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Intervista a Oliviero Bifulco, coreografo dei “Ballabili di Verdi”

In occasione dell’apertura, dopo la pausa estiva, del Teatro Fraschini di Pavia abbiamo incontrato Oliviero Bifulco che si è cimentato per la rassegna “Preludi d’autunno” con le coreografie per “I Ballabili di Verdi” (in scena sabato 14 settembre alle ore 21) con un gruppo di danzatori formato da Alessia Giacomelli (già ballerina presso la “Johan Inger Youth project”), Francesco Simeone (già ballerino del “Ballet du Preljocaj” e ora dello “Scapino Ballet Rotterdam”), Angelo Minacori (già ballerino dell’“Opéra di Parigi” e di “Gauthier Dance”), Sophia Ferrillo (ballerina di “Metamorphosis Dance”), Sofia Bonetti (danzatrice del “Balletto di Toscana”) e Giovanni Russo (danzatore presso “Pulse Programme” e “Opus Ballet”). I ballabili in programma sono estratti da opere che Giuseppe Verdi ha scritto o adattato per il pubblico francese, abituato ad assistere a spettacoli in cui la danza non poteva mancare. “Les Vêpres Siciliennes” è un vero e proprio grand-opéra. L’opera, andata in scena per la prima volta a Parigi nel 1855, è ambientata nella Palermo del XIII secolo e narra degli eroici tentativi dei siciliani di liberare l’isola dall’occupazione francese. “L’allegoria delle stagioni” è a tutti gli effetti un balletto rappresentato durante una festa che si tiene nel palazzo del governatore Guy de Montfort. Diversi i casi dei ballabili tratti dalle versioni francesi de “Il Trovatore” e del “Macbeth”, brani sinfonici che, nonostante siano aggiunti a posteriori, riescono perfettamente nell’intento di amplificare la portata drammaturgica delle scene in cui sono inseriti. Nei ballabili della versione francese de “Il Trovatore” (1857), ad esempio, la musica ben rappresenta il clima di mistero e di inquietudine generato dalla comparsa del personaggio chiave dell’opera, la vecchia gitana Azucena. I ballabili del “Macbeth”, scritti per la versione dell’opera andata in scena a Parigi nel 1865, sono forse la più felice incursione di Verdi nel regno della danza, un vero e proprio brano sinfonico che rivela l’uso ricco e sapiente della tavolozza timbrica orchestrale e che condensa il carattere dell’opera segnato dalla convivenza del tragico e del comico.

 

Carissimo Oliviero, per questa nuova sfida tra musica e danza hai formato un cast con sei danzatori scelti tra cinquecento candidature ricevute?

Esatto Michele, il primo processo è stato individuare i danzatori che hanno risposto ad una call, ricevendo circa cinquecento candidature. Ne abbiamo invitati sessanta all’audizione tenuta presso il Teatro Fraschini a maggio, e da quella rosa ne abbiamo selezionati sei (tre donne e tre uomini). La scelta è stata cruciale perché provenendo personalmente da un background classico mi ritrovo poi nell’atto della creazione ad aver bisogno di quegli insegnamenti ma ricerco quella personalità e quella consapevolezza che mi permettono di andare oltre al linguaggio accademico.

Come sei giunto alla scelta dei sei artisti?

La decisione è stata cruciale perché da sempre nel mio lavoro prendo ispirazione dai danzatori, naturalmente dopo la musica. Mi piace che in scena risulti la loro vera identità o qualcosa che sia a loro affine. Sotto l’aspetto coreografico cerco di amalgamarli come è giusto che sia, ma da un punto di vista di personalità e temperamento mi piace che rimangano unici e differenti tra loro.

Come è nata l’idea della serata?

Mi è stata proposta dal Direttore del Teatro Fraschini Francesco Nardelli assieme al consulente della musica Jacopo Brusa. Sulla carta l’ho trovato un progetto particolarmente interessante e stimolante perché è giusto valorizzare in un concerto dei segmenti coreutici che hanno come comune denominatore l’idea di essere stati creati appositamente per la musica stessa.

Raccontami la genesi della tua creazione che sabato debutterà sullo storico palcoscenico di Pavia?

Sicuramente la prima fase del lavoro è stata incentrata sulla musica. Il mio lavoro iniziale si è rivolto esclusivamente all’ascolto dei brani per cercare di evidenziarne l’architettura. Mi sono ritrovato a disegnare la musica che è quello che desideravo fosse l’intento primario, non tanto il soddisfare un ego coreografico o un bisogno di rappresentare qualcosa di particolare (quello penso sia venuto inconsapevolmente) ma era importante valorizzare visivamente la musica per essere coerente con il progetto della serata: “un concerto con un accompagnamento visibile”. L’idea iniziale è quella che ha avuto il peso preponderante in tutto il processo inventivo, e cioè la musica nata per danzare in un contesto dove risulta l’eccezione. Tre brani meravigliosi composti da Verdi per le sue opere quando venivano rappresentate a Parigi, dove la danza ha sempre avuto una considerazione eccellente. Il lavoro con i ballerini è stato rivolto alla ricerca musicale e alla bellezza di essere accompagnati dal vivo dall’Orchestra I Pomeriggi Musicali diretta da Biagio Micciulla che ci ha permesso di ascoltare ogni tipo di strumento e di accento. Questa è stata la sfida basilare, come diceva Balanchine “dovete vedere la musica e ascoltare la danza”. Se dopo lo spettacolo qualcuno ravvisasse tale concetto per me sarebbe la soddisfazione più grande.

