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Passione, dedizione, emozione: intervista ad Alen Bottaini

Passione, dedizione, emozione: intervista ad Alen Bottaini

 

Alen Bottaini, primo ballerino del Bayerisches Staatsballet di Monaco, nasce a Viareggio. Ancora giovanissimo inizia a muovere i suoi primi passi di danza presso la scuola di ballo “Lorna Wilkinson”, a Massa. Scoperto il suo grande talento decide di approfondire gli studi iscrivendosi nel 1989 all’“Upper School” del Royal Ballet di Londra. Durante le sospensioni festive dei corsi partecipa a vari stage all’Accademia di Montecarlo, sotto la guida dell’insegnante Marika Besobrasova e a Zara. Proprio in una di queste occasioni viene consigliato dai maestri del Kirov di proseguire la sua crescita presso la scuola Vaganova di San Pietroburgo. Il ballerino nato e cresciuto all’ombra delle Apuane è stato il primo e unico italiano ad aver vinto la medaglia d’oro alla competizione internazionale di Varna, dove si confrontano soltanto i migliori. Altri riconoscimenti: il premio Positano come “Best New Rising Star”, conquista Parigi nel gala finale del “VII Paris International Dance Competiton” per il suo “charme” e “la haute virtuosité de la prestation” e ancora è definito la “rivelazione” della stagione dopo aver interpretato il principe Dèsiré al Teatro Carlo Felice di Genova, in “Sleeping Beauty” di Yuri Grigorovich. Riceve il premio Danza & Danza, “Best Italian Dancer in Europe”, lo “Star of the Week” dall’Abendzeitung; nel 2006 è dichiarato “Best Performer of the Year” da “Danza & Danza” e nel 2008 riceve il titolo onorifico di Kammertänzer in Baviera. H anche lavorato come assistente direttore e coreografo nella “Greek National Ballet Company”, collaboramdo con Ray Barra per la sua “Snow Queen” e con Vassiliev in “D. Quixote” per il quale ha anche ballato nel ruolo principale.

Gentile Alen, hai sempre sognato, fin da piccolo, la professione del danzatore?

Assolutamente no; fino all’età di dodici anni il mio interesse fu totalmente dedicato allo sport. Praticavo il calcio, nuoto, judo, barca a vela, atletica, tennis, tutte attività alle quali ero portato, inoltre, studiavo pianoforte e suonavo la batteria.


Il tuo cammino formativo nasce nella scuola di ballo “Lorna Wilkinson”. Quali sono i ricordi più belli legati al primo giorno in sala danza, al percorso poi, e alla figura della direttrice Lorna?

Un giorno trovandomi nella scuola di mia madre mi chiese di partecipare alla lezione per curiosità, è stata una folgorazione, cambiai strada, avevo scoperto la mia metà, la completezza fisica combinata con l’emozione che mi dava la musica. Con mia madre è stato un po’ amore-odio perché era molto esigente sulla tecnica di base mentre io volevo solo saltare e girare e più d’una volta venni invitato ad uscire dalla sala. Però mia madre è stata lungimirante riconoscendo in me non solo la capacità fisica ma una innata musicalità e senso teatrale (parole sue) e volle che frequentassi una scuola professionale. Nonostante tutto ho sempre avuto il massimo rispetto per i suoi insegnamenti dei quali ancora oggi ne faccio tesoro.


La tua famiglia ti ha sempre supportato in questa scelta?

Sì, ai miei genitori va sicuramente il merito di avermi sempre sostenuto sia psicologicamente che economicamente, senza però farmi pesare i loro sacrifici.


Ancora giovane ti trasferisci a Londra per studiare. Cosa ha significato per te entrare in un tempio della danza mondiale?

Sicuramente molto emozionante ma nello stesso tempo difficile, restare lontano da casa a quattordici anni, contare solo su me stesso mi spaventava non poco. Comunque ero convinto della mia scelta e mi buttai a capofitto nel lavoro quotidiano della danza dovendomi misurare con ragazzi più grandi di me.


Mentre all’Accademia di Montecarlo che tipo di esperienza è stata e qual è la tua maggiore gratitudine nei riguardi di Madame Marika Besobrasova?

Non ci sono parole che possono esprimere cosa fu Marika per me. È stata un mentore nella danza e insegnante di vita. Lei è una delle poche persone, insieme ai miei genitori che ha sempre creduto in me, mi ha aiutato ad approfondire le mie potenzialità ma soprattutto a credere in me stesso, ricordandomi che un grande ballerino deve avere l’umiltà di sapere che non si smette mai di imparare.


Hai avuto anche l’onore di essere notato in Francia, presso la scuola di Rosella Hightower, dalla sublime Galina Ulanova, cosa ti disse e cosa ti colpì in lei?

