Gabriella Cohen nasce a Torino e si diploma presso il Teatro alla Scala di Milano e al Teatro Bolscioj di Mosca. È stata acclamata interprete di Giselle; ideale personificazione delle eroine romantiche, indimenticabile nella trasfigurazione dei suoi cigni. Gabriella Cohen viene riconosciuta dalla critica italiana come l’erede della grande tradizione del balletto classico italiano. Una carriera da étoile internazionale, la partnership con grandi danzatori quali Attilio Labis, Patrice Bart, Raffaele Paganini, Vladimir Derevianko, Paolo Bortoluzzi, Marco Pierin, Fredéric Olivieri, Gabor Kevehasi, Peter Breuer e la volontà di recare nel mondo lo stile di danza italiano. All’età di sedici anni partecipa alla tournée europea dei Giovani Solisti del Bolscioj ed è la prima volta per una danzatrice italiana; in seguito sarà ospite fra l’altro, del London Festival Ballet, dell’Opera di Budapest, del Ballet Royal de Wallonie, di svariate compagnie europee oltre che di tutti i principali Teatri italiani, svolgendo numerose tournées in Inghilterra, Belgio, Israele, Ungheria, Francia, Germania, Stati Uniti, Porto Rico e Canada. Nei primi anni Settanta si esibisce al Centro per le Sperimentazioni Artistiche di Boissano con il recital Musica per una Ballerina. Fra il pubblico lo scultore Cèsar, il pittore Arman e la vedova di Lucio Fontana. In seguito a questo evento il celebre artista della pop art, Andy Warhol decide di ritrarla. Gonfalone d’Oro, Sagittario d’Oro (1979), Premio Positano nel 1973 e, al valore nel 1987 oltre a diversi altri premi e riconoscimenti, tra cui quello alla carriera del Giornale della Danza (GD Awards 2024). Partecipa in qualità di ospite in programmi televisivi italiani, spagnoli, francesi e belgi. Per la RAI fra l’altro ha presentato per due anni consecutivi il Festival Internazionale del Balletto di Nervi in diretta. Ha riscosso successi come coreografa con Le Nozze d’Aurora, Romeo e Giulietta, Coppélia, Lo Schiaccianoci, Jonathan Livingston e numerose altre creazioni originali. Attualmente si dedica all’insegnamento poiché intende trasmettere alle nuove generazioni, la tradizione del balletto classico, neoclassico e del repertorio a suo tempo appresa da grandi insegnanti quali Yvette Chauviré, Anton Dolin, Patricia Neary, Assari Plisetzky, Sofia Nicolaievna Golofkina, oltre che dal Corpo insegnante dei Teatri Bolscioj e della Scala. Gabriella Cohen ha dato recentemente alle stampe il libro dal titolo La danza è bellezza, un manuale d’arte per giovani danzatori.
Carissima Gabriella qual è il valore del rapporto tra tecnica e interpretazione?
L’interpretazione senza supporto tecnico, rimanda ad esecuzioni dilettantistiche, se non caricaturali; altra cosa è la tecnica privata dell’interpretazione. In questo caso, pur apprezzando la maestria virtuosistica che sicuramente può assicurare un certo coinvolgimento, la percezione in generale è comunque di sterilità, di un’esecuzione che mantiene un distacco costante nei confronti dell’insieme (il pubblico, il contesto narrativo, la definizione musicale ecc…). L’interpretazione però oltre che di un solido supporto tecnico, necessita pure di impulsi ed emozioni che solo un Artista e non un semplice esecutore, può rinvenire in sé per poi elaborarli e generosamente, rivelarli.
In un ballerino quanto è importante l’educazione mentale?
Immagina Michele la forma di una danzatrice in punta, intenta a sostenere la figurazione dell’attitude; le spalle ed i fianchi perfettamente allineati, le braccia in terza posizione, che contornano il volto e la testa che a sua volta, grazie al busto eretto, rimane perfettamente allineata al piede di terra… Quanta armonia, quanta precisione… Non ti fa pensare all’aspetto esteriore della stabilità spirituale, di quel benessere che ci consente di sfruttare le nostre capacità emotive, della forza profonda che sostiene il nostro equilibrio psicofisico? Sentimenti ed emozioni, condizionano fortemente un’esecuzione, l’equilibrio fisico è sempre strettamente connesso al proprio stato d’animo che ha l’eccezionale facoltà di determinarne la stabilità armonica.
Tra i vari compiti di un valido docente troviamo quello di educare, e ciò vale anche per il maître de ballet, per il direttore, per il répétiteur?
Ti dirò la mia opinione personale. L’insegnante non ha solo il compito di “introdurre” nell’allievo nozioni tecniche, trasmettendogli cultura e sensibilità artistica, curandone la qualità del movimento… Il docente (e questo è uno dei miei obiettivi primari), deve anche “estrarre” dallo studente la sua autonomia, sia fisica (grazie alla sicurezza tecnica) che spirituale. Quell’emancipazione, quell’autosufficienza che gli consenta di non farsi sopraffare dalle critiche sterili, o da certi atteggiamenti di Maestri che possono apparire troppo severi, intransigenti, ma che l’allievo deve saper elaborare prendendoli per quello che sono: pura e semplice didattica, senza i coinvolgimenti emotivi che vivono nell’ambito delle proprie famiglie. Questo… “addestramento” tornerà molto utile una volta fatto l’ingresso nel mondo del lavoro, soprattutto nell’arco del primo anno… Meglio non aspettarsi troppa partecipazione emotiva dalle Maestranze! Con i tempi sempre ridotti, le masse coreutiche, musicali, tecniche da supervisionare costantemente, oltre che la nota dolente degli ostacoli sindacali, i bravi maître, direttori e répétiteurs, devono solo dedicarsi al pesante onere del controllo totale, per poter poi ottenere l’onore di critiche apprezzabili e della crescita del loro Corpo di Ballo. Certo qualche incoraggiamento espresso al volo nell’arco di una lezione o di una prova perché no, ma niente di più… Questo è il mio pensiero ma come sai… “vecchia scuola”!
