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Roberto Fascilla, un ricordo nell’anniversario di nascita

Nel giorno dell’anniversario della nascita di Roberto Fascilla, la danza sembra rallentare il suo respiro.

C’è un momento, ogni anno, in cui il tempo si fa più sottile, quasi trasparente, e lascia intravedere l’eco di chi ha attraversato il palcoscenico con grazia, rigore e mistero.

È un momento che non appartiene al calendario, ma alla memoria collettiva: quella memoria che non smette di ricordare i passi di chi ha trasformato il movimento in linguaggio, e il linguaggio in destino.

Roberto Fascilla nasce di nuovo ogni volta che lo si nomina. E non perché il ricordo pretenda celebrazioni solenni, ma perché la sua Storia contiene qualcosa che non smette di fiorire: una disciplina gentile, un’inquietudine creativa, una dedizione che non si esaurisce nemmeno quando si spengono le luci del teatro.

In questo giorno particolare, sembra quasi di vederlo ancora bambino, quando iniziò a danzare per rafforzare un corpo troppo fragile. Eppure, già allora, la fragilità non era un limite: era una promessa.

Un richiamo silenzioso a cercare, nel gesto, una forma di equilibrio che il mondo non sempre sa offrire. La danza, per lui, non fu mai solo mestiere: fu un luogo in cui imparare a stare al mondo, un rifugio di precisione e purezza, un respiro che si allargava fino a diventare orizzonte.

Crescendo, Fascilla non ha semplicemente calcato la scena: l’ha abitata. L’ha resa casa, patria, confine e superamento del confine. Ogni ruolo, ogni interpretazione, sembrava nascere da un ascolto profondo: come se i ruoli che incarnava gli affidassero un frammento della loro anima, e lui lo custodisse con la delicatezza di chi sa che nulla, nell’arte, è davvero effimero.

Sul palcoscenico — qualunque palcoscenico — Roberto non si limitava a eseguire: trasformava. Trasformava la tecnica in poesia, la fatica in leggerezza, il movimento in verità. La sua danza non inseguiva l’applauso, ma lo insegnava; non cercava la perfezione, ma la generava; non imitava la vita, la rivelava.

E quando arrivò il tempo di tramandare, Fascilla lo fece con la stessa intensità con cui aveva danzato. Non come un Maestro severo che difende la forma, ma come un custode che offre strumenti, visioni, disciplina e libertà.

Preferiva parlare poco e osservare molto: perché nell’osservazione si coglie la destinazione di un talento, la direzione possibile di una vocazione nascente.

In questo anniversario, ciò che più torna a vibrare è la sua capacità di far crescere gli altri. Era un creatore di futuro, un costruttore di possibilità.

I suoi allievi, i giovani che ha guidato e incoraggiato, sono oggi costellazioni accese in tanti luoghi della danza italiana e non solo. Ognuno di loro porta con sé una scintilla della sua presenza — un modo di appoggiare il piede, di sollevare il braccio, di rispettare il silenzio prima della musica. Perché Fascilla insegnava anche il silenzio. Quel silenzio fatto di concentrazione, di ascolto, di dedizione invisibile. Quel silenzio che precede ogni grande gesto artistico, come la calma che anticipa il volo.

Ricordarlo oggi significa anche ricordare un’epoca della danza che non tornerà, in cui il palcoscenico era tempio e laboratorio, disciplina e sogno, sacrificio e splendore. Ma il suo spirito non è confinato alla nostalgia: continua a muoversi tra le sale prove, tra la polvere del legno consumato, tra i respiri dei giovani che tentano un equilibrio e trovano, per un istante, quella stessa grazia che lui aveva fatto sua.

Roberto Fascilla è rimasto — e continuerà a rimanere — una presenza che non conosce tramonto. Non perché sia stato perfetto, ma perché è stato vero. E la verità, quando si esprime attraverso l’arte, non conosce confini di tempo.

In questo anniversario della sua nascita, dunque, lo celebriamo non con nostalgia, ma con riconoscenza. Per le vite che ha toccato. Per la danza che ha difeso. Per l’esempio che ha lasciato. Per la bellezza che, ancora oggi, respira attraverso coloro che ne ereditano il gesto e l’intenzione.

E allora — nel silenzio che precede ogni passo — sembra quasi di sentirlo ancora: un’ombra luminosa tra le quinte, una presenza lieve che ricorda a tutti noi che la danza non è un’arte che si possiede, ma un’arte con cui si sceglie ogni giorno di vivere.

Ed è lì che Roberto Fascilla continua a nascere. Nel ricordo. Nel movimento. Nella poesia del corpo che cerca la sua verità.

(27 novembre 1937 – 23 gennaio 2019)

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

© Riproduzione riservata

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