Davide Dato, nato a Biella, si è diplomato alla “Ballettakademie der Wiener Staatsoper”, perfezionandosi in seguito presso la “School of American Ballet” a New York City. Nel 2008 entra a far parte del “Wiener Staatsballett”, nel 2013 è nominato Solista e nel 2016 Primo ballerino dall’allora direttore della Compagnia Manuel Legris. Danza i principali ruoli del repertorio classico e contemporaneo alla Staatsoper di Vienna. Partecipa a undici edizioni del “Concerto di Capodanno” dei Wiener Philharmoniker trasmesso in mondovisione. Si esibisce in serate di gala in Europa, America e Asia. Danza come Primo ballerino ospite con il Balletto del Teatro dell’Opera di Roma, all’Arena di Verona, al Teatro Colón di Buenos Aires e al Teatro alla Scala di Milano. Appare in diverse produzioni televisive in Italia e all’estero ed è protagonista di numerose campagne pubblicitarie italiane e internazionali, nonché di un cortometraggio. Ha ottenuto vari premi e riconoscimenti, tra cui il “Premio ASI Italiani nel Mondo” nel 2021, il “Prix Ballet 2000” a Cannes nel 2016, il “Premio Positano Léonide Massine” come miglior danzatore dell’anno nel 2015, il “Premio Anita Bucchi” nel 2010, il GD Awards del Giornale della Danza (2023) e la Medaglia d’Oro al “Concorso Internazionale di Istanbul” nel 2008. Nel 2017 è stato nominato al “Benois de la Danse” al Teatro Bol’šoj di Mosca per la sua interpretazione di Abderakhman nel balletto “Raymonda” con la coreografia di Rudolf Nureyev.
Carissimo Davide, di te sappiamo tutto, sei uno dei ballerini più amati ed acclamati della scena odierna. Parliamo di alcune tue esperienze, soffermandoci sui coreografi per i quali hai affrontato nuovi stili. Il primo è Maurice Béjart che hai conosciuto agli inizi della tua carriera. Cosa ricordi in particolare di lui e del suo lavoro?
Maurice Béjart è stato un genio che mi ha affascinato sin da quando ero bambino. Maestro di un’estetica che fonde il classico con il moderno, Béjart, per me, ha esplorato profondamente temi filosofici, spirituali e umani. Lo incontrai per la prima volta a quindici anni, durante l’audizione alla scuola “Rudra Béjart” di Losanna. Eravamo 180 ballerini, e danzare davanti a lui fu un’emozione indescrivibile. Ricordo ancora i suoi occhi penetranti quando mi comunicò che ero stato accettato nella sua Scuola. Tuttavia, decisi di scegliere la Scuola di ballo dell’Opera di Stato di Vienna, che mi offrì una borsa di studio e una solida base nella tecnica classica, ritenendo che questa scelta avrebbe ampliato le mie opportunità professionali. Nonostante ciò, quell’incontro rimane un ricordo prezioso. Da professionista, ho avuto il privilegio di interpretare diversi ruoli nei suoi balletti. La sua espressività, teatralità e profondità artistica lo rendono, ancora oggi, uno dei miei coreografi preferiti.
Di John Neumeier sei stato interprete di numerosi lavori. Qual è stato l’approccio al suo stile?
John Neumeier è, a mio avviso, uno dei massimi esponenti del balletto narrativo, con una capacità di combinare drammaturgia e danza con una sensibilità unica. Ho conosciuto John Neumeier da giovane, quando mi affidò il ruolo di Joseph ne “La leggenda di Joseph”. È stata un’esperienza incredibile, impegnativa ma estremamente formativa. Joseph è un ruolo complesso, sia tecnicamente che emotivamente, e lavorare con Neumeier mi ha insegnato a scavare nell’essenza di un personaggio, senza manierismi, ma con autenticità e profondità. Recentemente, ho interpretato Armand ne “La dama delle camelie”, un altro suo capolavoro. I duetti intricati e le sfide tecniche di questa produzione si intrecciano con l’opportunità di esprimermi pienamente come artista. Neumeier è un maestro nel raccontare storie con una sensibilità e un’estetica uniche, che lo rendono un regista straordinario oltre che un coreografo eccezionale.
Sul piano tecnico interpretare le coreografie di Rudolf Nureyev quale valore aggiunto hanno dato alla tua crescita artistica e professionale?