Il teatro non stanca mai e non si finisce mai di godere della magia che porta con sé, ma per assolvere a tutto ciò è necessario il rigore, l’ordine, la disciplina, e cos’altro?
Umiltà ed orgoglio, follia e ragionevolezza, spiritualità e pragmatismo, essere partecipi e collaborativi in un lavoro d’insieme ed entrare a comando in contatto, con il sé più profondo, isolandosi dal contesto…Tutti questi sono aspetti altamente contraddittori ma necessari per potersi distinguere nell’ambito teatrale. Certamente non facile, ma d’altronde, come è la vita dell’artista… Stay foolish stay hungry, l’indimenticabile testimonianza di Steve Jobs, riassume in pieno il percorso da affrontare per poter calcare le tavole di quel magico Teatro, che non stanca mai…
Sovente si assiste ad una lacuna di precisione, memoria e soprattutto di sguardo veloce nel correggere le imprecisioni. A cosa si devono questi fattori?
Non c’è stanchezza, né insoddisfazione o mancanza di tempo a disposizione che giustifichi un tale atteggiamento. È un’infedeltà, un’inaccettabile slealtà nei confronti della nostra disciplina che si basa sulla ricerca della perfezione e la cura del dettaglio; i giovani devono assolutamente essere indirizzati verso questo percorso che è affascinante proprio in ragione della sua difficoltà e che esorterà lo studente ad osare, superando ogni giorno di un pò i propri limiti. Non so dirti a cosa si debbano tali carenze perché fra i miei numerosissimi difetti e mancanze, questa mi è decisamente sconosciuta!
Anche solo un’occhiata, un’intenzione o una mano determina la buona riuscita? E non solamente per la prima ballerina, ciò vale anche per chi si trova nell’ultima fila del corpo di ballo, giusto?
Assolutamente sì! Penso ai grandi Corpi di Ballo, a tutte quelle realtà formate quasi esclusivamente da soggetti che hanno frequentato il ciclo di studi completo all’interno delle proprie grandi Scuole ed Accademie lavorando quotidianamente dal primo all’ultimo Corso, con la stessa metodologia applicata dai Docenti con precisione certosina. Assistendo alle esibizioni dei loro studenti, non si può non rimanere ammirati dall’insieme perfetto in ogni esercizio o evoluzione. Le teste, le braccia, le mani, i piedi, gli atteggiamenti, gli sguardi, i port de bras, gli epaulements, la tecnica dei salti, delle punte, la minuziosa osservanza del metodo, identico per tutti i corsi, tutte realtà che formano un’unità ed un insieme prodigiosi. Una volta completato il ciclo di tali studi, ed entrati a far parte delle loro rispettive Compagnie, questi elementi saranno più che in grado di ricreare quella coesione armonica e sbalorditiva per precisione e cura.
Un bravo ballerino non finisce mai di studiare?
Ça va sans dire! Dal primo all’ultimo giorno. Il ballerino si nutre di studio, e chi otterrà le più alte gratificazioni, sarà sicuramente colui che non “eseguirà” una serie di passi alla sbarra o nel corso della lezione, ma lavorerà con il massimo impegno ogni impercettibile passaggio di esercizi ed evoluzioni, facendo di stanchezza, sudore ed impegno i suoi migliori alleati… Solo nel dizionario il sostantivo “soddisfazione” viene prima di “sudore”…
Le rinunce che aspetto giocano nella professione tersicorea?
Privazioni e sacrifici costituiscono un canale privilegiato verso il raggiungimento di obbiettivi artistici elevati. Spontaneamente il ballerino veramente motivato, alla domanda “quanto pesano i sacrifici imposti dalla tua disciplina?” risponderà sempre “Nulla! li affronto con piacere, tanta è la gioia che la danza elargisce!” E in effetti l’atteggiamento di devozione e sottomissione a fatica e rinunce, incrementa la percezione di forza e potenza, intensificando la propria sicurezza e stabilità. Vanno comunque tenute in considerazione le privazioni più penose, quelle riguardanti i soggetti in età pre adolescenziale, e mi riferisco in particolare al distacco dalle proprie famiglie, e alla rigida disciplina imposta dalla nostra arte; i primissimi ostacoli da superare per il raggiungimento delle nobili aspirazioni. Un vero e proprio test d’ingresso nel mondo della danza professionale.
Spesso si nota una mancanza di rispetto, ma la gerarchia è imprescindibile sia nella Scuola che nel Teatro?
Sì Michele, hai ragione, dovrebbe esserlo… e dovrebbe essere reciproco! Raramente una persona autorevole non viene rispettata, cosa che non avviene sempre con quella autoritaria.
La competizione tra ballerini quanto serve e dove si dovrebbe arrestare?
La competizione più sana in assoluto è quella con sé stessi. Secondariamente, quella il cui obbiettivo prioritario non consista nell’imporsi sull’altro, riducendo il momento competitivo ad una sterile rivalità vanitosamente fine a sé stessa, ma esaltandolo in un confronto creativo, ricco di stimoli che favoriscano una sempre maggior crescita personale.
Il coraggio quanto è auspicabile nella scelta della professione coreutica?
Così come nella vita di tutti i giorni, anche per noi danzatori, una buona dose di coraggio può sempre aiutare. Avere l’audacia di lasciare una Scuola o una Compagnia per un’altra magari all’estero, compiendo un vero e proprio salto nel buio, senza alcuna garanzia di sviluppo positivo, accettare o rifiutare un contratto, lanciarsi in qualche “presa” spericolata… Il coraggio cammina sempre a pari passo col destino, ma la mancanza totale di audacia non porta molto lontani.
Qual è stata l’iniziativa più audace nell’ambito della tua carriera?
Quando a diciotto anni appena diplomata alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala ed assunta stabilmente nel Corpo di Ballo del Teatro stesso, abbandonai in un nano secondo e in malo modo una riunione sindacale e nel giro di pochissimo tempo, superai un’audizione di solista all’English National Ballet di Londra (l’allora London Festival Ballet) dove si lavorava moltissimo e non si questionava mai … A me andò più che bene, anche perché caratterialmente non ero portata alla stabilità a vita nello stesso pur prestigiosissimo Teatro, ma avrebbe potuto rivelarsi una scelta infausta… Destino!
