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Tributo a Marinel Stefanescu: intervista con Liliana Cosi

Carissima Liliana il 5 giugno scorso è andato in scena nella capitale della Romania il “Don Chisciotte” in memoria di Marinel Stefanescu, già primo ballerino dell’Opera Nazionale di Bucarest fino alla metà degli anni Settanta, quando si recò in Italia e dove fondò insieme a te, la “Compagnia Balletto Classico Cosi-Stefanescu” che nel tempo ha goduto di grande successo sui palcoscenici internazionali. Tu eri presente all’omaggio a Bucarest, che emozioni hai provato, cosa ti ha colpito in particolare, quanto è ancora amato e ricordato Marinel nella sua patria e come si è svolto il tributo?

Mi ha molto colpito quanto a Bucarest amino e conoscano Marinel Stefanescu. In una trasmissione alla TV nazionale che annunciava lo spettacolo del 5 giugno al Teatro dell’Opera, nel presentarlo hanno utilizzato aggettivi come il “leggendario” ballerino e coreografo Marinel Stefanescu, aggiungendo sempre altri superlativi. Mi hanno anche riferito che l’annuncio della sua scomparsa è stato dato in Romania dall’Ambasciatrice in Italia Gabriela Dancau che ha usato parole eccelse nei suoi confronti, aggiungendo molti dettagli della sua carriera. A Bucarest mi hanno fatto una lunga intervista su di lui e prima dello spettacolo a lui dedicato hanno allestito un salottino in palcoscenico davanti ad un siparietto dove eravamo sedute Ileana Iliescu (prima ballerina emerita del teatro dell’Opera e partner per molti anni di Stefanescu) ed io e dopo alcuni interventi ci hanno omaggiato con dei fiori. Al termine dello spettacolo il direttore ha offerto a tutti un brindisi in suo onore. Il manifesto che annunciava lo spettacolo scriveva che era in onore di Marinel Stefanescu. Di recente parlando con un giovane rumeno operatore di riprese cinematografiche, mi ha detto di aver sentito parlare di lui quand’era a Bucarest, quindi la sua popolarità è molto diffusa in Romania!

 

Anche il “Nuovo Balletto Classico” che si trova nella sede storica dell’Associazione Balletto Classico di Liliana Cosi e Marinel Stefanescu ha in programma una serata di Gala con l’istituzione del “Premio Stefanescu” il 15 ottobre al Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia, cosa ci dobbiamo aspettare da questo nuovo evento-tributo?

Un buon primo risultato è stata la partecipazione del Comune di Reggio Emilia, che ci ha concesso il Teatro Valli, attraverso l’assessore alla cultura, senza pagare l’affitto, questo è molto apprezzabile! Il premio questo primo anno verrà assegnato alla signora Eleonora Abbagnato che porterà anche due suoi primi ballerini dell’Opera di Roma per partecipare al Galà. Anche da Bucarest verranno due giovani ballerini che danzeranno il pas de deux del secondo atto dello “Schiaccianoci” con la coreografia di Stefanescu. Anche tutte le altre parti dello spettacolo saranno sue coreografie. Abbiamo una grande scelta!

 

Nel Saggio istituzionale 2024 della Scuola di alta formazione “Nuovo Balletto Classico” con la direzione di Rezart Stafa, Elena Casolari e Nicoletta Stefanescu è andato in scena un altro tributo al Maestro Stefanescu con la partecipazione di vostri ex allievi, giusto?

L’idea è stata di Rezart Stafa che ha voluto invitare alcuni tra i tanti allievi che hanno studiato con lui, soprattutto della prima ora, alcuni proprio del 1978, che dopo il diploma hanno continuato con noi in Compagnia ricoprendo anche ruoli di solista e alcuni hanno anche insegnato ed ora uno di loro è diventato persino preside di un istituto scolastico di Correggio! Tutti hanno sottolineato l’importanza della loro formazione umana come persone, non solo come ballerini, ripetendo: “quello che sono adesso lo devo a tutti quegli anni di studio e di lavoro con lui”. Le loro testimonianze hanno commosso il pubblico!

 

Il “Nuovo Balletto Classico” ha preso in eredità tutto il repertorio coreografico di Stefanescu. Di lui si rammentano la sua insuperabile ricerca e sensibilità musicale nelle creazioni di balletto. Cara Liliana ricordiamo Marinel attraverso alcune tra le sue maggiori coreografie su musica sinfonica o originale come nel caso della collaborazione con il compositore Adrian Enescu. Musiche che hanno ispirato balletti verso temi inediti e universali. Iniziamo da “Patetica” di Čajkovskij, che tra l’altro mi aveva confidato Stefanescu essere stato il suo ruolo prediletto?

Marinel ha creato la “Patetica” nel 1975 quando ancora non esisteva la nostra Compagnia. Ero étoile alla Scala e lui primo ballerino a Zurigo. In occasione del primo “Festival della Valle d’Itria” in Puglia mi affidarono tutta la parte ballettistica del festival. Avevo già conosciuto Stefanescu in diverse occasioni, ballando a Madrid per i reali di Spagna, a Bordeaux, alla Scala, e mi ero accorta della sua spiccata vena creativa, non era interessato alla carriera quanto alle musiche da coreografare, dicendo che a Bucarest aveva già messo in scena dei balletti. Ho pensato di farmi aiutare da lui per questo impegno e in quell’occasione Marinel ha creato “Patetica” e “Romeo e Giulietta” di Čajkovskij. In particolare mi ha colpito la sua visione della “Patetica”. Nei tre temi che s’intrecciano nel primo movimento ha visto tre distinti personaggi: la Vita, la donna, l’Amore, l’uomo, il Destino, qualcuno che uccide la vita, ma questa morirà nelle braccia dell’Amore, quindi vivrà in eterno, perché l’Amore è eterno, e poi un gruppo di sei ragazze come testimoni della vicenda. Queste sue idee mi colpirono profondamente, non è facile trovare pensieri del genere in un balletto! Ricordo che anche alla Scala si facevano balletti nuovi, ma non mi piacevano, d’altra parte non avrei voluto ballare tutta la vita solo il grande repertorio, anche se l’ho sempre amato e piace sempre al pubblico. In questo nuovo balletto vedevo una novità ma con un senso profondo e anche la morte era ‘bella’… finivo coi capelli sciolti e senza scarpine, ma non disperata! È un balletto che poi con la Compagnia abbiamo ballato tantissimo e ricordo una sera in camerino, dopo uno spettacolo una signora anziana mi ha detto: “non ho più paura di morire, è bello morire per amore!”.

