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Il Maestro Menegatti racconta la sua Carla Fracci dopo il successo del ritorno in scena al Teatro San Carlo, in esclusiva per il giornaledelladanza

Carla Fracci - Das Marieleben - foto Francesco Squeglia

Dopo tredici anni di assenza dal palcoscenico del Lirico Partenopeo, la Fracci ha fatto il suo rientro in scena al Teatro San Carlo di Napoli, con “Das Marienleben”, coreografie di Luc Bouy, regia di Beppe Menegatti, che racconta la sua Carla in esclusiva al giornaledelladanza.com

“Das Marienleben”… l’idea all’origine di questa produzione?

La produzione trae origine dall’occasione di un rientro in scena di Carla in questo ring glorioso che è il palcoscenico, dove si combattono generalmente delle battaglie molto cruente dal punto di vista della cultura e dell’onestà attraverso le quali siamo stati tutti presenti nuovamente di fronte al pubblico. Esiste  in molti artisti questa necessità assoluta di rimettersi in discussione sul piano prettamente scenico, anche se nel contempo rappresentano molte altre cose e questa necessità nasce dall’esigenza di diventare privilegiati, non dagli altri, ma dalla loro intensità, dalla loro preparazione. Io ne ho conosciuto tanti, in tutti i campi dell’Arte, ad esempio Léonide Massine, Pablo Picasso, Balanchine, Anne Bancroft, grandi nomi che   si sono sempre rimessi in discussione sperando in se stessi di avere accesso a quel mondo estremamente alto che è quello dei maestri, di cui, in questo momento storico, la danza ha la massima necessità. Al momento ci sono persone molto grandi all’apparenza che in definitiva non hanno fatto questo passo attraverso il quale si può giungere a insegnare ciò di cui la danza in questo momento ha più bisogno: lo stile.

In che termini è avvenuta questa rivisitazione del tema dell’Annunciazione di Maria?

Avevo già trattato questo tema molti anni fa, al Maggio Musicale Fiorentino, in uno spettacolo basato sulle liriche di Rainer Maria Rilke, musicate da Paul Hindemith, seguendo un filo conduttore molto preciso che mi era stato suggerito da uno scritto di Padre Turoldo di presentazione a Das Marienleben di Rilke in cui si parla del parallelismo tra la vita di Maria di Nazareth e la vita di Ettj Hillesum, giovane ebrea olandese che volle condividere la sorte infausta toccata al suo popolo seguendolo nei campi di concentramento e portando con sé solo la Bibbia e le Lettere di Sant’Agostino, che le furono di conforto e le fecero superare le massime difficoltà. In quello spettacolo noi invertimmo i fatti storici dicendo che Ettj aveva portato in campo di concentramento Das Marienleben e mescolammo gli scritti del diario di Ettj Hillesum e le poesie di Rilke. Fu un successo straordinario sempre con Carla protagonista, Eric vu An e Gheorghe Iancu come coprotagonisti e due straordinarie musiciste, il soprano Soile Isokoski e la pianista Marita Vitasalo. Il tema di questa versione sancarliana però è totalmente diverso, in quanto l’intento è qui si tenta di suscitare una presa di responsabilità in una persona, che in questo caso è Carla Fracci, ad assumere il ruolo di maestra e forse agli  occhi del pubblico siamo anche riusciti a trasmettere questa inquietudine, perché diventare maestri è una responsabilità totale, non ci sono mezzi termini e nel ruolo di maestro chi più di un’entità come Maria di Nazareth.  Ad un certo punto,  mantenendo una grande lirica di Rilke, Maria spinge addirittura il figlio ad anticipare la zona miracolistica che lo fa diventare taumaturgo, e ciò è scritto nel Vangelo.  Quando la Madre dice al Figlio “non hanno più vino, fai diventare l’acqua vino”,  il Figlio le si oppone dicendole che  non è ancora giunta la sua ora, ma Maria insiste e il Figlio, sull’insistenza materna, compie il primo miracolo che lo porta ad accelerare il momento della Passione, a rendere più breve il suo percorso da uomo, questo nello spettacolo viene fuori.