La principale dote di un maestro è la generosità, cioè il tramandare all’allievo senza riserve e remore il frutto della propria esperienza?
Mi baso sul mio vissuto personale, in quanto allieva prima ed insegnante oggi. Dando per scontata la profonda conoscenza della propria materia e quel tanto di esperienza scenica fondamentale, mi sento di affermare che i maggiori pregi che fanno di un Maestro un Pedagogo, sono l’empatia ed una autorevole umanità. EMPATIA come spiccata capacità di percepire pensieri ed emozioni dello studente, individuandone e decodificando i suoi stati d’animo, le sue fragilità, i suoi dubbi, perplessità e qualche volta, disistima; e poi UMANITÀ, come strumento per accordare il proprio supporto, ma sempre tramite un sostegno che non dovrebbe mai eccedere, passando i limiti di una troppo coinvolgente partecipazione emotiva.
Passo dopo passo si trova prima la tecnica e poi l’arte… o viceversa?
Se ti riferisci alla didattica, particolarmente nei primi anni di studio, sicuramente la tecnica, se invece l’ambito è quello, sia artistico-professionale che quello degli ultimi ultimi quattro anni di studi accademici, tecnica ed artisticità dovranno obbligatoriamente andare di pari passo: un esemplare, affiatato pas de deux! Ovviamente ben venga l’allievo che già dai primi corsi mostra una forte predisposizione artistica, che non interferisca però con lo studio della tecnica. Sono casi rari ma ce ne sono.
Non basta solo eseguire i passi… deve esserci un prima che è fondamentale per la resa scenica?
Quel “prima” è il nostro vissuto, che di certo col progredire degli anni e dell’esperienza, influenza grandemente la nostra essenza di artisti. La maniera con la quale ci esprimiamo danzando, la qualità del nostro movimento, sono il serbatoio della nostra energia vitale e rivelano SEMPRE chi siamo veramente.
Mentre l’espressione dell’anima da dove la si ricava?
L’espressione dell’anima nasce proprio con noi, nell’attimo stesso in cui ci viene fatto l’immenso dono dell’illuminazione Divina. Il nostro grande Rebbe Menachem Shneerson, ragionando sulla propria interiorità e definendola “il nostro arduo eremo interiore”, afferma che “in tutti noi vive una scintilla di santità” …ed è esattamente da quella luce più o meno esibita, che l’artisticità trascende. Da dove può fiorire l’ispirato respiro che anima (o dovrebbe) ogni port de bras se non dalla nostra anima? Una luce che, chi non percepisce, ha il dovere di desiderare, cercare ed individuare scavando negli abissi del proprio “io”.
Come trovare il giusto respiro e il giusto tempo della musica in un ballerino? Due aspetti che si differenziano da quelli della quotidianità al di fuori del palcoscenico.
La musica assume una forma corporea grazie alla musicalità gestuale del ballerino che danzando, deve poter sfiorare l’essenza di ritmi e melodie, controllando il proprio respiro. In tale contesto, il respiro incarna qualcosa di spirituale. Danzando controlliamo gestualità e respiro congiungendoli armonicamente alla musica per mezzo di un’espressione che potrei definire metafisica: realtà totalmente avulsa dagli affanni della vita di tutti i giorni.
Mentre qual è la ricetta per cogliere le sfumature, l’interiorizzazione del ruolo, i rapporti con il partner in scena?
Questa ricetta è un foglio bianco e sta all’interprete formare dal nulla gli ingredienti, plasmarli e dosarli, dando vita ad un canale privilegiato che conduca all’intima essenza del soggetto da impersonare. Trascendere dal proprio sé per compenetrare e fondersi col personaggio ma attingendo anche con generosità dal proprio vissuto che andrà elaborato e filtrato in funzione del contesto interpretativo. Il rapporto con il partner poi si svolge all’interno di confini interiori, che nel magico istante dell’esibizione teatrale, risultano invalicabili da influenze esterne, e più assumeranno le caratteristiche di quella sorta di intimità e fiducia particolari, quel fondersi l’un l’altro, quell’intendersi con uno sguardo e quell’affidarsi reciprocamente con serenità e fiducia, (condizioni queste che possono concretizzarsi quasi esclusivamente nel momento e nel contesto della performance), e maggiore sarà il coinvolgimento generale per condurre chi ci osserva alla meraviglia.
Qualsiasi interprete ha bisogno di ispirazione?
L’ispirazione è quell’impulso, quello stato di grazia che distingue un’esercitazione da un’esecuzione artistica, l’attività fisica, da una gestualità illuminata, il “vibrato” di uno strumento a corde dal suono piatto di una sirena… So bene che questa tua domanda Michele è leggermente provocatoria, perché conoscendoti bene, so che tu vivi di ispirazione; è la fiammella che illumina il tuo sguardo e il tuo sorriso quando ti accosti ad un Teatro, ad un artista o ad un’Opera d’Arte…Ma accetto di buon grado il simpatico invito a confermare questa indiscutibile realtà.
La netta percezione dello spazio circostante per un ballerino a cosa è imputabile?
Le nostre frontiere personali, sono zone di separazione e contemporaneamente di contatto con gli altri, oltre che con il nostro passato e futuro. L’ambito culturale, interpersonale e le nostre radici, plasmano lo spazio personale che ci circonda, trasmettendo a chi ci è vicino la nostra essenza.
Qual è la sostanziale differenza tra l’essere un ottimo esecutore e un ottimo artista?
La differenza? L’anima… la sensibilità, e personalità, il temperamento, il carattere, l’audacia; una impalpabile grazia spirituale, e l’impossibilità oggettiva di poter fare a meno della danza, del sudore, dell’odore della pece e della polvere del palcoscenico. L’impossibilità di rinunciare ad una ricerca illimitata ed estenuante della perfezione; dedicarsi con passione e senza sosta ad aggiornarsi, in quanto la danza, come sappiamo bene, è un’Arte in continua evoluzione… E tutto questo fino all’ultimo giorno della nostra esistenza artistica.