 

Passiamo poi a “Concerto” di Sergej Rachmaninov?

È andato in scena nell’estate del 1980 insieme ad “Anàfura”. Siccome “Anàfura” per la sua particolare tematica dava meno adito a ballare la pura tecnica classica, Marinel ha voluto offrire al pubblico prima qualcosa di puro neo-classico, attraverso la figura del famoso musicista russo che da grande concertista si lascia vincere dalla creatività dell’arte, diventando anche un grande compositore. Infatti i personaggi erano: l’Artista (Stefanescu), l’Arte (la sottoscritta), e il corpo di ballo femminile e maschile che rappresentavano la tecnica e il virtuosismo. Solo alla fine tutti i personaggi troveranno un accordo nella sua creatività nei meravigliosi concerti per pianoforte e orchestra che Rachmaninov ha regalato all’umanità! Di recente lo abbiamo rimesso in scena ed è stato ancora apprezzatissimo dal pubblico con applausi a scena aperta!

 

“Anàfura” di Adrian Enescu?

“Anàfura” è nato così. Un giorno Marinel mi dice d’aver fatto un sogno: l’Arcobaleno, quello dopo il diluvio universale, la Stella cometa che annuncia la nascita di Cristo, le tre V di Via, Verità e Vita e ha sentito che doveva mettere in scena un’opera sul Vecchio e Nuovo testamento. Va a Bucarest a parlare col suo amico compositore di musica da film, Adrian Enescu e si fa mandare un po’ delle sue musiche… ne è nato un capolavoro, che abbiamo in parte anche portato nei Teatri e persino alla Sala Nervi in Vaticano. Le musiche tutte scelte da Marinel per le diverse scene erano veramente geniali una più bella dell’altra con timbri ebraici e sonorità nuove con strumenti elettronici e temi universali.

 

“Risveglio dell’Umanità” (Sagra della Primavera di Stravinski; La Moldava di Smetana e Dialogo con l’Infinito di A. Enescu)?

Questo balletto è stato un ‘parto’ molto complesso. È andato in scena nel 1986, ma la gestazione è iniziata molto prima. Anche in quell’epoca c’erano le guerre nel mondo e Marinel sentiva di voler dire il suo pensiero contrario. “La Sagra della Primavera” era la rappresentazione dell’umanità primitiva che scopre con meraviglia tutti gli elementi della natura: aria, acqua, terra, fuoco, vegetazione, animale, mare. Ma con il senso finale completamente cambiato, non ci sarà la vittima per propiziarsi il nuovo raccolto ma ci sarà l’Uomo che salva la Natura minacciata dalla violenza primitiva. Per questo suo atto eroico merita – sulle note della “Moldava” di Smetana – di danzare con tutti gli elementi della Natura che lo ringraziano e si sdoppiano e lui termina, questa prima parte, ai piedi di lei! Poi c’è la seconda parte “Dialogo con l’Infinito” dove di nuovo, per la musica, ha fatto ricorso al suo amico Adrian Enescu. Anche qui dall’abbondanza delle sue musiche sceglie nove brani contrastanti tra di loro per parlare un linguaggio più moderno, vuole affermare che non si può voler la pace nel mondo se non la si vive prima in se stessi. I personaggi sono la Guerra (un uomo), la Violenza (una donna), la Pace (ero io) e l’Uomo (lui stesso) e naturalmente il corpo di ballo che sottolineava i vari momenti vissuti dall’Umanità… Questo balletto lo abbiamo portato in tantissimi spettacoli in tutta Italia e in molte città europee, dal Belgio a Bruxelles dalla Romania alla Germania e Olanda e persino in tournée in Giappone in un tempio buddista a Kioto e nella Cina Popolare a Pechino Jinan e Shangay.

 

“Radici” di Liszt-Enescu-Skrjabin?

“Radici” è andato in scena nel 1990 al Teatro Verdi di Firenze. Il titolo nasce dall’ammirazione di Stefanescu per Franz Liszt, compositore di una piccola nazione come l’Ungheria ma che è riuscito a far apprezzare il colorito del suo folklore persino a Parigi (capitale della cultura dell’epoca) grazie al suo genio che lo ha elevato a livello sinfonico con le famose rapsodie. Inizia con le celeberrima seconda Rapsodia, dove il protagonista è nel pieno delle sue radici, la nostalgia per la sua Patria, poi nella quarta siamo a Parigi in un ambiente più elegante e universale, nella quinta c’è il momento del dubbio e del ripensamento, ma che si risolve sulle note del concerto per pianoforte della “Fantasia ungherese”, dove temi popolari, eleganza sinfonica si fondono. Ma anche qui c’è una seconda parte più profonda. Stefanescu va alle radici della creazione dell’Uomo fatto di Materia e di Spirito facendo ricorso alle musiche elettroniche di Adrian Enescu per sfociare nel famoso “Poema dell’estasi” di Aleksandr Nikolaevič Skrjabin che ribattezza “Inno alla Vita”. Il balletto terminerà con la salita in alto dell’uomo che rappresenta la materia e della donna che rappresenta lo spirito, per lasciare sulla terra la nuova vita con dei bambini accanto alle sette coppie protagoniste. Anche con questa produzione abbiamo girato l’Italia e il mondo fino ad arrivare negli Stati Uniti a Los Angeles. Ricordo che dopo lo spettacolo a Milano il noto critico del “Corriere della Sera” Mario Pasi ha scritto l’apprezzamento per lo spettacolo che metteva in scena i ‘buoni sentimenti’! Anche questa è una delle costanti iscritta nell’animo di Stefanescu per le sue creazioni.