Sì. Mio padre è venuto a conoscenza del fatto che la grande Galina Ulanova soggiornava lì vicino e mi accompagnò da lei per un consiglio. Lei inizialmente restia mi fissò negli occhi per alcuni secondi poi decise di portarmi nella sua sala prove dove mi fece dimostrare tutto il lavoro svolto fino a quel momento. Dopo avermi distrutto disse a mio padre che per la tecnica naturalmente c’era molto lavoro da fare ma possedevo l’anima di un grande ballerino, me lo si leggeva negli occhi.


Ti sei poi trasferito all’Accademia Vaganova, nella sezione dedicata agli studenti russi come unico italiano. Che mondo ti si è aperto a San Pietroburgo?

Sono stati i migliori anni della mia gioventù. Da quando iniziai a ballare sognavo di poter studiare nella medesima scuola che hanno frequentato Rudolf Nureyev e Michael Barishnikov. Mi avevano notato due insegnanti della scuola Vaganova durante uno stage, Nina Soldun e Vadim Desnitskiy, e mi invitarono ad andare a San Pietroburgo per sostenere l’audizione insistendo che dovevo lavorare con il corso dei ragazzi russi (non il corso per gli stranieri) sotto la guida del maestro Gennady Selyutsky, insegnante del celebre Farukh Ruzimatov, e così fu. Ho tantissimi bei ricordi di quei due anni, mi sono subito trovato a mio agio con i miei compagni; lo studio mi dava grandi soddisfazioni e anche se la vita fuori della scuola, a quell’epoca era molto difficile, per chi studiava danza come me era una ricchezza unica avere i migliori maestri del mondo.


Raccontami dell’audizione alla Scala di Milano?

Furono i miei primi passi per cercare una scuola professionale. Purtroppo la risposta non fu solo negativa ma fui consigliato di lasciar perdere perché non avevo i requisiti per fare il ballerino. Questa risposta mi distrusse ma trovai la forza di lottare contro questa decisione rendendomi sicuramente più forte. Andai a Londra dove dopo pochi mesi venni accettato alla famosa “Royal Ballet School” (Upper).


Oltre al classico ti sei dedicato anche allo studio della danza contemporanea presso la “National Ballet School” in Canada?

Quando mi diplomai alla Vaganova avevo appena diciassette anni e decisi di completare i miei studi in Canada alla “National Ballet School” per seguire un master in danza contemporaneo sapendo che in Europa la maggioranza delle Compagnie richiedevano entrambi gli stili.


Poi è arrivata la grande occasione del “Bayerisches Staatsballet” di Monaco. Raccontaci che clima si respirava, come trascorrevate le giornate in sala danza e soprattutto qual è stato il tuo primo spettacolo nelle file del prestigioso corpo di ballo?

In verità non sarei dovuto andare Monaco. Giravo la Germania facendo audizioni e nell’attesa di un invito a Stoccarda andai a trovare un mio amico in compagnia a Monaco e ottenni il permesso di frequentare le lezioni. Il giorno dopo mi venne offerto un contratto. Ricordo che rimasi incantato alla vista del bellissimo teatro, il livello dei danzatori era ottimo, il programma della stagione era così vario sia di classica che di contemporanea con una media di cento spettacoli l’anno (senza contare le tournée) e una platea di 2400 posti. Il mio primo spettacolo fu “Romeo e Giulietta” dove danzai nel primo atto uno degli spadaccini amici di Romeo. Il mio ruolo durò tre minuti ma ricordo che mi divertii un mondo.


Dapprima Solista e poi la prestigiosa nomina a Primo ballerino, quando e come è avvenuta la promozione?

Fin dall’inizio presi ogni ruolo molto seriamente, anche in quelli minori e fui presto premiato con ruoli da Solista. La mia salita a Primo ballerino lo devo ai vari coreografi ospiti che mi sceglievano per i ruoli da protagonista. A settembre del secondo anno la compagnia preparava “La Fille Mal Gardee”. Colas doveva ballarlo un primo ballerino della compagnia che a causa di impegni in America poteva essere presente solo alle prove dell’ultima settimana. Il coreografo mi chiese di sostituirlo nel frattempo. Al suo rientro decisero di affidarmi alcuni spettacoli.


Un percorso di grande successo… ma quali sono stati i maggiori sacrifici e le rinunce per raggiungere la vetta?

Rinunce nessuna perché nelle mie scelte di vita la danza era sempre ciò che mi dava più piacere e soddisfazione. Negli ultimi anni il sacrificio più grande è stato stare lontano per lavoro da mia moglie e dai miei magnifici due figli che sono le cose a me più care.


A tuo avviso quali sono state le serate più memorabili nella tua carriera di danzatore, quelle a cui sei più affezionato?