Per nutrirsi della cultura dell’arte quali sono i presupposti irrinunciabili?
In principio era l’imprinting… Ossia l’apprendimento precoce trasmesso dalla famiglia, o da un mentore, piuttosto che da una scuola eccellente o un’insegnante illuminato. È nell’età dell’infanzia che nozioni e stimoli vengono recepiti ed assimilati al massimo. Questo bagaglio di conoscenze ed esperienze, (in questo caso mi riferisco principalmente ad una guida culturale) supporteranno la crescita spirituale ed artistica del giovane, agevolandolo. Verrà quindi naturale a quel soggetto, accostarsi alle creazioni ed espressioni artistiche comprendendole e condividendo l’appagamento il benessere e l’armonia che esse procurano e, soprattutto sapendole decodificare per poi applicarle spontaneamente all’evento interpretativo.
Se non hai la conoscenza del passato, sei destinato a perderti?
Perdersi sì, una definizione talmente calzante! Nei labirinti del tempo… Gocce del passato, di tutto il passato fluiscono nel nostro DNA e ci consegnano un’impronta genetica e la percezione di tempi remoti. Senza questo processo, senza conoscenza del passato, come potremmo vivere il nostro presente? E tornando a noi, teniamo presente che dalla preistoria ai giorni nostri, la danza è sempre stata lo specchio del comportamento umano; la conoscenza delle memorie tramandate o percepite ci consente di vivere consapevolmente l’oggi, sapendo così apportare una luce nella verità del presente.
Il pubblico va prima avvicinato e poi educato all’arte del balletto?
Ragazzi, teenagers ed adolescenti vanno senz’altro indirizzati verso una comprensione della cultura teatrale, incoraggiandoli ad approfondire la conoscenza dell’arte in generale, appassionandoli e rendendoli partecipi di molteplici eventi. Per quanto riguarda invece il pubblico nel suo insieme, sta a noi coinvolgerlo con produzioni spettacolari sì ma principalmente, grazie al nostro talento, seducendolo mediante tecnica, eleganza, capacità interpretativa e bellezza armonica.
Per tua conoscenza Gabriella la danza si può fare anche senza musica, come sosteneva Serge Lifar? Arriva prima la danza e poi la musica?
La bellezza di una movenza suggestiva ed ispirata, prende forma partendo dal nostro interno. Ogni port de bras dovrebbe sempre nascere da una contrazione del diaframma, compiuta in sintonia con il respiro e l’allungamento della colonna vertebrale. In tale modo il gesto si fa poesia: potrà delinearsi descrivendo ed interpretando la musica, ma sarà altrettanto potente anche senza il supporto musicale. Il nostro “sentimento ritmico” ci guida; un’ampia gestualità delinea il ritmo, lo spazio ed una metafisica armonia, un suono silente che proviene dalla nostra sensibilità per giungere alla vista di chi ci guarda. Osservate i ballerini o un coreografo, mentre analizzano e memorizzano una combinazione di passi senza musica, prima dell’esecuzione o della creazione vera e propria… ciò che emerge è quello che intendo per “sentimento ritmico”e “suono silente”.
Cosa ne pensi delle riletture dei grandi classici del repertorio, oggi tanto di moda?
Penso sia un vero e proprio campo minato. Un conto è adattare un grande classico al gusto contemporaneo, apportandone qualche modifica narrativa o stilistica, agendo sempre “in punta di piedi” con estrema competenza, cautela, cultura e decoro: nel corso degli anni, abbiamo goduto di diverse realizzazioni sceniche in questo senso, orientate cioè verso un “restauro conservativo” dell’Opera, che ha sicuramente favorito un maggiore coinvolgimento del pubblico odierno. Purtroppo non sempre questo accade ed alcune volte il cattivo gusto impera! Altra cosa è un’Opera originale che si avvale della partitura, e alcune volte di trama e titolo di quella classica, ma che ne stravolge completamente coreografia, ambientazione ed interpretazione. Solo in alcuni di questi casi, sono fioriti veri e propri apprezzabilissimi capolavori.
Come si può preservare e tramandare al meglio il grande repertorio?
Oltre ai prestigiosi trattati di stesura grafica delle coreografie, creati dal Cinquecento alla prima metà del Novecento, al giorno d’oggi grazie alla tecnologia, possediamo svariati mezzi per poter riprodurre fedelmente un balletto del grande repertorio. Resta inteso che in ogni caso, non è certo sufficiente seguire passivamente un video replicandone meccanicamente i passi e le legazioni, essendo sprovvisti dell’indispensabile conoscenza profonda, sia tecnica che stilistica dell’opera. Questo porterebbe ad un’esecuzione piatta e monocorde, priva della compiutezza che ne dovrebbe caratterizzare l’essenza. Sarà sempre indispensabile che il mâitre de ballet o il repétiteur, posseggano un background culturale ed artistico di tutto rispetto.
Mentre un buon custode dello stile chi è?
Io. E tutte quelle personalità che hanno saputo cogliere ed elaborare gli insegnamenti di grandi maestri e coreografi, per poi consegnarli e trasmetterli con grande umiltà e GENEROSITÀ alle nuove generazioni, che sono il nostro domani…
È adeguato eliminare le ridondanze dai classici che per taluni non sono più attuali?
Penso decisamente di sì. Mi riferisco tecnicamente a certe linee barocche, le arabesques “appoggiate” col busto in avanti, i retirées ben sotto il ginocchio, la seconda posizione delle braccia portata in avanti e non sostenuta dalle scapole e così via… Scenicamente, dal mio punto di vista è lo stile dell’insieme a determinare un’interpretazione antiquata o fresca ed attuale. E quello stile nasce in sala prove, già dal primo pliè alla sbarra.
La pantomima è stata ridotta e contenuta, eppure nel balletto è una sostanza che completa?
Certamente Michele, un minimo di pantomima nei grandi balletti classici è assolutamente indispensabile: un minimo. Il balletto è un’azione scenica muta, ma in alcuni casi necessita di un ulteriore elemento essenziale alla comprensione dell’intreccio narrativo. In questi casi un ridotto apporto di elegante, garbata pantomima non potrà che completare lo svolgersi della rappresentazione. Fondamentale è evitare gli eccessi melodrammatici reminiscenze da cinema muto, sotto alcuni aspetti affascinanti ma non più proponibili ai nostri tempi.