Oltre alla poesia e al simbolismo, attraverso quali registri comunicativi è passata la scelta registica?

Quando giunge alla mia età, si va dietro a una specie di condensato meraviglioso delle citazioni che ti hanno più impressionato nella vita. Qui le citazioni partono da una lontanissima Hedda Gabler, regia di Ingmar Bergman, protagonista la grande attrice inglese Maggie Smith a Léonide Massine, quando c’è un piccolo pezzo di carattere dove si dovrebbe chiarire chi è Gioacchino e chi è Anna, sempre allusivamente, perché, come avete visto, lo spettacolo si suppone nasca tutto in una sala prove con i ballerini vestiti tutti di bianco che ha un significato particolare.  Qualcosa viene fuori come citazione anche in certi aspetti balanchiniani degli angeli, poi si cita anche se stessi. Io ho l’affettuosa presunzione dentro di me di essere stato il primo che in Italia ha fatto uno spettacolo bianco, idea straordinaria che porto da Jean Rosenthal, grande illuminatrice degli spettacoli di Jerome Robbins

Il ruolo della poesia oggi in questo mondo spogliato di ogni contenuto ormai?

Il ruolo della poesia è quello che resiste, il ruolo della poesia è assoluto, è il ruolo più importante e il ruolo della scrittura della poesia è la situazione più necessaria per la storia dell’umano. La poesia non è solo risultato di trame editoriali.

Quindi la poesia può ancora cambiare il mondo?

Sì, assolutamente.

Carla Fracci in tutti questi anni, la Sua Carla, vista appunto dagli occhi di Beppe Menegatti…

Carla è un personaggio emblematico, una forma bellissima. Immagina ogni volta che ti danno un indirizzo email ti dicono il nome tal dei tali e poi dicono chiocciola.it, chiocciola.com e tu fra le lettere visualizzi quest’immagine… ecco… Carla è una chiocciola, un animale straordinario, un essere di grande virtù che talvolta si ritira in una sorta di guscio, per poi riuscirne fuori. La grande virtù di Carla è che con dimentica mai. Non dimentica i maestri, sia nella vita che nella professione di danzatrice, non dimentica sua nonna Argelide, meravigliosa contadina della zona di Cremona, non dimentica mai la signora Giussani, la sua prima maestra di danza, non dimentica Agnes de Mille, non dimentica Léonide Massine quando l’ha portata al Covent Garden, non dimentica Anton Dolin, nomi grandissimi nel mondo dello spettacolo, ma, allo stesso tempo non dimentica le persone più semplici. Carla non dimentica mai nessuno, non dimentica la sarta che incontra nel camerino o la bambina che ieri sera, all’uscita dal teatro, le ha porto un biglietto con su scritto “Carla ti voglio bene” , non dimentica il portiere  Grassi de La Scala che la saluta con un gesto particolare, lei non dimentica nulla, è capace della tesorizzazione di qualsiasi gesto.

Progetti futuri?

Ce ne sono, ma per ora non vorrei parlarne. Ieri all’uscita dal teatro alla porta del palcoscenico ci saranno state trecento persone ferme ad attendere Carla, tra cui cento erano ragazzi giovanissimi. Questo è un segnale forte di quanto lei abbia ancora da dare.  C’è ad esempio un’offerta molto gratificante di assumere una posizione di carattere importante come maestra e persona che ha dimostrato ieri sera che può rimanere ancora in scena e assumersi le sue responsabilità, nonostante la venerabile e meravigliosa età. Dovrebbe però avere il conforto che nasca un vero grande istituto della danza a livello nazionale, in cui si possa far capire come si sta alla sbarra e tante altre cose fondamentali  e via sia il recupero dello stile, che, dal punto di vista visivo, dal di fuori diventa linguaggio, diventa maniera di dire che può cambiare le cose.      

Un messaggio conclusivo che abbracci la danza e tutto ciò che vi è correlato…

Vola alto, danza, vola alto parola, vola alto musica!

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

Foto di Francesco Squeglia

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