Andrea Risso è nato nel 1998 a La Spezia. Si è diplomato brillantemente alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala il 27 Maggio del 2017. Ha iniziato i suoi studi nel 2009 presso l’Accademia Teatro alla Scala diretta dal M° Frédéric Olivieri. Tra i suoi maestri: 1° corso: Loretta Alexandrescu (Tecnica Classica); 2°-8° corso: Paolo Podini (Tecnica Classica); Lezioni di Passo a due: Leonid Nikonov, Maurizio Vanadia; Danza Moderna e Contemporanea: Emanuela Tagliavia. Ha avuto la possibilità di collaborare anche con i maestri: P. Neary, A. Khan, F. Clerc, E. Scala, V. Karpenko, P. Vismara, T. Nikonova, Y. Dubreuil, S. Essebom, C. Desmet, Agudo, C. Gacio, I. Ciaravola, F. Ventriglia, M. Gielgud. Tra le sue esperienze formative, ha danzato sul palcoscenico del Piermarini e al Piccolo Teatro Strehler di Milano, a Ferrara, a Pavia e a Lublin in Polonia, prendendo parte alla “Cenerentola” di Frédéric Olivieri; “Un Ballo” di J. Kylian; “Paquita” di M. Petipa; “Variation for Four” di A. Dolin, “Theme and Variations” di G. Balanchine e con il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala nella produzione “Petruschka” di M. Fokin ripreso da Isabelle Fokine.
Gentile Andrea, innanzitutto felicitazioni per il conseguimento del Diploma alla Scuola di Ballo della Scala. Qual è stato il tuo approccio con la danza?
Grazie mille Michele! Il mio approccio con la danza è nato per scherzo. Da bambino ho praticato numerosi sport: calcio, tennis, judo, nuoto… ma, nonostante tutto, nessuno mi piaceva davvero, duravo un paio di mesi, ad esagerare, poi mi stancavo. Un giorno, una mia compagna di scuola elementare, mi chiese se mi andava di fare una lezione di prova nella scuola di danza dove andava lei, io provai e mi divertii moltissimo e da quel giorno non ho più smesso.
Mentre i tuoi primissimi ricordi legati al mondo del balletto e del teatro?
Il mio avvicinamento iniziale con la danza, non è avvenuto con il balletto classico, bensì ho fatto modern dance per molti anni prima di dedicarmi anche alla danza classica. Mia madre mi portò a vedere il “Lago dei Cigni” con Bolle e Zakharova proprio al Teatro alla Scala nel 2006, e quella fu la vera prima volta che entrai in un Teatro (un luogo di eccellenza, con la T maiuscola) e ciò che vissi quella sera fu indimenticabile.
Hai capito fin da subito che investire sulla danza sarebbe stato per te fondamentale?
In realtà no, perché non ho avuto sin da subito una consapevolezza di quello che lavorando avrei potuto costruire, è stato come un azzardo. Mi sono messo in gioco, da zero. Con gli anni ho intuito che questo era quello che desideravo fare.
Il momento più bello del giorno del diploma e il complimento che ti ha colpito maggiormente?
Il momento più bello penso sia stato quando al termine della consegna dei diplomi ho abbracciato la mia famiglia. Il complimento che mi ha colpito maggiormente è stato: “Non lasciare che gli altri ti cambino, tu sei speciale perché sei così, è questa tua sensibilità che ti differenzia”.
Un tuo pensiero personale per il direttore della Scuola di Ballo e da poco anche del Corpo di Ballo, Frédéric Olivieri?
Ringrazio il Maestro Olivieri per aver creduto in me, e per avermi sempre spronato a tirare fuori quello che avevo dentro. È stata una figura di riferimento, che negli anni mi ha aiutato a crescere e mi ha insegnato tantissimo, lo ringrazio davvero di cuore.
Quali sono state le maggiori difficoltà nello scegliere lo studio della danza?
Sono state sicuramente il distacco dalla famiglia, e il dover crescere e maturare più autonomamente.
Sei l’unico che si occupa di danza nella tua famiglia?
Sì.
Sono sempre stati d’accordo, i tuoi familiari, con questa scelta artistica?
Sì, mi sono sempre stati accanto e mi hanno sostenuto costantemente in ogni scelta, in ogni felicità, nei momenti di sconforto e tristezza che naturalmente ci sono stati. Mia madre è la mia fan numero uno in assoluto, e la ringrazio perché è sempre stata in prima linea, per me e con me!
Ci racconti le tue maggiori emozioni del periodo di formazione, l’audizione, le difficoltà, i maestri, i primi eventi in palcoscenico?
Sono entrato in Scuola di Ballo nel 2009, al primo corso. Il mio trascorso era prevalentemente non legato alla danza classica, per me sostenere l’Audizione per la Scuola di Ballo è stato come un salto nel vuoto, e la difficoltà maggiore però penso sia stato il distacco dalla mia famiglia durante i primi anni. I maestri, sin da subito, sono stati realmente dediti nei nostri confronti, per una idonea crescita durante la formazione, specialmente agli inizi. Al mio primo Spettacolo Istituzionale con l’Accademia, non partecipai perché mi infortunai durante una prova.