La danza classica è cambiata molto in termini evolutivi e fisici, cosa non ti aggrada ai tempi nostri?
Devo dirti Michele che essendo a contatto quotidiano con giovani o giovanissimi elementi, e cercando di tenermi aggiornata il più possibile sull’evoluzione della danza (cosa facilmente realizzabile oggigiorno, grazie alle prodigiose agevolazioni tecnologiche) ho imparato ad apprezzare innovazioni e piccole rivoluzioni nel campo della tecnica ballettistica. Il magico equilibrio sta però nel sapere e poter applicare questi mutamenti altamente tecnico-virtuosistici ad una esecuzione pura ed accurata, evitando di effettuare i movimenti più impegnativi, in modo grezzo ed approssimativo. La destrezza consiste proprio nell’ammaestrare la dinamica muscolare per ottenere il massimo risultato, non per mezzo di un penoso sovraccarico della forza muscolare ma tramite una grazia aerea. Riassumendo, l’esasperazione dell’aspetto tecnico rispetto a quello artistico ed interpretativo, credo piaccia a pochi, ma lo sviluppo delle potenzialità di codici di movimento e forme stilistiche, se bene applicate possono portare a risultati prodigiosi ed in continua superba evoluzione (ne è uno fra i più luminosi esempi, la straordinaria étoile Marianela Núñez!).
Ogni metodologia ha le sue peculiarità, ci vuoi raccontare le sostanziali differenze tra quelli maggiormente in voga?
Nel firmamento delle metodologie, Vaganova è indubbiamente la stella polare. In questo studio, la meticolosa ricerca si basa sulla massima precisione tecnica: si tratta di un metodo che si sviluppa con logica adeguatezza nell’arco degli otto anni di studio accademico e che prevede l’apprendimento di movimenti eseguiti con il massimo vigore ed elasticità, associando ritmo, dinamismo, velocità e lirismo. Una mirabile armonia derivante dalla puntuale coordinazione braccia/gambe/testa, l’eleganza ed il rigore unici dei port de bras, grazia estrema e purezza delle linee, completano questo elemento portante della danza creato dalla Maestra Agrippina Jakovlevna Vaganova. In quanto ad altre metodologie, fra quelle maggiormente apprezzate e praticate, troviamo il metodo inglese RAD (Royal Accademy of Dance), che tende ad incrementare le potenzialità ritmiche, espressive ed artistiche dei danzatori; quello italiano di Enrico Cecchetti, il quale trasmise la tecnica da lui creata (e diffusa in tutto il mondo) ad allievi della levatura di Anna Pavlova, George Balanchine, Serge Lifar, Alicia Markova, oltre che ad Olga Preobrajenska e Dame Ninette de Valois. Il maestro Cecchetti nel creare il suo metodo, approfondì ed elaborò le teorie assimilate dall’altro grande maestro Carlo Blasis. Caro Michele, non propongo ulteriori esposizioni particolareggiate di tali metodologie in quanto confesso che la mia conoscenza delle suddette è principalmente teorica, essendomi costantemente dedicata e concentrata sugli insegnamenti Vaganova. Ma se parliamo di stile, potrei senz’altro fornire qualche spunto inerente quello del maestro August Bournonville, personalità di spicco del balletto romantico dell’800 e fondatore della Scuola danese. Egli diede origine al rinomato metodo e creò fra i molti altri, straordinari balletti quali La Sylphide, Napoli, Infiorata a Genzano, Conservatorio, basati tutti sulla sua caratteristica tecnica. Come elementi distintivi di questo stile riscontriamo innanzitutto il piazzamento delle braccia tenute essenzialmente nella posizione preparatoria sia nei movimenti iniziali che in quelli finali, nonché in diverse combinazioni di salti e batterie. Fondamentali, la leggerezza estrema, il potenziamento del ballon, un atteggiamento meravigliosamente aggraziato e i diversi rapidi cambiamenti degli epaulments; altri elementi che caratterizzano questo stile, consistono nella naturale contrapposizione di forza e velocità impegnate dalla parte inferiore del corpo, con l’estrema evanescenza delle braccia e morbidezza della testa. Lo sguardo delle danzatrici inoltre è spesso rivolto verso il basso, ad esprimere un sentimento di modestia e pudore. Non si può altresì non citare, (volando oltreoceano), il mitico George Balanchine, che trae il suo insegnamento dal metodo Vaganova ma destrutturandolo ed orientandolo verso l’esaltazione di dinamismo, velocità, musicalità (e… del plié!!) ai massimi livelli. L’en dehors dei suoi danzatori poi, si potrebbe definire “squisitamente spietato”, mentre le braccia le mani e gli epaulments seguono costantemente il suo ideale di purezza, ariosità e bellezza ed il tutto eseguito, con perfezione assoluta, mediante una velocità vertiginosa che non smette mai di stupire.
La danza gode di una duplice indole, tra arte e atletica, tra musica e movimento. Si trova in costante dubbio tra due mondi tanto differenti ma non sempre così suddivisi e compresi?
Pur con i loro rispettivi pregi e valori, lasciamo arte ed atletica percorrere le loro rispettive rotte totalmente disgiunte. Viceversa, tra musica e movimento, (inteso come atto artistico-interpretativo), il connubio è inscindibile, eterno!
La carriera di un ballerino è spesso segnata da incidenti, infortuni, mancanza di stimoli o incomprensioni. Dove si ricava la forza in quei momenti per entrare in scena? Qual è la fonte infinita di energia che passa sopra a tutto?