 

“Omaggio a Čajkovskij” di Čajkovskij?

Nasce nel 1993 nel centenario della morte del grande musicista russo, come doveroso omaggio di Stefanescu e per ringraziare il musicista che più di tutti ha contribuito a rendere famoso universalmente il balletto con i capolavori del grande repertorio ottocentesco, come il “Lago dei Cigni”, “La bella Addormentata”, e “Schiaccianoci”! Ricordo che quando l’ho ascoltato per la prima volta mi sono spaventata, al pensiero di doverlo ballare, conoscendo lo stile di Stefanescu che metteva in scena ogni nota, ogni strumento, io avevo ormai 52 anni e mi sembrava impossibile, pensavo di non esserne all’altezza…

 

“Doina” su musiche popolari rumene?

Marinel ha coreografato diverse Doine, che sono canti di dolore senza lacrime nati nel cuore del folklore rumeno divenuti famosi grazie alla magistrale interpretazione del grande flautista di Pan Gheorghe Zamfir. Alcuni ‘a soli’ sia maschili che femminili e altri d’assieme. La prima che ha coreografato era il ricordo di una madre per il suo figlio perduto. Mi è sembrato un bellissimo tema, e forse mai rappresentato in balletto, si poteva riferire a alla perdita di Gesù per Maria, o la perdita di qualsiasi figlio per una madre!

 

“In attesa del Nuovo Tempo” di Brahms?

È andato in scena nel 1999 proprio alle porte del nuovo millennio! Sul concerto n° 1 per pianoforte e orchestra di Brahms. Bisogna dire che ogni volta che Marinel si accostava ad una musica si innamorava di quell’autore, lo faceva suo, era la sua vera ispirazione. A volte si metteva in ufficio il quadro con la sua fotografia! È il primo balletto che crea da quando ha smesso di ballare e aveva già cominciato a dipingere, infatti le scene sono tutte nate dai suoi quadri che la scenografa Hristofenia Cazacu è riuscita a realizzare nelle dimensione di fondali.

 

“Nozze” di George Enescu?

Questo balletto ci è stato commissionato da Chiara Lubich per l’anno mariano indetto da Papa Giovanni Paolo II nel 2003, si trattava di mettere in scena uno dei nuovi ‘misteri del rosario’ “Le nozze di Cana”. Il problema era trovare la musica adatta. La ricerca non è stata facile ma per un colpo di fortuna Stefanescu ha trovato in due rapsodie di George Enescu la musica che sembrava fatta apposta per descrivere tutto l’evento, del primo miracolo di Gesù, che si legge nel Vangelo, con gli sposi, il rabbino, i servi, le grandi anfore, i musici, gli apostoli e Maria.

 

“Ground Zero – Nuovo Giardino” di Barber-Čajkovskij-Enescu, creato da Stefanescu nel 2002 in occasione del primo tragico anniversario del crollo delle Torri gemelle a New York?

Sì, puntuale, l’11 settembre 2002 è andato in scena questo nuovo spettacolo al Teatro Municipale di Piacenza, ha avuto un tale successo che siamo stati obbligati a replicarlo il giorno seguente. L’idea dello spettacolo nasce dalla riflessione che nel mondo il dolore ci sarà sempre, e che Uno solo ha dato senso a tutto il male esistente: Gesù, quindi bisogna, metterlo al centro della nostra vita e così si raggiungerà veramente la beatitudine, il Paradiso. Questo è l’inizio sulla musica dell’adagio per archi di Barber poi la vicenda si dipana con due innocenti feriti da una guerra e subito dopo la presenza del Male su musica di Adrian Enescu, poi tre giovani coppie (I colori dell’armonia) sul secondo movimento della quarta sinfonia di Čajkovskij per terminare dopo altri interventi su musica di Adrian Enescu con il quarto movimento della “Patetica”, dove tutti i protagonisti del balletto danzano in un paesaggio paradisiaco, con un effetto veramente emozionante. Tutte le scene sono quadri di Stefanescu.

 

“Alba di Pace e Armonia” di Alexandr Skrjabin?

Sono due brani, un ‘a solo’ e un ‘duetto’ su sinfonie di Skrjabin un momento di vera alta poesia, creati per due bravissimi interpreti Bianca Assad e Rezart Stafa, tra le ultime coreografie del Maestro.

 

“Variazioni sul tema amore” di Liszt?

Andato in scena alla fine del 2007 con “Alba di Pace” e “Armonia”, sui cinque preludi trascendentali di Liszt, una musica che gli ha ispirato anche il titolo. Cinque coppie molto diverse in carattere e sentimenti, che attraverso una tecnica quasi estrema per difficoltà, compongono un tutt’uno di varietà sul tema dell’Amore arrivando ad un finale veramente coinvolgente.

 

Parliamo invece delle sue celebri “Miniature”, ideate su musiche di Chopin, Porumbescu, Debussy, Albeniz, Liszt, Beethoven, Gounod, Mozart, Vivaldi, Delibes, Čajkovskij, Albinoni, Massenet, Brahms, George Enescu, Perucci?

Sono veramente dei gioielli le molte miniature, più di una ventina, i brani di breve durata, dai 5 ai 10 minuti che nelle più diverse occasione Marinel ha coreografato e che hanno arricchito molti nostri spettacoli, dando ognuna un sapore diverso, un significato autentico, un proprio stile particolare alla bellezza all’unità della musica con la danza!