Le coreografie di Rudolf Nureyev sono ovviamente celebri per la loro complessità tecnica ma anche intensità interpretativa. Al Teatro dell’Opera di Vienna, sotto la direzione di Manuel Legris, ho danzato numerose sue produzioni. Tra i momenti più memorabili della mia carriera ci sono il ruolo di Basilio in “Don Chisciotte”, che mi ha valso la nomina a primo ballerino, e quello di Abderakhman nella sua “Raymonda”, che mi ha portato al “Benois de la Danse” al Bolshoi di Mosca. Lavorare con Legris, uno dei massimi eredi artistici di Nureyev, è stato fondamentale per il mio sviluppo. Le sue correzioni e il suo approccio rimangono un grande punto di riferimento per me.
Un altro coreografo che tu apprezzi particolarmente è John Cranko. Cosa ti colpisce nel suo lavoro?
La forza del lavoro di John Cranko per me, sta nella sua capacità di raccontare storie attraverso il movimento. La sua abilità nel tradurre emozioni profonde in danza lo rende unico. I suoi balletti offrono ai danzatori l’opportunità di esprimersi artisticamente al massimo livello, utilizzando la tecnica classica come mezzo per comunicare emozioni e narrazione. Il ruolo di Lenskij in “Onegin” per esempio è uno dei miei preferiti: un personaggio che combina liricità e intensità emotiva, che ho avuto la fortuna di riscoprire più volte nel corso della mia carriera.
Mentre di William Forsythe?
Con William Forsythe ho lavorato direttamente nella preparazione di “The Vertiginous Thrill of Exactitude” a Francoforte. Successivamente, ho danzato altri suoi capolavori, come “In the Middle, Somewhat Elevated”, “Artifact” e “The Second Detail”. È un innovatore della danza contemporanea, e mi affascina il suo approccio sperimentale alla struttura del balletto classico. Le sue coreografie sono una sfida fisica ed emotiva, che spingono il danzatore ad esplorare i limiti del corpo umano e la relazione tra movimento e spazio. Apprezzo particolarmente la sua capacità di unire una fisicità estrema ad una musicalità istintiva, rendendo ogni esperienza con le sue creazioni unica ed emozionante.
Di Uwe Sholz hai danzato “Jeunehomme”, considerata una delle sue creazioni più importanti. Come ti sei preparato?
In “Jeunehomme” ho avuto la fortuna di lavorare con Giovanni Di Palma, musa di Scholz, che mi ha guidato nella comprensione del suo stile. Inoltre, ho danzato la sua “La Sagra della Primavera” un assolo di 35 minuti che fu creato appunto per Di Palma, accompagnato da un pianoforte a quattro mani in palcoscenico. È stata una delle sfide più faticose e gratificanti della mia carriera. Le coreografie di Scholz richiedono una grande elasticità fisica e a mio parere trasmettono al 100% la profondità emotiva della sua vita, conclusasi tragicamente troppo presto.
In quale dettaglio di George Balanchine ritrovi il genio assoluto?
Danzare le coreografie di George Balanchine è sempre un piacere. La loro velocità e musicalità richiedono energia e precisione assolute. A diciassette anni, ho avuto l’opportunità di studiare alla “School of American Ballet” a New York, un’esperienza che ha influenzato profondamente la mia conoscenza nella tecnica Balanchiniana e il mio approccio al suo repertorio. Le sue creazioni, con il loro dinamismo e la loro eleganza, sono un inno alla danza stessa.
Hai inaugurato il nuovo Teatro di Voghera intitolato ad un altro grande artista, in questo caso della moda, Valentino Garavani che ha trasformato tessuti e abiti in capolavori. Che emozione è stata ridare luce ad una sala storica che da anni aspettava di essere restituita al pubblico in tutta la sua bellezza?
Inaugurare il Teatro della città di Voghera, di cui lui è originario, ora intitolato a Valentino Garavani, è stata un’emozione unica. Insieme ad Eleonora Abbagnato, abbiamo portato in scena uno spettacolo dedicato a questo genio della moda. Indossare i suoi abiti, che hanno trasformato il tessuto in arte, è stato un omaggio alla sua visione estetica e al suo amore per il balletto e l’opera. Lui ha sempre avuto un legame speciale con l’arte e la danza, disegnando costumi per diverse opere e balletti. È stato un bellissimo regalo in suo onore.