Posso riportarti l’esperienza riguardante il mio vissuto: mia salvaguardia, sostegno e scudo nei momenti più bui, è in primis l’Ascolta o Israele fondamentale preghiera della liturgia ebraica, che riporta alle origini ed istantaneamente suggerisce priorità esistenziali: spesso infatti purtroppo, (e non solo in passato, ma oggi più che mai) per il popolo ebraico sottoposto a mostruosi crimini, rivolgersi all’Essenza divina tramite questa orazione è un conforto supremo. Il secondo prezioso rifugio eletto per me, è senz’altro la musica. Più volte mio punto di ripartenza e supporto nelle intermittenze di disagi, tormenti o incertezze, la musica ha rappresentato tutto questo ed altro ancora: essa pervade lo spirito purificandolo, disintossicandolo dalle inquietudini, scortando l’animo in un percorso di grazia che inevitabilmente, conduce alla bellezza ed all’armonia fisica (tramite la danza) e spirituale (con le sue armonie descrittive). Dietro le quinte sei in attesa del tuo ingresso in scena e vieni inondato da un flutto di elettrizzante lirismo e poesia che ogni pena cancella, scortandoti verso la meraviglia assoluta… ed ancora una volta ti senti a casa!
Nella disciplina classica accademica non c’è nulla di poco importante o secondario?
Nulla. Prova a sfilare un pur piccolo mattoncino da una imponente costruzione!
L’insieme armonico in un ballerino è ciò che rende eccezionale gli artisti?
Sì, è uno degli elementi. Ma il nostro sublime mosaico è composto da più tasselli, non d’oro o di pietre preziose bensì di…sangue, sudore e lacrime! Tessere musive composte da fatica, impegno, sacrifici, dolori e pianti, ma che in molti casi porteranno, grazie a conoscenza e disciplina, alle ambite conquiste ed affermazioni.
Il talento è un infinito dono, è improbabile che si possa imparare?
Come tutti i “doni divini” anche il talento come la vocazione, è un enigma arcano elargito alla nascita unitamente alle nostre qualità individuali. Ed al pari dell’indole e della personalità, dell’estro creativo, e del nostro modo di essere, anche il talento verrà plasmato da incontri, opportunità, stili di vita e dagli avvenimenti che modellano la nostra esistenza: potrà svilupparsi un poco o a dismisura, assumendo sempre maggiore concretezza, o venir messo innanzi ad ostacoli insormontabili… In ogni caso alla base, il talento dovrà già appartenerci, per potersi poi rivelare a suo modo ed esprimersi.
Nel passato durante i balletti classici i ballerini forgiavano inediti fattori per non ripetere ciò che esisteva prima di loro. Ti è mai capitato Gabriella nella tua lunga carriera?
Come interprete no, per nulla. Purtroppo niente voli pindarici per me, sotto questo aspetto… Devo ammettere di non aver mai osato variare neanche di una virgola le coreografie che mi venivano trasmesse o consegnate, forse per una sorta di integrità artistica, una lealtà totale nei confronti della versione coreografica che ero chiamata ad interpretare. Come ballerina per me, la costruzione pura dei contenuti ha sempre avuto più valore di un atteggiamento narcisistico, ma… non me ne compiaccio, anzi! A posteriori, un lieve rammarico lo avverto…
È cosa buona aggiungere complessità arrivando ad alterare in taluni casi l’estetica e la tecnica?
Dipende… Quando quel genere di creazione rappresenta la materializzazione di un fervore raro e inarrestabile, nato dal fuoco sacro della genialità che incombe sui dettami della prammatica, alterando ogni misura e rigore musicale, imponendo ai danzatori percorsi irti di iperboliche, infinite complessità, non si può non inchinarsi innanzi tale passione ed impeto! Ma sarà unicamente un genio, un gigante della danza, che potrà prendersi qualsiasi libertà creativa, poiché scaturita dalla sua passione.
Non ti sembra che tutto sia diventato più sistematico e meno istintivo?
Indubbiamente l’avvento dell’era tecnologica ha provocato un notevole incremento di razionalità e pragmatismo: e come ben sai l’evoluzione nel corso degli eventi storici politici e culturali, si riflette inesorabilmente su qualsivoglia creazione, ricerca ed espressività artistica. Non stimo verosimile, che chiunque possa accogliere ed accettare senza batter ciglio l’intensa trasfigurazione delle dinamiche che caratterizzano l’epoca successiva da quella attuale, (e la stessa forma di conflitto riguarda senz’altro ogni generazione precedente quella effettiva). Eppure questo processo è uno dei varii frammenti che modelleranno la collettività ed il nostro avvenire… Alziamo dunque i calici, caro Michele, e (con rassegnazione) sorseggiamo il futuro!
Dove pensi sia corretto fornire un ballato più ampio e più libero, mentre dove è imprescindibile non proteggere la pulizia e l’accademismo?
Potremmo prendere in considerazione due grande classici quali Bayadére, e uno dei capolavori del Novecento creato dal coreografo Yury Grigorovich: Spartacus. Mentre nel primo il rigore assoluto e l’estrema purezza delle linee e dell’esecuzione è imprescindibile, non solo nel quadro del Regno delle Ombre, ma nell’arco di tutto il balletto, danze esotiche comprese, (ad eccezione della Danza Indiana), nel secondo, la coreografia si basa su una travolgente dinamica impetuosa e passionale che, emancipandosi dal puro lirismo classico, da vita ad una espressività audace, costituita da balli sfrenati, ritmati e fortemente coinvolgenti. Fondamentale, è l’apporto trascinante della partitura di Aram Il’ič Chačaturjan. Entrambi vengono a giusto merito considerati colonne portanti del grande Repertorio russo, ciascuno con le proprie caratteristiche.
I classici sono sopravvissuti, ma la Scuola e le tradizioni quanto si sono sviluppate o smarrite nel tempo?
Pur essendosi evolute ed adeguate alle tendenze estetico culturali col passare del tempo, le tradizioni accademiche sono state custodite nella sfera delle grandi Scuole. Certamente l’incrementare questa imponente, prestigiosa struttura della metodologia, richiede la gestione di stimate personalità, (leader assoluti i docenti delle Accademie Vaganova e Bolscioj), luminari che progressivamente, indicano a tutti noi il cammino da seguire per poter mantenere la tradizione pur incoraggiando un’opportuna evoluzione.
È evidente che è impossibile ricreare l’estetica di un balletto come era nei secoli scorsi, perché? È solo una questione fisica, sociale e culturale?