 

Tra i grandi balletti del repertorio classico come non ricordare “Don Chisciotte” di Minkus, “Coppélia” di Delibes, “Nozze d’Aurora” di Čajkovskij, “Petrushka” di Stravinski, “Lago dei Cigni” di Čajkovskij, “Raymonda” di Glazounov, “Spartacus” di Kaciaturian, “Risveglio di Flora” di Drigo. Quali sono le particolarità e gli adattamenti voluti dal Maestro che hanno resi questi titoli un caposaldo intramontabile del Vostro repertorio?

Il primo è stato “Don Chisciotte” creato quando ancora non avevamo la sede, ci sembrava il balletto più adatto a lanciare in tournée la nostra nuova Compagnia. È stato montato in una palestra a Sanremo, dato che il debutto avvenne al Teatro Ariston con l’Orchestra di Oradea, per il semplice motivo che non esistevano, a quell’epoca, registrazioni di questo balletto. Le prove le abbiamo fatte con un pianista rumeno con lo spartito fotocopiato al Teatro Bolshoi da amici compiacenti! Naturalmente dopo la prima si è immediatamente registrata la musica in uno studio a Sanremo. In tutti i balletti di repertorio che tu Michele nomini come “Coppélia”, “Nozze d’Aurora”, “Raymonda”, “Petroushka”, “Spartacus”, “Risveglio di Flora”, Marinel ha sempre seguito il suo gusto senza però stravolgere l’idea originale. Si è costantemente ispirato alle peculiari caratteristiche della musica, senza cambiarne il senso, ma cercando di esprimerlo al massimo. “Spartacus” è stato pure un grosso lavoro, Marinel non amava mettere in scena l’eroe “alla sovietica”, ma ha cercato invece di metterne in luce i suoi tratti umani, soprattutto nel famoso adagio con la moglie Phrighia e nella scelta della musica della scena finale.

Tra le sue coreografie ricordiamo inoltre i balletti: “Omaggio a Degas” di Chopin, “Ave Maria” di Gounod, “Doina” su musica popolare Romena”, “Suite di danze spagnole” di Albeniz, “Valzer fantastique” di Glazounov, “Slanci” di George Enescu, “L’Età del primo Bacio” di Brahms, “Ricordo di Madre di Calcutta” di Mozart, “Valzer dei Fiori” di Čajkovskij, “Il nome di Thaïs” di Massenet, “Notturni” di Chopin, “Come due Colombe” di Albinoni, il “Gran pas de deux” dello Schiaccianoci”, “Primavera” di Vivaldi, “Natura” e “Amore” di Mozart, “Rosa Mystica” di Skrjabin, “Nozze” di George Enescu. C’è in particolare Liliana qualche altra creazione del Maestro che desideri ricordare e perché?

Mi sembra di poter dire che ognuno di questi titoli è un piccolo capolavoro, di recente ne abbiamo messi in scena alcuni e rilucono sempre della loro bellezza e della loro originalità. Devo dire però che la nostra Compagnia poteva contare su elementi di primissimo piano, molto versatili e tecnicamente preparatissimi, quindi ogni richiesta del Maestro veniva esaudita alla perfezione. Però in altri casi invece come il “Claire de Lune” di Debussy è stato montato per una scuola privata (infatti è senza le punte), ma comunque quando poi è stato interpretato da ballerini professionisti ha espresso tutto il suo Pathos e la sua poesia.

 

Raccontiamo Liliana ai nostri lettori anche di Marinel Stefanescu nelle vesti di scenografo, costumista, librettista?

Pensa Michele che i primi schizzi per i costumi di Marinel risalgono proprio agli inizi, ai tempi di “Patetica”, “Raymonda” e “Spartacus” (1975-1976) ispirati all’epoca della musica e del soggetto. Ha sempre avuto facilità per il disegno, anche da piccolo (c’è un suo acquarello di quando era adolescente dove ritrae un pastorello, fatto veramente bene), in più la sua grande fantasia e genialità si è sempre espressa nei più diversi campi. Solo quando ha chiamato la signora Hristofenia Cazacu, prima scenografa dell’Opera di Bucarest, appena andata in pensione, e si è stabilita da noi, allora tutte le scene e i costumi erano di lei e lui si dedicava solo alla coreografia. Ma non mancavano i consigli!

 

Qual è stata l’occasione del vostro primo incontro?

È molto interessante! Marinel doveva ballare in una serata di Galà a Madrid con Margot Fonteyn per i reali di Spagna ma, per non so quale motivo, “la signora della danza”, declinò l’invito e disse all’impresario Boris Trailin, di prendere me della Scala. Si doveva ballare il “Cigno Nero” e il passo a due dello “Schiaccianoci” con la coreografia di Rudolf Nureyev. Così Marinel venne alla Scala per imparare la nuova coreografia che, tra l’altro, criticò moltissimo…! Poi lo stesso impresario ci portò a Bordeaux per una nuova “Cenerentola”, e così cominciai a conoscerlo meglio. Era diverso da tutti gli altri primi ballerini, non gli interessavano tanto gli spettacoli, il lavoro, i cachet, ma le musiche che aveva in mente da coreografare.

 

Come nasce poi la ultra decennale collaborazione artistica?

Nel 1975 il direttore di Rai 3 mi offre la direzione artistica del “Primo Festival della Valle d’Itria” a Martina Franca per la parte del balletto, mi è sembrata una buona occasione per chiedere a Marinel se mi voleva aiutare, data la sua vena coreografica. Lì Marinel collaborò subito con lo scenografo per l’“Orfeo e Euridice” e fece anche delle danze, poi montò “Patetica” e “Romeo e Giulietta” che col secondo atto del “Lago dei Cigni”, faceva un bel trittico di Čajkovskij. Il corpo di ballo lo si prese un po’ da Zurigo dove lui ballava (compresa la sua futura moglie), e alcuni della Scala che non erano impegnati. Ma la cosa più importante era che anch’io dovevo chiedere il permesso alla Scala perché proprio nello stesso periodo, settembre, c’erano spettacoli di balletto a Milano al Castello Sforzesco. Ricordo che con timore andai da Paolo Grassi, il Sovrintendente di allora, a chiedere l’autorizzazione e sinceramente avevo timore nel dover dire che chiedevo un permesso per andare in un paesino delle Puglie, ma come esclamai Martina Franca, cominciò a sorridere meravigliato, era il suo paese natale… così mi concesse il permesso! Poi ci invitarono ancora l’anno dopo, ma nel mese di luglio e Marinel mise in scena “Spartacus” e “Nozze d’Aurora”.

