpretare impulsi e vibrazioni, con tutto il rischio che questo processo può portare. La mia essenza di coreografo si esprime proprio in questo aspetto.

Instaurare un dialogo con i propri danzatori è fondamentale. C’è qualcosa che chiede ai suoi ballerini, quando lavorate insieme?

Il dialogo è alla base del lavoro che quotidianamente svolgo con i danzatori. Ma a loro, soprattutto, chiedo che, attraverso ciò che fanno, di raccontare sé stessi, la loro storia. Di pensare che ciò che stanno danzando sia la loro prima première, o addirittura l’ultimo lavoro in questa compagnia prima di spostarsi in un’altra. Raccontare emozioni, sensazioni è veramente essenziale. E fa la differenza in ciò che viene trasmesso a chi è in sala a guardare.

Un elemento, fondamentale, che cerca in un danzatore?

Che racconti, mentre danza, sempre qualcosa di sé. E che mi dimostrino che danzare è quello che veramente vogliono fare. Le mie audizioni non sono soltanto in sala, ma su vari livelli, e spesso si svolgono in più giorni. Sicuramente la preparazione tecnica è alla base di tutto, ma è essenziale che ci sia anche un lavoro ulteriore, che va oltre la preparazione classica. Il danzatore deve raccontare, una storia o emozioni…ma deve dire qualcosa. Di solito non scelgo mai danzatori che vogliono soltanto “lavorare”. Voglio che si immergano nella coreografia, a tutti i livelli. Perché, come dicevo, questo fa la differenza per me ma soprattutto lo si nota nelle reazioni del pubblico, che si sente coinvolto. E non un mero e semplice “spettatore”.

Alla base di qualsiasi lavoro c’è un forte lavoro di ricerca. Quanto è importante per un coreografo e per un ballerino?

Devo essere sincero: non amo molto la parola ricerca. Preferisco concentrarmi sul fatto di potermi “svuotare” da ciò che mi pesa, che non serve. È come se le mie creazioni fossero già lì, ma prima di metterle in scena bisogna scovarle e renderle essenziali.

Si parla di tradizione, innovazione, evoluzione nella danza…sono parole troppo forti?

Spesso mi è stato detto che ho creato un nuovo linguaggio nella danza contemporanea: questo sicuramente è un aspetto interessante, ma io mi sono soltanto limitato a pensare di fare ciò che voglio veramente fare nella danza. Se ho creato qualcosa di nuovo sono felice, ma non sono io a dirlo. Evoluzione, tradizione, innovazione sono termini che non voglio usare perché non mi appartengono.

E Mauro Astolfi, come si approccia al processo di creazione?

Io sogno moltissimo. Spesso le pièce migliori sono nate proprio durante la notte…mi svegliavo, scrivevo e, non appena possibile, mi mettevo concretamente a realizzare quanto sognato. In alcune occasioni ho addirittura sognato di fare delle coreografie che vedevo come ben oltre le mie capacità, portandomi quasi a pensare “Ce la farò mai?” Insomma: sognare, nella maggioranza dei casi, ha dettato il punto di partenza dei miei lavori. Ed è bellissimo.

E a proposito di sogni: ne ha uno, per il mondo della danza?

Sogno che si smetta di affidare a pochi la possibilità di dare giudizi sui lavori coreografici. Vorrei che alle persone venissero dati più elementi per poter creare una propria idea di ciò che si vede, senza necessariamente avere dei giudizi imposti. Quando Vivaldi componeva, nessuno diceva “questa è musica bello o brutta”. Ma semplicemente “Questo compositore ha realizzato questo…ascoltatelo”. Mi piacerebbe moltissimo che venisse dato spazio ai veri conoscitori della danza, in modo tale da garantire più preparazione al pubblico, senza sporcarlo con giudizi e commenti. Io vorrei che chi guarda potesse farsi un’opinione, indipendente. E senza commenti e giudizi esterni. Forse un’idea controcorrente, ma è quello che desidero, veramente. Per tutta la danza!

www.giornaledelladanza.com

Foto di Martine Pinnel

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