E dici niente? È esclusivamente una questione fisica, culturale e sociale! Esattamente alla stregua del metodo di recitazione di un attore, dell’espressività di un cantante lirico, della prestanza fisica di un atleta: e poi dalla Motorwagen alla Smart, dai fratelli Lumière al cinema in 3D, la danza non poteva certo immobilizzarsi… Pur ispirandosi continuamente ai divini Esempi dei secoli passati, notevoli passi avanti sono stati compiuti.
Spesso con il tempo si sono persi aspetti essenziali nella purezza della danza classica, ma la ricetta qual è per avvicinarsi oggi il più possibile?
Diciamo che riferendoci ad elementi che fanno parte dell’eccellenza nella danza, dal punto di vista puramente tecnico, linee, posizioni, esecuzione pratica hanno acquisito un notevole sviluppo. Impossibile non riscontrare un incremento del rigore tecnico, una ricerca della precisione nell’esecuzione di esercizi e combinazioni. L’altra faccia della medaglia però, consiste nel forzare sovente i propri limiti, pur di raggiungere aspetti puramente virtuosistici a scapito della bellezza armonica che richiederebbe la danza classica… Come in tutto, equilibrio e virtù dimorano nel mezzo.
Hai interpretato svariate volte Giselle, perché è così immortale nell’immaginario comune?
Perché muore. E perché muore per amore… perché lei muore sfinita dalla sua innocenza, dalla sua confidenza; perché il suo candore è una purissima luce spirituale. Perché nella sua morte non si può non scoprire l’infinito.
La naturalezza quanto è importante in un ruolo come quello di Giselle?
Il personaggio di Giselle è l’icona della naturale autenticità, e come tale abbiamo l’obbligo morale di rappresentarla. Traendo spunti dalla nostra essenza, dalle sfere delle nostre realtà, dal vissuto che ci ha formati in quanto individui, e facendo nostre le verità del personaggio e del contesto nel quale agisce: le sue movenze e l’innocenza istintiva, il candore la genuinità e l’ingenuità che definiscono il personaggio di Giselle, non possono che essere rappresentati orientandoci, mediante un legame viscerale con la nostra emotività, verso lo zenit della naturalezza.
Quando osserviamo le foto dei ballerini dell’inizio del XX secolo si coglie subito la diversità estetica. Oggi è impossibile ricrearla nei grandi classici? E sarebbe accettata?
Personalmente provo una vera e propria avversione per tali riesumazioni, neanche troppo rispolverate dove in vecchiezza, l’aborrita vecchiezza (di leopardiana memoria), dal mio personalissimo punto di vista, NON soffro con riposato cor! Tante pene, sforzi e sudorazione per progredire ed evolversi tecnicamente e culturalmente per poi tornare a rifarsi ad atteggiamenti esasperati e a tecniche ottocentesche, da rispettare grandemente di sicuro, ma esclusivamente alla stregua di preziosità museali! Lascio rispettosamente ad esperti ed intellettuali questo diletto filologico.
Il balletto russo ha avuto una totale influenza sul balletto. Attualmente ammiriamo sorprendenti ballerini provenienti da paesi come Brasile, Cina, Sud-Corea o Giappone. Le influenze reciproche si compenetrano?
Certamente, gli scambi culturali e la possibilità di confrontarsi che sempre maggiormente si verificano anche grazie alla facilità degli spostamenti, hanno recato un impulso di freschezza e di appassionante attrattiva. Abbiamo assistito alla fioritura di molteplici opportunità di ispirazioni reciproche nei confronti di differenti evoluzioni tecniche, artistiche e stilistiche nel mondo. Questo processo ha naturalmente consentito uno sviluppo più che positivo nel nostro ambito di danza. Ma, parlando di danza classico-accademica, di base la forte influenza del balletto russo ancora oggi sussiste, essendo imprescindibile.
A tal proposito quali sono le qualità che dovrebbero rimanere ben visibili malgrado lo sviluppo evolutivo dell’arte?
Il rifarsi immancabilmente all’ABC della metodologia… Ogni mattino alla sbarra come il primo giorno, con umiltà, apertura mentale e concentrati sul proprio obbiettivo. Ripartire ogni giorno da zero è un potente stimolo per la crescita e l’evoluzione.
Non c’è il pericolo che alcuni ballerini, maestri o direttori applichino cambiamenti per il solo gusto del movimento, per il gusto della bellezza esteriore, arrivando ad aggiungere passi senza alcuna logica?
Sì sicuramente, ma questo rischio penso si riscontri particolarmente in alcuni ambienti; reputo comunque tali episodi marginali, fortunatamente in gran parte estranei alla sfera del professionismo. Con questo vorrei però chiarire, che altre molteplici realtà ad indirizzo non del tutto professionale, son da tenere in altissima considerazione, essendo degne di tutto rispetto, applicandosi costoro con cura, competenza e dovizia alla trasmissione della nostra nobile Arte.
Due fattori inderogabili nella disciplina classica permangono la qualità e il buon gusto?
Sicuramente. Due fattori inderogabili nella disciplina classica… DOVREBBERO permanere sempre: qualità e buon gusto!
Nessuno riesce a capire chi sia veramente il personaggio di Odile, tu come lo hai vissuto in scena?
Mi sono riconosciuta come fuoco puro, creatura d’inferno ma che celava nel luogo nascosto del suo intimo, la promessa oscura e profonda di Odette. Ho vissuto l’inganno di Madeleine ed il raggiro di Judy, la donna che visse due volte, nella spirale di Vertigo… Ho osato, ho sofferto, ho riso. Ho udito il mio canto silente di Sirena, ed ho promesso la conoscenza offrendo un frutto avvelenato. Mi sono sentita Circe e Cleopatra, e il tutto nel bagliore di un solo sguardo, ipnotico. Con la sua prima apparizione, Odile inonda la scena di seduzione, protagonismo assoluto e veleno. Tutto lo spazio circostante le appartiene, lei è sovrana e autoritaria e danza in quanto tale. I 32 fouettés poi, sono un presagio della tragedia incombente, provocata dalla coppia diabolica, Odile e il suo genitore Rothbart: l’esecuzione di quel passaggio virtuosistico, reputavo che in un certo qual modo, dovesse essere “interpretato” con grande vigore e un senso di perfidia, la stessa perfidia stampata nell’aria, all’uscita di scena della funesta Odile… Ah, le esaltanti trasfigurazioni che solo il Teatro può consentirti di vivere!