 

Che partner era Marinel in scena?

Come partner ottimo sia per le prese che per tutte le pirouéttes, e per le parti interpretative. Era sempre molto attento e cercava il parallelismo con la partner.

 

Oltre all’amore per la danza e l’insegnamento qual era il sentimento artistico e culturale che vi legava?

Marinel amava molto l’arte, tutte le arti, teatro, cinema, letteratura, pittura. Per lui l’arte era “sacra” nel senso che o era quella che doveva essere, cioè come avevo sentito dire da Stanislavski: “L’Arte è per elevare lo spirito dell’uomo” oppure non ce n’era bisogno. Lui cercava di mettere la parte migliore di sé nelle sue creazioni artistiche, e anche se lui stesso non sempre riusciva ad incarnarle, però era capace di donarle al pubblico! Questo in sintesi è quello che ci ha sempre tenuto uniti, malgrado molte difficoltà.

 

A Reggio Emilia insieme avete creato un patrimonio intellettuale che appartiene alla vita sociale della città. Quali sono stati i vostri punti fermi e imprescindibili nell’infondere la disciplina tramite un’arte così elevata quale è la danza?

Per noi la danza era proprio arte, fin dall’insegnamento. Ricordo l’intervista ad una nostra giovane allieva, di un giornalista che le chiedeva se non si stancava di far sempre così tanti esercizi ripetitivi, ha risposto con convinzione: “ma per noi lo studio è già arte!”. Quindi l’insegnamento non si è mai limitato ai soli esercizi ma ha sempre spaziato anche nella sfera personale, nel modo di comportarsi, anche fuori dalla sala di balletto, alla conoscenza delle altre arti, alla storia, si consigliavano libri da leggere… personalmente cercavo di essere un esempio. Pensa Michele che un giorno si è accorto che i ragazzi della Scuola vestivano per strada senza buon gusto e per diversi anni stabilì per loro una divisa: calzoni blu o neri e camicia chiara e giacca blu o nera. Erano proprio carini vederli arrivare così vestiti!

 

Avete preparato e formato nel tempo non solo ballerini e insegnanti, ma persone con una alta sensibilità verso il prossimo. Quali sono stati i maggiori consigli di Marinel (non solo da un punto di vista coreutico) che amava tramandare agli allievi?

Anche nel suo caso mi sembra che è valso più l’esempio. Era dedicato totalmente ai giovani. Era esigentissimo, ma i ragazzi capivano che era per il loro bene che a volte urlava forte per incitarli a fare quello che lui richiedeva… ma se qualcuno non stava bene o aveva qualche problema fisico era il primo ad occuparsene, magari a fargli un massaggio o a trovargli il medico giusto!

 

Nel settembre 1978 a Reggio Emilia viene inaugurata la sede dell’Associazione Balletto Classico, la Scuola di Balletto, diretta e voluta da te e da Marinel per preparare le future generazioni di artisti-ballerini. Migliaia sono gli allievi che hanno frequentato per alcuni anni la Scuola traendone benefici e numerosi sono i diplomati che oggi lavorano in Compagnie italiane e all’estero o insegnano in differenti Scuole. Se volgi lo sguardo al passato su questa felice avventura quali sono gli aspetti che ti rendono con il senno di poi maggiormente orgogliosa?

Vorrei dire che di continuo in questi anni e ancora in questi giorni mi capita di incontrare persone che mi ringraziano per quello che abbiamo dato coi nostri spettacoli ed anche ex allieve che mi ringraziano per quello che hanno imparato da noi. Non certo si riferivano dal punto di vista ballettistico, ma umano. Veramente sono tantissimi che avendo smesso di ballare ci hanno ringraziato perché hanno imparato a vivere, a soffrire e a continuare a lavorare a fondo, si sono preparati alla vita. Allo spettacolo di fine anno della Scuola per ricordare il Maestro Rezart Stafa ha voluto invitare alcune e alcuni ex allievi dei primi tempi che hanno frequentato la scuola dal 1978. È stato commovente ascoltarli! Alle soglie dei sessant’anni ricordando il periodo da noi si commuoveva e qualcuno era diventato preside di un istituto comprensivo, e si augurava che la città si rendesse conto di tutto il lavoro fatto in quarant’anni dal Maestro Stefanescu a Reggio Emilia, per i giovani di tutta Italia. Infatti quasi tutti provenivano da altre città, e molti in seguito si sono stabiliti a Reggio.

 

Sotto la direzione didattica e pedagogica tua e di Stefanescu avete portato avanti una importante attività educativa grazie al bagaglio di esperienze accumulato negli anni di gloriosa carriera in palcoscenico. Nel vostro caso è proprio vero che l’unione fa la forza?

Sì ma non solo un’unione qualsiasi ma una unione, in un certo senso di opposti, perché caratterialmente, e sotto tanti punti di vista lo siamo davvero e anche come esperienze di vita personali. Ma evidentemente siamo riusciti ad integrarci!

 

I ricordi più belli legati a te e a Marinel con il Teatro alla Scala di Milano a cosa ti riportano?

Alla Scala abbiamo ballato tanti balletti insieme, da “Giselle” al “Excelsior”, dalla “Bella Addormentata” allo “Schiaccianoci” con la coreografia di Nureyev. Ricordo che dopo una serata di Galà alla Scala Marinel è stato chiamato da Beppe Menegatti per offrirgli di lavorare con lui e Carla Fracci, ma non ha accettato!