Chi ha inciso in modo particolare nel tuo percorso artistico?
Sicuramente il mio Maestro, Gianpaolo Podini. Iniziai a studiare con lui al secondo corso, fino a quest’anno, anno del Diploma. Ha sempre dato corpo, anima e cuore in ogni lezione, in ogni passo e in ogni cosa che ha fatto per noi. Mi ha trasmesso il senso del lavoro e dell’impegno. Mi ha insegnato quello che c’è dietro ai passi, dietro alla tecnica. Mi ha comunicato quello che c’è dentro un’interpretazione, e come lavorarlo. Gli devo molto, e sono contento di poter dire di averlo avuto come Maestro, è una persona assai importante per me.
Che cosa ami del mondo della danza e cosa ti piace meno?
La danza come tutte le arti, ti rende protagonista della tua storia, di quello che tu hai dentro, che hai da dire e che vuoi esprimere. Questo mi piace parecchio, perché c’è un senso di libertà in tutto ciò, dove ognuno ha carta bianca da riempire. E allo stesso tempo è contrastante, perché dietro il duro lavoro, la fatica, i momenti di sconforto e l’essere sotto pressione, ci sono anche la gioia di fare quello che piace e le soddisfazioni nel momento in cui rendi luminoso, quello che prima non lo era. Tuttavia è un mondo dove si cerca sempre di essere perfetti, di raggiungere un optimum, rendendo però così, quello che dovrebbe essere un piacere, una condizione malsana. Bisogna ballare per se stessi, e naturalmente lavorare duro e migliorarsi, ma senza che questo diventi controproducente.
Che rapporto hai con lo specchio, strumento fondamentale per un danzatore?
In Sala lo sfrutto molto, perché so che poi sul palco non lo avrò. Però senza che il guardarmi allo specchio, rompa l’armonia di quello che sto eseguendo. Bisogna sfruttare quello che è un mezzo d’aiuto, ma senza l’ossessione di doverne dipendere, perché spesso la percezione di ciò che vediamo in noi riflesso, non è poi quello che gli altri vedono.
Quale ritieni sia la tua dote principale?
L’eleganza e l’armonia nei movimenti. Quest’ultimo è un aspetto a cui ho sempre tenuto tanto, e per il quale ho lavorato duramente, e che a tutt’ora lavoro.
Tra i ruoli che hai sostenuto fino ad oggi in qualche ti sei sentito più appagato ed affine?
“Variation for Four” di Anton Dolin. Eseguivo la quarta variazione, che tra tutte le altre tre era quella più lirica e aulica, mi rispecchia molto. Fu duro lavorare, in generale, tutta la coreografia, per la sua difficoltà tecnica, ma per me la mia variazione significava parecchio e misi a disposizione notevole tempo per renderla mia. Fu appagante riuscire a raggiungere un buon risultato, ringrazio infatti Maina Geiulgud e Jerko Yuresha per averci seguito e trasmesso i loro insegnamenti.
Arrivi da La Spezia, cosa ami particolarmente di questa città?
Sicuramente il mare. Per me, quando torno a casa, vedere il mare, quel mare, è una sensazione bellissima. A La Spezia ho legata la mia infanzia, e naturalmente la mia famiglia, e i miei parenti.
Mentre di Milano, tua città d’adozione?
Di Milano amo tutto. È una città che mi ha dato e mi regala tanto. Mi sento proprio bene e fortunato a vivere in una città come Milano. Ci sono sempre nuove cose da scoprire, nuovi posti da vedere e angoli di “paradiso” nascosti!
Qual è stato lo spettacolo di danza al quale hai assistito come spettatore che ti ha maggiormente emozionato?
Senza alcun dubbio “Romeo e Giulietta”, ogni volta è sempre più forte di quella prima.
Secondo te, quali sono le qualità che un giovane danzatore deve possedere per avanzare nella carriera oltre naturalmente alla tecnica?
Passione, tenacia, dedizione al lavoro, sicuramente! Bisogna anche avere la testa e penso una certa maturità che ti permetta di sostenere il tutto senza disturbare un equilibrio, ma soprattutto che si debba possedere umiltà e rispetto verso la danza, il pubblico, ma principalmente verso sé stessi.
Quali sono stati i consigli più preziosi ricevuti dai tuoi maestri scaligeri?
Tutti i maestri sono stati per me figure fondamentali durante il mio percorso, da tutti ho imparato qualcosa e ho ricevuto insegnamenti che andavano al di là della correzione tecnica.
Che clima si respira all’interno di una delle più celebri Scuole di Ballo al mondo?