L’introduzione di nuove coreografie con il cosiddetto stile neoclassico (per esempio George Balanchine, Serge Lifar, Bronislava Nižinskaja, Frederick Ashton, Jerome Robbins, John Neumeier) è uno dei notevoli cambiamenti a cui abbiamo assistito. Quale valore hanno apportato e dove ritrovi il genio in tale espansione?
Hai menzionato le mitiche personalità; le sorgenti auree che mediante immaginazione, e ideali arditi, hanno irradiato il percorso della danza moderna rendendola immortale e, plasmando un indomabile tsunami di rinascita creativa, hanno profetizzato l’avvento di quella contemporanea. Progenitori illuminati di mostri sacri quali Roland Petit e Maurice Béjart, hanno dato vita ad opere di meraviglia assoluta, donando genialità, vivezza ed espressività a trame ed orditi della loro architettura coreografica.
Quali altre differenze evidenti nell’accademismo hai riscontrato da quando tu eri ballerina ed étoile ad oggi?
Schemi formali, canoni stilistici, principi convenzionali, tutto quanto, pur mantenendo la sua struttura di base, si è notevolmente evoluto. Evoluto, non alterato… I programmi di studio accademico per esempio, vengono incrementati con rapidità e dinamismo, e le difficoltà tecniche, oggi vengono richieste agli studenti in largo anticipo rispetto ad anni addietro.
Un tempo esisteva una evidente differenza tra i solisti e i ballerini del corpo di ballo, oggi molto meno. Eppure gli artisti migliorano solo con l’età, concordi?
Il clamoroso exploit della danza contemporanea verificatosi dalla seconda metà del secolo scorso, ha notevolmente favorito una gerarchia dei ruoli molto più elastica. In diverse coreografie contemporanee, il solista affronta prime parti accanto al ballerino di corpo di ballo e spesso le danze d’insieme uniscono l’intero organico senza distinzioni di ruolo. Mentre per quanto concerne il balletto classico, sempre più di frequente assistiamo a come giovanissimi talenti vengano interpellati per misurarsi con impegnativi ruoli solistici e di prime parti, realtà molto positive ma inconcepibili nel passato!
Con l’avanzamento dell’età la tecnica e le abilità fisiche diminuiscono, ma l’esperienza fa la differenza?
Sì indubbiamente il declino dell’efficienza fisica della giovinezza sorprende inaspettatamente all’apice del processo personale di maturazione artistica. E nove volte su dieci, coglie impreparati. Resta la sensazione di pienezza originata dall’apice della maturazione, ma senza più avere il supporto dell’antico vigore. Per quanto maestria, capacità interpretative, presenza scenica, concedano certamente ancora l’appagante sensazione di risvegliare consensi ed emozioni, penso che l’artista farebbe bene ad accettare di buon grado il cambio di scenario. Quella condizione indefinita, la straordinaria qualità sfuggente che identifica il ballerino e il suo ruolo, saranno comunque sempre presenti in lui.
Nel quesito “ballerine si nasce o si diventa” l’ago della bilancia dove si posiziona nella tua visione?
Si nasce! C’è un modo di entrare in sala, di scaldarsi per la lezione, una particolare maniera di carezzare la sbarra ed apprestarsi a flettersi e piegarsi; c’è uno sguardo assorto ed elegante, una tenuta del busto istintivamente maestosa, c’è un quid, un je ne sais pas quoi… “Ballerina nata!” Poi ci sono tantissimi altri straordinari artisti esecutori, diventati ballerini.
Secondo te Gabriella quand’è che due anime nella danza si riconoscono?
Forse quando si identificano ugualmente nella vita. Quando con un’espressione si sonda la spiritualità dell’altro e un linguaggio segreto fatto di gesti ed immaginazione, unisce all’altro, nel momento in cui una concordanza sa scortare le anime in armonia.
A fine 2024 hai ricevuto dal Giornale della Danza il “premio alla carriera” con l’assegnazione del GD Awards. Come lo hai accolto?
Questo ambìto Premio, è giunto assolutamente inaspettato! Un vero e proprio privilegio, in quanto a differenza di decine di altri premi, quelle tre paroline “premio alla carriera” racchiudono tutta una vita! Includono gli incontri formativi, le controversie, le incertezze… il timore che ti assale ad ogni bivio. E poi tutto quello che hai preso ed appreso e tutto ciò che hai dato. Ho accolto questo riconoscimento con emozione ma anche con stupore, vivendo ormai da diversi anni, salvo rarissime occasioni, volontariamente “esiliata” dal fragore di una brillante vita di società. Ed è stato un vero onore.
Per concludere, la danza classica è una conversazione ininterrotta con la bellezza, con il sogno della perfezione, con il divino, con l’essenza della vita, con il mistero, con la purezza, l’estrema pulizia delle linee dove il corpo diventa più inconsistente dell’aria, più delicato di un sospiro. Tu Gabriella hai scelto tutto ciò nella tua vita, ma non hai mai pensato di fermarti, di prenderti una pausa da Tersicore?
Mi domandi se potrei vivere in apnea?… No, non potrei! Tersicore mi ha teso la mano, quando mi sono affacciata al mondo, mi ha spinta dolcemente in quel luogo dove fiutavo l’acre odore della pece fuso a quello del sudore, mi ha spronata, redarguita, incitata; mi ha innalzata nel relevé, mi ha insegnato a possedere ali, mi ha affrancata dal grigiore della quotidianità, non lasciandomi mai sola e curando ogni ferita. Ed ancora oggi, nel tempo di questa mia vecchiaia che dischiude la volta celeste dell’ignoto, ancora oggi la dea ogni tanto fa capolino nel mio magico spazio, dove sovrani regnano sbarra e specchi, e avvolta da un alito di vento, mi strizza l’occhio.
Michele Olivieri
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