 

“Ogni qualvolta la musica di un vero artista mi ispira, tento di raggiungere la purezza della sua anima. Sempre riscopro che i capolavori non nascono dalla sola gioia, ma dalla complessità e dal travaglio della vita. Il dolore ha quella forza” così scriveva Marinel Stefanescu. La sensibilità e continua attenzione al lato umano erano la vera forza di Marinel artista?

Sì questa è stata la sua vera prerogativa, insieme ad una quasi eccessiva acutezza di tutti i suoi cinque sensi, coi quali non gli è stato facile convivere.

 

In tenera età Stefanescu viene iscritto, su indicazione di suo zio (il primo ballerino Gabriel Popescu) alla Scuola di Ballo dell’Opera di Bucarest dove si diploma nel 1966 col massimo dei voti. Viene inviato a Mosca per un corso di perfezionamento al Bolshoi sotto la guida di Messerer e Iermolaiev e poi al Kirov di Leningrado con Pushkin. Nel 1968 riceve il primo premio e la medaglia d’oro al Concorso Internazionale di Danza a Varna a pari merito con Michail Baryšnikov, e viene nominato primo ballerino all’Opera di Bucarest. Nel 1969 riceve il premio per la miglior interpretazione al 1° Concorso Internazionale di Balletto a Mosca. Accanto alla sua passione per il balletto scopre la vocazione alla coreografia. Quanto è importante oggi ricordare la figura di Stefanescu e qual è l’eredità che ci ha lasciato non solo artistica ma anche spirituale?

La sua completezza umana e artistica insieme. Oggi dove soprattutto nella danza sta primeggiando il lato tecnico in una forma esasperata, mi sembra importantissimo mettere in luce la persona intera del ballerino come artista, la sua unicità come interprete, e non solo come esecutore tecnico. Purtroppo oggi ci sono pochi esempi di questo genere.

 

Dal 1969 Stefanescu comincia la carriera internazionale, è ripetutamente invitato come artista-ospite protagonista di tutto il repertorio classico-romantico e moderno nei maggiori Teatri dell’Europa, dell’Unione Sovietica e dell’Asia. Balla nei più rappresentativi Galà e nei più celebri teatri di tradizione ballettistica con partner del calibro di Alicia Alonso, Tessa Beaumont, Magdalena Popa, Iliana Iliescu, Natalia Makarova, Liane Daydé, Ekaterina Maximova, Vera Kirova e naturalmente con te, Liliana Cosi. Com’era lavorare al suo fianco, quali valori aggiunti portava alla partnership?

Come hai citato Michele son tutte prime ballerine di altissimo profilo, e fra le sue più amate c’era proprio Natalia Makarova, per la sua specialissima espressività artistica e musicale.

 

Marinel ha anche danzato al Teatro Bolshoi di Mosca, al Kirov di Leningrado, a Odessa, a Kiev e in altri palcoscenici leggendari. In cosa si ritrovava il suo essere “danseur noble”?

Le sue prerogative, oltre ad una indiscussa tecnica (aveva tra l’altro un salto molto leggero con atterraggi molto morbidi e il fraseggio dei passi molto legato), erano certamente l’interpretazione dei ruoli, infatti tra il grande repertorio privilegiava il romantico e drammatico Albrecht di “Giselle” e Romeo ma anche il giovane simpatico Basil del “Don Chisciotte”!

 

Per quattro anni è stato primo ballerino dell’Opera di Zurigo insieme ad un altro nome iconico della danza mondiale, Rudolf Nureyev. Per Marinel quali erano i fondamenti dello stile accademico? A quali doti e a quali aspetti dava maggiore importanza?

La sua Scuola è stata decisamente quella russa anche se imparata da un maestro rumeno che forse gli ha aggiunto qualcosa di suo. Personalmente era un ballerino naturalmente molto coordinato in tutto il suo corpo con una particolare bellezza dei movimenti delle braccia, cosa abbastanza rara in un uomo, oltre ad avere un viso particolarmente espressivo.

 

Ogni incontro professionale con Stefanescu era un’occasione per approfondire ideali comuni sull’arte, sulla società, sul balletto quale veicolo di valori per la cultura odierna. Come si poneva nei confronti della disciplina moderna e contemporanea?

Era molto critico ma non contrario. Per lui la cosa principale nella coreografia era il senso di quello che si faceva. Il movimento doveva avere un senso e un perché. Non poteva essere a vuoto. Solo questa era la sua critica verso certa danza contemporanea.

 

Come già ricordato sopra, insieme avete condiviso nel 1975 la direzione del “Festival della Valle d’Itria” dove Marinel ha creato alcune coreografie, tra cui “Orfeo ed Euridice” di Gluck. Cosa ricordi in particolare Liliana di quella esperienza professionale?

È stata un’esperienza fondamentale vedere realizzarsi i suoi pensieri nella coreografia. Amavo molto il classico e il grande repertorio ma mi rendevo benissimo conto che ogni epoca deve dare il suo contributo artistico e quindi ero contenta di provare qualcosa di nuovo. Il nuovo di Marinel mi ha affascinato perché aveva un senso, e alla fine non era un problema entrare in scena senza le scarpine da punta e coi capelli sciolti perché il personaggio morente che interpretavo lo richiedeva. Si può dire che da quella felice esperienza ho deciso che con una persona così si poteva realizzare il mio desiderio di portare il balletto al grande pubblico fuori anche dai teatri lirici.

 

Il suo genere coreografico ha incontrato fin da subito il tuo gusto nella realizzazione di quel ‘nuovo’ classico che avevi sempre sognato?

Proprio così Michele. In realtà avevo visto e provato anche altri generi di coreografie ma non le sentivo per me. Fatta eccezione di due creazioni di George Skibine alla Scala: “Daphnis e Cloe” di Debussy che ho ballato con Paolo Bortoluzzi e “Romeo e Giulietta” di Berlioz che ho ballato con Attilio Labis.