C’è un clima sereno, non ho mai sentito il peso di quelle mura. Naturalmente nei periodi in cui abbiamo spettacolo, e siamo sotto pressione, vi è un’aria più rigida, ma mai soffocante. Tutti i collaboratori, e i maestri sono sempre disponibili, primo fra tutti il nostro Direttore Frédéric Olivieri.
Cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto la danza, a livello personale?
Nei primi anni mi ha sicuramente tolto un’adolescenza comune, però non l’ho mai vissuta come una cosa negativa, anzi, mi ritengo fortunato perché sono cresciuto e maturato con valori diversi da molti miei coetanei che conducono una vita normale. Poi faccio quello che amo, dunque non mi sono mai sentito oppresso, anzi grato di coltivare ciò che mi piace, perché non tutti hanno la fortuna di vivere seguendo le proprie intenzioni e passioni.
Hai un mito tersicoreo, del presente o del passato, al quale ti ispiri?
Non ho mai avuto miti particolari, o idoli, sia nella danza che in generale. Mi piace cogliere dei particolari da ogni ballerino che vedo e che mi colpisce… sia come muove le braccia, a come le sfrutta, a come infonde senso al movimento.
Oltre la danza, coltivi altre passioni?
Ho sempre avuto la passione per l’arte, e sicuramente la danza ha maggiorato il mio interesse. Mi piace arricchire il mio pensiero, e la mia cultura, mediante l’arte, la musica e la letteratura.
Cosa ricordi della tua prima esperienza all’estero durante la tournée in Polonia con “Cenerentola”?
È stata un’opportunità importante, perché mi ha regalato la possibilità di confrontarmi con un pubblico straniero, la cui cultura è diversa dalla nostra. E sono contento che l’impressione trasmessa sia stata molto buona.
Con quale coreografo ti piacerebbe lavorare?
Mi piacerebbe molto lavorare con Jiri Kylian, in Scuola di Ballo abbiamo avuto la fortuna di danzare “Un Ballo”, è stata un’esperienza fortissima e molto significativa! Un momento bellissimo…
Mentre con quale ballerina sogni di fare coppia in palcoscenico?
Se fossi nato 25 anni fa con Alessandra Ferri!
Hai danzato già in celebri creazioni di straordinari coreografi. Nei tuoi sogni c’è anche, un domani, il creare?
Secondo me, il fatto che uno sappia ballare bene, e sia un bravo ballerino, non implica il fatto che possa essere anche un bravo coreografo. Mi piacerebbe sì, ma lo farò solo se mi sentirò pronto a farlo.
Cosa si prova a danzare sul palcoscenico della Scala?
È come un colpo all’anima, un’emozione grandissima. Calcare quel palcoscenico che ha visto stelle della danza come Rudolf Nureyev e Sylvie Guillem è un privilegio. E ogni volta l’ansia è sempre notevole, ma il piacere una volta lì lo è ancora di più!
Con il Diploma dell’Accademia si chiude un’epoca e si apre la carriera professionale. Molti tuoi colleghi hanno abbandonato l’Italia per Corpi di Ballo stranieri. Tu cosa pensi di fare? Rimarrai in Scala?
Mi piacerebbe rimanere in Scala. Vorrebbe dire proseguire un percorso che ho iniziato anni fa, e che adesso è sfociato in qualcosa di più grande, senza dubbio più difficile e impegnativo, con cui voglio mettermi alla prova. Alla Scala mi sento a casa, e all’interno della Compagnia c’è un ambiente sereno, dove è possibile lavorare nelle condizioni giuste. Poi non riuscirei a lasciare Milano. Sicuramente in Italia c’è ancora molto da fare per rendere le arti e la cultura parte integrante della quotidianità, di buona parte degli italiani… all’estero è più valutata e sfruttata! Voglio però far parte di coloro che tentano di risollevare la cultura. Sento che il mio posto adesso è qui.
Qual è l’aspetto che ti mancherà di più nel lasciare la Scuola di Ballo e i tuoi compagni?
È stata la mia casa per ben otto anni, mi mancherà tutto. Ringrazio ogni persona all’interno della Scuola che mi sono state vicine. Le assistenti, le fisioterapiste, tutti i collaboratori ed i maestri. Sarà strano uscire di casa e non doverci entrare, anche se nonostante tutto sarà sempre la casa dove sono cresciuto, sotto ogni aspetto.
Un tuo messaggio ai tanti giovani che sognano la professione e l’ingresso nel mondo della danza?
È una professione tanto bella, quanto dura, ma se c’è la passione, tutto quello che sembra irraggiungibile diventa piano piano raggiungibile. Bisogna avere cuore e rispetto per questo mondo, sempre. È una scelta, quella della danza, che ti porta a maturare con una sensibilità diversa, verso molte cose. E auguro a tutti quelli che hanno nel cassetto questo sogno, che si possa realizzare secondo i loro desideri.
Michele Olivieri
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Foto di Giulia Asaro e Gaia Andrea Re © Andi King Photography