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Paola Belli, maître, insegnante, assistente, una carriera a 360 gradi

La tua carriera inizia come danzatrice al Teatro dell’Opera di Roma e da lì poi al Bolshoi, unica italiana al Concorso Internazionale di Mosca nel 1980 con Yuri Grigorovich come direttore, un’esperienza da raccontare…

Un’esperienza immensa sia professionale che umana. Nel 1976 ho vinto la prima borsa di studio e sono andata in Russia. Erano gli anni d’oro del Bolshoi! Sono entrata giovanissima in quello che era il tempio della danza. Immagina vedere tutte le sere gli spettacoli con Maximova, Vassiliev, Plissetskaya, Liepa, Bessmertnova. E la scuola di danza con 20 sale ballo. Si studiava repertorio, carattere, mimica, oltre al russo, mi sembrava il paradiso. È stato indimenticabile! Ero solo una ragazzina quando sono partita da Roma con tre valigie più grandi di me su un treno diretto a Mosca, tre giorni per arrivare a destinazione. Avevo 16 anni, la stessa età di mia figlia oggi e mi chiedo se io mamma, avrei mai avuto il coraggio e la generosità che hanno avuto i miei genitori di lasciarmi partire per andare in un paese allora sconosciuto quale era l’Unione Sovietica di Brežnev. E non esistevano neanche i telefonini!!! È stato un grande atto d’amore e di generosità, da parte di mia madre e di mio padre. Mi hanno lasciata andare e quella è stata l’esperienza che ha segnato tutta la mia vita.

Come danzatrice hai interpretato quasi tutti i ruoli del repertorio classico ed hai lavorato con tanti coreografi, Zarko Prebil, Aurel von Milloss, Nikolai Beriozoff, Yury Grigorovich, Pierre Lacotte, Oleg Vinogradov, Bob Wilson, Rudolph Nureyev. Un ricordo di ognuno di loro?

Innanzitutto ricordo il Maestro Prebil, perché è stato davvero il maestro con la M maiuscola, maestro di danza, maestro di vita, mi ha insegnato la disciplina, l’amore per il lavoro, la serietà professionale, ed è stata anche la persona che mi ha permesso di andare in Russia. Avevo 14 anni, mi notò nel corpo di ballo del Teatro dell’Opera e, viste le mie qualità, decise di mandarmi a studiare in quella che era la migliore scuola. Poi, per ordine di importanza nella mia vita, c’è stato l’incontro con Grigorovich. Lavorare con lui è stata un’esperienza molto formativa ed è grazie a lui che sono tornata in Russia, a ballare al Bolshoi nella compagnia come solista. È un uomo di poche parole, ma con i suoi occhi penetranti arriva sempre al centro e al cuore delle cose, è poco emotivo, estremamente razionale e grande intellettuale, da lui ho imparato la forza di volontà che può su tutto e il non disperdere energie inutilmente. Un’altra esperienza interessantissima è stato l’incontro con Beriozoff, ultimo esponente dei Ballets Russes. Ricordo mi raccontava cose che sembravano scritte solo sui libri di storia della danza. Con lui ho preparato Le Spectre de la Rose e mi ha trasmesso quello charme della danza, che non era danza da un punto di vista di prestazione fisica, ma era danza nel piccolo gesto, in quello che io credo dovrebbe essere la danza, l’essenza, il profumo… ecco mi diceva proprio così, dovevo trasmettere con i gesti “il profumo della rosa”.

Con gli altri non ho avuto un rapporto personale come con i primi tre coreografi che mi hanno letteralmente nutrita artisticamente, ma ognuno di loro mi lasciato qualcosa. Ho sempre avuto grande rispetto per i grandi. Quando c’era Nureyev rimanevo sempre in sala, magari facendo finta di cucirmi le scarpette, solo per avere la possibilità di restare ancora un po’ a guardarlo ammirarlo, respirarlo…

Per un periodo sei stata l’assistente di Maya Plissetskaya, che esperienza è stata lavorare accanto ad un’icona della danza come lei?