 

In lui era prevalente, oltre alla cultura e sensibilità musicale come abbiamo già sottolineato, anche l’esigenza di dare senso ad ogni passo e ad ogni gesto, come vi preparavate ad interiorizzare i ruoli nei vostri celebri passi a due?

Le prove erano sempre brevi e in pieno, era molto esigente e anche un po’ perfezionista. Non si perdeva tempo in discorsi!

 

Nutriva un grande rispetto per il palcoscenico e per il pubblico, quasi fosse un luogo sacro, giusto?

Per lui quello che succedeva in palcoscenico era tutto molto importante: dalle luci, ai costumi, alle coreografie del corpo di ballo e dei solisti, al soggetto. Quando creava un balletto si occupava anche delle luci che per lui erano importantissime e capitava di arrabbiarsi molto se i tecnici facevano degli errori nel dare gli effetti durante i balletti!

 

Si può dire che in Stefanescu viveva un senso di “teatro totale”. Ogni sua creazione veniva concepita in maniera globale: la musica, la coreografia, il gesto, la storia, le atmosfere, le luci, i costumi, le scene, la scelta degli interpreti, nascevano da un’unica ispirazione iniziale dando così vita a spettacoli in cui nulla prevaleva se non il messaggio di unità del tutto. È proprio così?

Credo che fosse proprio questa la sua prerogativa, curare l’assieme dello spettacolo e credo che fosse questo che piaceva al pubblico. Ricordo che quando siamo stati in tournée in Romania dopo la destituzione di Nicolae Ceausescu abbiamo voluto fare un sondaggio d’opinione data la particolare situazione. Nessuno ha scritto qualcosa tipo bravo Marinel, o brava Liliana, ma erano tutte riflessioni spirituali, interiori, ringraziamenti per la speranza che i balletti infondevano, parlavano persino della forza del perdono…

 

Stefanescu definiva il suo genere coreografico: “Ogni qualvolta la musica di un vero artista mi ispira, cerco di raggiungere la purezza della sua anima”. Quanto di filosofico risiedeva nel suo lavoro?

Mi sembra di poter dire che tutto nasceva dalla sua particolarissima sensibilità musicale unita alla sua estrema fantasia!

 

Mentre di poetico?

La sua fantasia toccava tutti i campi. Ha scritto anche poesie per qualcuno che ammirava particolarmente!

 

Tra i tanti complimenti al suo/vostro lavoro possiamo ricordare “Com’è bello vedere ballare le note”. Ha mai avuto dei rimpianti? Credi abbia realizzato tutti i suoi sogni?

Sinceramente ho realizzato molto, molto di più di quello che non avrei mai neanche sognato! Non sognavo di fare la prima ballerina… però ho sognato di dar qualcosa al pubblico, gioia, pensieri, di non lasciarlo come prima dello spettacolo, e mi sembra che con la nostra attività di spettacoli soprattutto di gioia ne abbiamo data molta al pubblico. Ricordo una delle prime volte che vedevo un nostro spettacolo seduta in platea (perché avevo smesso di ballare), mi sono accorta della differenza dei visi delle persone: arrivavano a teatro tutti tesi e di fretta e poi già nel primo intervallo erano più sereni e alla fine erano contenti e ringraziavano… mi dispiaceva soltanto di non poter far sentire quelle parole agli interpreti, ai ballerini della Compagnia, sarebbero state di incoraggiamento, più degli applausi. Questo mi sembra tantissimo!

 

Un altro vostro evento memorabile lo si ricorda nel 1975 con i direttori del Teatro Fraschini di Pavia per l’organizzazione di dieci spettacoli del “Lago dei Cigni” con il corpo di ballo e l’orchestra dell’Opera di Bucarest, che esperienza è stata?

Quella volta abbiamo avuto la fortuna di lavorare con due giovani promettenti organizzatori – Massimo Teoldi e Carlo Rivolta – (che avevo conosciuto in precedenza) che hanno avuto il coraggio di credere nella loro capacità di riempire il teatro per ben dieci spettacoli per un genere che certamente non era così conosciuto! Ma credevano nella cultura, erano sostenuti da Paolo Grassi, allora Sovrintendente della Scala. Con loro misi in scena anche uno spettacolo originalissimo, “Concerto per ballerina solista” uno spettacolo tutto da sola che ha girato molte città della Lombardia col cartellone della Scala!!

 

Nel 2007 in occasione del Trentennale della vostra “Compagnia” Stefanescu mise in scena un balletto su musiche di Skrjabin intitolato “Pace di Alba e Armonia” e sui preludi trascendentali di Franz Liszt “Variazioni sul tema Amore”. Il suo dovere all’arte non è mai venuto meno?

Questo è stato l’ultimo suo grosso impegno coreografico e si può dire che ha chiuso in bellezza, sia per la scelta delle musiche che per la tematica ispirata dalla musica. Ma c’è stato anche un altro fattore. A quell’epoca avevamo i ballerini della Compagnia di un vero e proprio alto livello, quindi Marinel non ha avuto problemi a realizzare tutto quello che il suo cuore o la sua anima e la sua fantasia ballettistica gli dettava, potevano eseguire tutto, qualsiasi difficoltà tecnica… non è sempre così, quel balletto aveva un finale che toglieva il fiato!

 

Nel 1990 subito dopo la caduta del regime di Ceausescu in Romania, Marinel riesce ad organizzare una storica tournée di sette spettacoli con la “Compagnia Balletto Classico” a Bucarest, Cluj, Iasc e Lugosc con tre produzioni: “Risveglio dell’Umanità”, “Radici” e “Trittico”. Per lui, come per te Liliana, l’arte era ed è un nutrimento alle brutture del mondo?