Hai riscontrato particolari difficoltà?

È chiaro che un dilemma è stato il dualismo tra il portare a termine un lavoro di un’ora in meno di venti giorni e la ricerca coreografica, perché ovviamente necessitava presentare un prodotto ma dare a me stesso e ai danzatori un’onestà di verità, di movimento, di intenzione. Ho deciso di concentrarmi su uno dei due denominatori comuni di questi tre brani. Oltre al compositore, vengono associati dal fatto che sono dei brani composti appositamente per la danza, da qui il nome dei “Ballabili”, e questo è stato il mio punto di partenza. 

Ti sei lasciato ispirare da qualcosa in particolare, oltre alla musica e agli esecutori?

Ci siamo aggrappati a qualche sfumatura presente nelle diverse opere, ma senza farne una trascrizione letterale, per non cadere nel didascalico.

Come hai connotato i brani?

Per i tre pezzi ho voluto che non ci fossero riferimenti specifici alle opere in questione, se non un po’ per il “Macbeth” dove il passo a due vede una ragazza che rievoca Lady Macbeth con indosso un vestito che ricorda i costumi dell’epoca ma che è completamente destrutturato. Una figura molto potente, piena di vissuto e di violenza ma quasi uccisa dal rimorso per le azioni svolte. Per “Le Quattro stagioni” da “I vespri siciliani” abbiamo narrato la bellezza della partitura e del movimento puro con situazioni più ironiche ma in un contesto visivamente aperto e particolarmente libero. Mentre per “Il Trovatore” che chiude la serata lo abbiamo immaginato come un viaggio di sei persone che si ritrovano a ballare incessantemente. La stanchezza dei danzatori assume un peso suggestivo in questo pezzo. È come se alla fine loro fossero combattuti tra la spossatezza estrema e l’urgenza di dover ballare, che si ricollega al fatto che questa musica sia nata appositamente per l’arte di Tersicore. In ogni caso la musica mi ha guidato, con i suoi pizzicati e i suoi momenti più ariosi, in un susseguirsi di soli, passi a due, terzetti e situazioni danzate anche con dei fari mobili presenti in scena, che diventano loro stessi dei danzatori (light designer Oscar Frosio). 

Qual è stato il tuo chiaro intento durante l’intero processo creativo?

La protagonista della serata, se mai dovessimo individuarne una, volevo rimanesse la musica. Con la speranza che i movimenti che l’occhio coglierà sul palco possano essere strumento di immaginazione e di fascinazione, e che possano rendere più chiare e dettagliate tutte le sfumature e la profondità delle composizioni di Giuseppe Verdi

Per l’ambientazione a cosa ti sei rifatto?

Ho voluto annullare ogni tipo di contestualizzazione ed andare all’origine del concetto da cui il concerto nasce: “una serata di musica composta per… danzare”. 

Oliviero Bifulco ha frequentato per sette anni la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala dove si diploma in danza classica e contemporanea sotto la direzione di Frédéric Olivieri. Dopo un corso di perfezionamento, comincia a lavorare all’Opéra di Bordeaux sotto la direzione di Charles Jude, dove balla i più grandi titoli del repertorio classico e contemporaneo. Nel suo repertorio troviamo i grandi classici del balletto, dallo “Schiaccianoci” al “Lago dei Cigni”, e i grandi coreografi del Novecento: Angelin Preljocaj, Maurice Béjart, Serge Lifar, José Limón, Jiří Kylián. Nel 2016 decide di partecipare al programma televisivo “Amici”, condotto da Maria De Filippi, sperando di portare un po’ del suo mondo in televisione. Nel corso della trasmissione viene apprezzato dai docenti e dal pubblico grazie alla sua tecnica e alla sua preparazione. Arriva fino alla fine del programma, la fase Serale, eseguendo pezzi classici, ma anche aprendosi a tutti gli altri stili. Tra i vari eventi che lo hanno visto protagonista, Bifulco nel 2021 debutta al Teatro Fraschini con una sua creazione coreografica dal titolo “Can’t believe the way we flow” che parla del meravigliarsi davanti alla perseveranza e alla tenacia della vita, sulle musiche di Max Richter. Nel 2023 danza in “After Echoes” di James Pett e Travis ClausenKnight all’interno del “Festival Exister” a Milano. Sempre nel 2023 ha creato e ballato “Entrenched conversation” con i ballerini del “Bangkok City Ballet” presso il “Bangkok Art and Culture Center” in Thailandia. Nel 2024 ha preso parte alla tournée di “Open”, lo spettacolo multimediale di Daniel Ezralow. Oggi Oliviero Bifulco alterna la carriera di ballerino freelance a quella di coreografo e insegnante.

 

 

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

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