Questo è un capitolo che racchiude una vita. Per due anni abbiamo vissuto nella stessa casa ed ho avuto modo di conoscerla profondamente. Quando è andata via da Roma, mi sembrava di essere rimasta sola, perché era una donna che mi riempiva le giornate, la testa, il cuore, con la sua bellezza, con il suo essere sempre così estremamente vera. Come artista, credo non si debba dire nulla, è stata la “Callas della danza”. Mi rendevo conto del grande fascino che esercitava su tutti anche se solo entravamo in un bar o in un ristorante. Tutti gli uomini, dai più giovani ai più anziani, si voltavano a guardarla, ipnotizzati dalla sua bellezza, dal suo magnetismo, dalla sua femminilità e anche dalla sua aggressività. Era una donna energica. Tutte le sere scriveva un diario di come aveva trascorso la giornata e mi esortava a farlo. Lavorare accanto a lei credo faccia parte di una delle rare fortune della vita e sono molto grata al destino per avermi regalato questa opportunità. Quanti aneddoti mi ha raccontato, quante cose ho imparato, quanta arte ho respirato con Lei!

Tra tutte queste collaborazioni, ce n’è una che è stata particolarmente importante perché è stata anche un tuo progetto di vita, oltre che un progetto artistico: la collaborazione con Vladimir Derevianko…

Ci siamo conosciuti quando avevo io 16 anni e lui 17, nella scuola di ballo, eravamo poco più che bambini. Professionalmente l’ho amato e adorato immediatamente. All’epoca lui era considerato una sorta di outsider al Bolshoi, non rispecchiava assolutamente il ballerino tipico sovietico e, a mio avviso, ha operato una grande innovazione nel mondo della danza, cambiando le linee della danza maschile, così come ha fatto Patrick Dupond in Francia. Tutti i danzatori come Malakhov sono stati una sua derivazione, perché ballerini con così grande elevazione, gambe lunghe, staccate e colli forti, plasticità e fluidità del movimento, non esistevano prima. Mi ha subito colpita, l’ho subito ammirato, e questa ammirazione è durata nel tempo, perché è un grandissimo artista, un grande esempio di serietà professionale, volontà ed onestà intellettuale. È sempre stato molto aperto a tutti e a tutto. La Russia di quei tempi gli andava stretta ed aveva voglia di conoscere cose nuove e di vedere altri coreografi, così lasciò il suo paese quando ancora non si poteva uscire, ci siamo sposati: abbiamo molto lottato, molto sofferto, molto gioito e molto vissuto insieme. Abbiamo due splendidi figli, Maxim ed Alexandra.

Di recente hai collaborato anche con Vladimir Vasiliev, che tipo di lavoro hai portato avanti con lui?

Con Vasiliev ho avuto due collaborazioni, una nel 2000, al Teatro dell’Opera, dove sono stata sua assistente personale per il balletto Lungo viaggio nella notte di Natale, coreografia di Paul Chalmer. Lui interpretava il ruolo di Tchaikovsky anziano. Stare a contatto con lui tutti i giorni, da mattina a sera, è stato un grande arricchimento. Vasiliev è un artista generoso, non si risparmia mai. Ti trascina, ti travolge con il suo entusiasmo e il suo “Fuoco”. Poi sono stata anche sua assistente, più recentemente, per il balletto Paganini al Maggio Danza.

Partendo dalla tua vasta esperienza, se dovessi fare un raffronto fra la danza di ieri e la danza di oggi, cosa sta realmente cambiando?

Quello che sta cambiando nel mondo e nella società; c’è sempre meno spazio per le emozioni per i sentimenti e si predilige la tecnica portata all’estremo. È un discorso molto lungo e complesso, ma la danza per me è ciò che esiste fra una posizione e un’altra. I ballerini oggi puntano soprattutto alla posizione perfetta, che, come tale, ha una sua bellezza, ma non vibra!

Quanto conta l’esperienza personale di danzatore per un assistente?

Conta! L’assistente in sala, oltre a capire e captare le esigenze del coreografo per poter trasmettere ciò che lui vuole, deve anche comprendere le possibilità, la fatica e lo stato psicologico della compagnia in quel momento per capire fin dove ci si può spingere e cosa si può ottenere. Se hai avuto una lunga esperienza come danzatore lavorando molto nel corpo di ballo, puoi capire queste cose. Più come corpo di ballo che come primo ballerino, perché il primo ballerino fa vita a sé e interagisce meno con la compagnia, rispetta i suoi tempi i suoi ritmi, condivide meno.