Appena è caduto il regime Marinel, aiutato da amici e parenti, ha organizzato più viaggi per portare a Bucarest aiuti umanitari di ogni genere, ma presto ha sentito il dovere e l’urgenza di nutrire quel suo popolo, quei suoi connazionali con la bellezza di cui erano stati privati per tanto tempo e pur senza sicurezze è riuscito ad organizzare una tournée molto impegnativa ma che ha avuto un incredibile successo!

 

Nel 1997, quando Stefanescu lascia il palcoscenico trova una nuova vena artistica nella pittura che da tempo coltivava. Come lo ricordi in queste vesti?

Come ho già accennato per me era ‘normale’ vedere Marinel disegnare costumi, fare schizzi molto gradevoli, era una sua naturale abilità, ma quando si è trovato senza la danza, questa sua dote ha preso il sopravvento. Il marito della nostra scenografa rumena gli aveva dato qualche input sulla tecnica dei colori, ma gli è bastato poco, lì la sua fantasia non aveva tregua, dipingeva tutta notte e non bastavano mai le tele, dipingeva su qualsiasi cosa avesse a portata di mano e poteva essere adatta! Alcuni quadri sono veramente belli! Amava dire che i colori sono più obbedienti dei ballerini!

 

Nell’ultima intervista di Stefanescu alla stampa, concessa a me grazie al tramite tuo Liliana, mi aveva colpito una profonda risposta a riguardo delle sue coreografie. Sosteneva a ragion veduta che la creazione di un balletto per lui partiva da “Dio assolutamente da Dio. Dalla verità assoluta della creazione”. In quelle parole ho percepito che la danza fosse per lui il mezzo più idoneo per incontrare Dio, o mi sbaglio?

Marinel ha sempre avuto una forte spiritualità e fede ortodossa. Mi diceva che durante il comunismo quando passava davanti ad una Chiesa si faceva il segno di croce con la lingua sul palato, e quando per la prima volta si è messo la calzamaglia da ballerino (da piccoli studiavano solo con le calzine corte e le gambe nude), ha sentito che lo avrebbe fatto per Dio… Quando si è accorto che anch’io ero credente si è molto meravigliato perché nel nostro ambiente non è facile trovare persone credenti sul serio, non come una certa superstizione. Non so se sai Michele che nella sua casa di Reggio Emilia, si è fatto una cappellina disegnata da lui: l’altare in marmo bianco lavorato, e due finestre dipinte da lui, una col volto di Gesù e una con lo Spirito Santo e una infinità di icone e fotografie dei suoi defunti. Riguardo alle coreografie mi ha sempre detto che non è mai entrato in sala 1 per montare un balletto (la sala principale dove noi lavoriamo) senza sentirsi spinto nella schiena… tante volte riguardando le sue coreografie non le riconosceva come sue!

 

Forse non tutti sanno che all’età di 5/6 anni con le scarpe da tennis si era ‘innamorato’ della prima ballerina rumena Irinel Liciu e per attirare la sua attenzione a scuola aveva danzato con i calzoncini e la maglietta bianca “La morte del cigno”, riuscendo ad attirare l’attenzione anche dei genitori e dei compagni di corso. Com’era fuori dalle scene Marinel? Quali erano i suoi hobby, le sue passioni, il rapporto con la famiglia, come occupava il tempo libero, a cosa dava maggiore importanza oltre all’arte?

Era appassionato ai film con buoni attori, li apprezzava tanto, gli piaceva viaggiare anche extra il suo lavoro, un suo hobby era la cucina, inventava ogni tipo di pietanza… e cucinava di tutto. La famiglia per lui era molto importante, non ne avrebbe potuto fare a meno.

 

Diceva che aveva vissuto “male” il successo e la popolarità, perché secondo il tuo punto di vista?

Penso perché non erano suoi obiettivi, non gli importavano assolutamente, tutte le cose pratiche che potevano servire anche a far quadrare il bilancio non gli interessavano, nel senso che non dava loro importanza, gli importava solo poter fare arte!

 

Inoltre come consiglio rivolto ai giovani danzatori diceva “Non ballate troppo a lungo”?

Questo consiglio credo abbia un unico motivo: per non soffrire troppo nella vecchiaia! Il balletto classico negli anni lascia i suoi segni ed è impossibile esserne indenni, lui si è trovato con tre ernie alla colonna vertebrale, oltre ad altri problemi alle anche e alle ginocchia!

 

Dalla danza sosteneva di avere avuto il rispetto della gente. Che rapporto nutriva con il pubblico?

La sua arte era per il pubblico. Amava dire che l’artista deve essere un educatore del pubblico! Questo mi è sempre molto piaciuto e l’ho sempre condiviso!

 

Oggi la sua figura e la sua arte continuano ad ispirare le future generazioni di ballerini nella Scuola di Reggio Emilia?

Soprattutto da quando ci ha lasciati vedo che Rezart Stafa coglie tutte le occasioni per metterlo in luce, insegnando sue coreografie ai giovani del Corso di perfezionamento e anche della Compagnia e della Scuola, come si è già detto il 15 ottobre prossimo al Teatro Valli di Reggio Emilia sarà un’ulteriore occasione per parlare e mostrare di lui.

 

Cara Liliana, l’incontro con Marinel in qualche modo ha cambiato il corso della tua storia, cosa devi di più bello a lui e come siete rimasti legati fino alla sua scomparsa terrena ma sicuramente non spirituale?

Certamente se non avessi incontrato un artista come Marinel non avrei fatto, dopo la carriera alla Scala, tutto quello che ho fatto: quasi quarant’anni di tournée in tutta Italia e nel mondo con nuovi spettacoli. E aver formato migliaia di ballerini. Non è sempre stato facile, tante volte mi sono chiesta se avevo fatto le scelte giuste perché il carattere di Marinel era molto impulsivo e a volte imprevedibile ma ho letto nel Vangelo che un albero lo si riconosce dai frutti… E allora se i frutti erano buoni voleva dire che il suo interno era buono, il resto era una corteccia che bisognava accettare.

 

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

 

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