La “Giselle” di Elena Tschernischova cosa ha apportato di nuovo al caposaldo fondamentale del repertorio romantico della danza mondiale?
La versione di “Giselle” di Tschernischova è una rilettura drammatica e intensa del classico romantico. Creata per Vienna e Vladimir Malakhov, è cupa e profonda, con un Albrecht arricchito da una variazione aggiuntiva nel primo atto. Ho interpretato questo ruolo più volte e, ogni volta, ho trovato nuove sfumature artistiche. È un personaggio che evolve con l’esperienza e la maturità, e ogni spettacolo è una riscoperta.
All’Arena di Verona ti sei misurato anche nel celebre “Zorba” di Massine, che esperienza è stata?
Danzare in “Zorba” all’Arena di Verona è stata un’esperienza gioiosa e coinvolgente. Lavorare con Massine è stato un onore; il suo “Zorba” è un balletto vibrante e appassionato, che celebra la cultura greca attraverso la danza. Esibirsi all’Arena di Verona, un luogo iconico, è stato un ritorno alle mie radici artistiche. Tornare su quel palco, dove avevo debuttato come primo ballerino ospite a diciotto anni, è stato particolarmente emozionante.
Sempre all’Arena ti sei misurato anche nella leggendaria “Traviata” del maestro Franco Zeffirelli con le coreografie di Giuseppe Picone. Cosa ti è piaciuto in questo ruolo che riguarda i ballabili delle opere liriche?
Ballare ne “La Traviata” di Zeffirelli è stata una novità per me, dato che all’Opera di Vienna i ballerini si esibiscono solo in produzioni di balletto. Lavorare in un’opera lirica mi ha permesso di esplorare nuovi aspetti artistici, ampliando il mio orizzonte. Ho avuto anche la possibilità di ammirare da vicino i cantanti e osservare il loro lavoro sul palcoscenico arricchendo così il mio bagaglio espressivo.
Con Charles Jude hai provato “Suite en blanc” del grande Serge Lifar. Che lettura hai dato di questo lavoro sul piano tecnico ed estetico?
Ho affrontato “Suite en blanc” al Teatro Colón di Buenos Aires con Charles Jude. È stata una grande fortuna lavorare insieme ad un artista come lui. “Suite en blanc” è un capolavoro di stile e raffinatezza, un esempio perfetto del rigore e dell’eleganza che incarna la purezza della scuola francese, un’opera che esige una tecnica impeccabile e una precisione stilistica assoluta.
Il secondo “Gala Fracci” alla Scala di Milano ti ha visto protagonista indiscusso sotto la direzione del Direttore Manuel Legris. Che emozioni conservi di quella magica serata?
Partecipare al “Gala Fracci” in qualità di “Artista Ospite” al Teatro alla Scala, sotto la direzione di Manuel Legris, è stata un’emozione indescrivibile. Questo teatro è magico e ha un’energia speciale. Ho una profonda gratitudine per Legris, che ha avuto un ruolo fondamentale nel mio sviluppo artistico. La sua dedizione e il suo amore per la danza continuano ad ispirarmi.
Come ti sei preparato al ruolo per eccellenza e cioè quello del Principe Siegfried nel “Lago dei Cigni”?
Siegfried è un ruolo iconico che desideravo interpretare da tempo. Affrontare la complessa versione di Nureyev è stata una sfida tecnica e stilistica. Richiede una combinazione unica di tecnica impeccabile e, in particolare la sua versione, una grande profondità interpretativa. Danzarlo a Vienna è stato il coronamento di un sogno, un momento che porterò sempre con me.
Sicuramente tante nuove sfide ti attendono al Teatro dell’Opera di Vienna. Con quali coreografi ti piacerebbe misurarti in futuro, e quali non abbiamo menzionato del tuo passato a cui vuoi dedicare un pensiero?
Ogni coreografo e maestro con cui ho lavorato mi ha arricchito, e sono grato per tutte le esperienze che hanno plasmato la mia carriera. Ampliare il mio repertorio verso il contemporaneo è un percorso che trovo stimolante e necessario. Il futuro è per me un territorio da esplorare. Vorrei collaborare con coreografi che possano creare nuove opere su misura, spingendo la mia arte verso territori inediti, continuando a crescere come artista completo.
Michele Olivieri
Foto Matone
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