Il tuo rapporto con i danzatori in sala?

È sempre stato ottimo, ovunque. Ho sempre preteso molto, ma, nello stesso tempo, ho sempre cercato psicologicamente di capire le loro esigenze e i loro ritmi. Non mi piace però quando c’è qualcuno in sala che non ama la danza e non si dedica pienamente alla professione.

Per te il danzatore è un corpo che si vede o un corpo che si “sente”? Non parlo solo di tecnica o di perfezione formale ma di quel che ogni danzatore dovrebbe sentire in sé prima di esser agli altri in scena…

Io preferisco un corpo che si “sente”, perché il corpo che si “sente” emette vibrazioni, trasmette energia. La danza è un’arte e, in quanto tale, deve comunicare, deve emozionare, deve “entrarti dentro”…

Ti senti più insegnante o più assistente?

Tutte e due. Quando sei insegnante sei al 100% responsabile di te stesso, quando sei assistente devi essere un tramite fra il coreografo e il corpo di ballo. Devi cercare di rimanere il più fedele possibile alle intenzioni del coreografo cercando, nel contempo, di trasmettere qualcosa di tuo al corpo di ballo.

Ti piacerebbe dirigere un teatro un giorno?

Si! Ho esperienza, capacità organizzative, ma chissà quanta gente c’è già in fila prima di me!?

Cos’è la danza, a livello della percezione più profonda del tuo essere?

È preghiera. È meditazione. È quando si entra in sala la mattina, ci si attacca alla sbarra e si entra in contatto con se stessi con quella meravigliosa armonia tra corpo e anima, con la parte più profonda del tuo essere, con l’energia, sperando di poterla trasmettere agli altri… danzando.

Nel 2010 sei stata invitata come maître ospite dal Maestro Luciano Cannito al Teatro Massimo di Palermo, è una collaborazione che ti vedrà impegnata a lungo termine?

A lungo termine no, perché sono andata lì come ospite per un mese. Spero di ritornarci, Palermo è una città che adoro e i ragazzi della compagnia sono carinissimi e pieni di entusiasmo. Con Luciano poi ho un rapporto di tanti tanti anni…eravamo ragazzini ed agli inizi, ma Luciano ha sempre avuto quel non so che di speciale, per cui ero certa che sarebbe arrivato lontano, con quella sua volontà e capacità di saper fare tutto e fronteggiare qualsiasi cosa e, soprattutto, con tanto tanto amore per il suo lavoro.

Collabori spesso con Bolle… la tua esperienza con questo grande artista

Stellare! La collaborazione nasce nel 2005. Abbiamo fatto tanti spettacoli in tutta Italia e siamo stati anche in Giappone insieme. Roberto Bolle è un danzatore che ha qualcosa in più, che riesce a trasmettere emozioni. Racchiude in sé l’apollineo e il dionisiaco unendo la bellezza delle linee del suo corpo alla perfezione estetica con un fuoco interiore. Nessuno riesce nella danza a muovere le folle come lui; nell’ultimo spettacolo a Bolgheri abbiamo contato un pubblico di 6000 persone. È amato in un modo che va oltre la danza, è gran lavoratore, sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Quando si lavora con lui, ha sempre la capacità di metterti a tuo agio. Con lui lavoro sempre con grande serenità e piacere. È un divo pur non essendo divo ed è grazie a lui se la danza oggi è più popolare.

Altri progetti futuri?

Scrivere un libro e continuare a lavorare come ospite, nei vari teatri dove sono invitata, in giro per il mondo. A Roma, nel frattempo, ho un progetto per una scuola di danza in un grande centro all’Olgiata, diretta da Gabriella Labate, persona di grande energia e volontà. E poi quello che è il mio “progetto costante”: trasmettere sempre, oltre la mia esperienza artistica e conoscenza professionale, ai giovani, ai bambini, ai grandi, ai professionisti e ai primi ballerini la gioia della danza, perché la danza è gioia.

Lorena Coppola

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