Di serate indimenticabili ce ne sono state tante, come la Prima della “Dama delle Camelie” dove in proscenio per gli applausi finali mi sono accorto che mezza platea era in lacrime per l’emozione. La prima del “Don Chisciotte” quando il pubblico era in delirio e non smettevano di applaudire e battere i piedi. Poi alla finale del Concorso di Varna dopo aver danzato il passo due di “Giselle” con Elena Pankova… il pubblico per lo più ballerini, direttori di compagnie e coreografi di tutto il mondo applaudivano e urlavano “Bravo Italiano”! La serata a cui sono più affezionato è stata il Gala al Teatro Bolscoi di Mosca dove ballai il passo a due del “Corsaro”, ospite al fianco di alcuni dei più bravi ballerini del mondo per festeggiare la grande Natalia Dudinkskaya.


Tra i tanti personaggi internazionali della danza che hai conosciuto chi ti ha colpito particolarmente?

Fernando Bujones sicuramente, che pur essendo un grandissimo ballerino era soprattutto una persona dal cuore generoso, colto e dall’anima gentile che incoraggiava i suoi ballerini, spronandoli a superare se stessi.


In quale ruolo da “protagonista” ti sei trovato maggiormente a tuo agio?

“La Dama delle Camelie”. Trovai la trama coinvolgente e lessi il romanzo diverse volte per studiare il personaggio.


Oggi ti dedichi anche all’insegnamento. Raccontaci questo aspetto cioè la professione del “docente di danza”?

Essere insegnante è un mestiere bellissimo ma ha anche pieno di molte responsabilità specialmente quando insegni a studenti. La danza si trasmette da persona a persona ed è molto importante che questo sia fatto bene fin nei minimi dettagli se vogliamo che rimanga un’arte di altissimo livello. Bisogna essere molto rigidi e disciplinati ma allo stesso tempo bisogna dare tanto sostegno psicologico sia dentro che fuori la classe. I ragazzi di oggi hanno parecchie distrazioni ed è molto difficile riuscire a mantenerli concentrati. Insegnare non è per tutti, non è solo dare una lezione con esercizi, bisogna che uno sia molto generoso e doni tutto quello che ha imparato durante tutto l’arco della tua carriera e di più. Bisogna essere umili e continuare ad imparare dato che la danza come la vita si evolve e se non si vuole rimanere indietro bisogna essere pronti ad avere una mente aperta ed evoluta.


Hai danzato in tanti teatri ma dove ti sei sentito più “a casa”?

Sicuramente a Monaco che è stata il mio Teatro per diciotto anni ma comunque in scena mi sono sempre sentito a casa ovunque.


Ti sei cimentato anche in qualità di coreografo, cosa ha significato per te stare dall’altra parte e da dove trai l’ispirazione?

La coreografia è stata un’esperienza unica; trovarmi davanti degli ottimi ballerini pronti a seguirmi e vedere evolvere le idee che avevo in testa sul palcoscenico è stato gratificante. Comunque in questo momento non credo che sia la mia strada.


Quanto è importante la preparazione dei giovani talenti della danza e soprattutto come si riconoscono e coltivano?

Sicuramente è fondamentale che i giovani danzatori di oggi siano preparati al massimo livello fisico, tecnico e psicologico dato che sono loro il futuro della danza. Si nasce ballerini, ma come un diamante grezzo va lavorato con cura per estrarre la sua vera anima così anche il ballerino deve lavorare giorno dopo giorno per tirar fuori la sua vera potenzialità.


Come mai l’Italia alla fine non ti ha dato quel grande successo che invece hai trovato all’estero?

Perché all’estero ho avuto tutte le risposte alle mie esigenze.


Nel tuo curriculum si rincorrono premi e riconoscimenti internazionali a non finire. Qual è stato il tuo momento di maggior orgoglio senza nulla togliere a tutti gli altri?

Ogni riconoscimento è sicuramente un momento di orgoglio ma indubbiamente il più bello è stato vincere la medaglia d’oro a Varna.


A proposito della medaglia d’oro di Varna, eri in gara con i più bravi ballerini del mondo. Come ci sei arrivato, cosa avevi presentato e qual è stata l’emozione più viva che conservi del Concorso?

Non essendo un frequentatore di concorsi, preferisco entrare nel personaggio di una trama piuttosto che dimostrare la tecnica fine a se stessa; ho voluto misurarmi con me stesso in un concorso considerato l’olimpiade della danza. Anche per questo ho preferito presentarmi insieme a Elena Pankova con tre passi a due, variazioni e coda, “Don Chisciotte”, “Giselle” e “Le Corsaire” invece di sei variazione perché ho ritenuto opportuno dimostrare tutti gli aspetti della danza tecnica, interpretazione e coinvolgimento.


Per concludere, tre aggettivi per descrivere l’Arte della danza?

Passione, dedizione, emozione.

 

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

Foto di Ida Zenna / Pierluigi Abbondanza

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