Nuovo trittico alla Scala firmato dall’ex direttore Manuel Legris. Per nuovo si intende l’accostamento, con due pezzi già visti in passato e una prima rappresentazione assoluta. Ad apertura di sipario troviamo la creazione “portante” del trittico (sia per allestimento che per esecuzione nelle linee allaricerca di una estetica sempre piu innovativa) Solitude Sometimes di Philippe Kratz visto in debutto nel 2023 nella serata contemporanea Dawson / Duato / Kratz / Kylián. A seguire dopo un breve intervallo di tre minuti a mezze luci il capolavoro Annonciation di Angelin Preljocaj (perfettamente rimontato da Claudia de Smet, con una freschissima interpretazione delle talentuose Caterina Bianchi e Agnese Di Clemente, anche se non sempre speculari) visto nella stagione della Scala presso l’ormai perduto Teatro Smeraldo nel 2002 accostato a Troy Game e a Omaggio a Nino Rota, ripreso nel 2003 al Piccolo Teatro Strehler con Now and Then, Omaggio a Nino Rota, Passage (La vie du cygne) e nel 2004 al Carlo Felice di Genova con Theme and Variations e Le Sacre. Ultimo pezzo in programma la nuova produzione scaligera Carmen di Patrick De Bana che ha lasciato perplessi.
Nello specifico Solitude Sometimes del coreografo tedesco Philippe Kratz (assistente Casia Vengoechea) il quale memore delle sue esperienze al Tanztheater tedesco e ad Aterballetto ha portato ad una decostruzione e ricomposizione dell’idea di movimento. La sua danza è fatta con il corpo e nel corpo, il ritmo diventa contraltare del respiro, frusciante ed androgino nei passi. La musica modificata attraverso l’impiego di strumentazioni elettroniche trova nel cantautore Thom Yorke e nei Radiohead un parallelismo consonante tra le due arti. A ciò si aggiunge lo strumento “fisico” che mette a nudo l’istinto dell’uomo e dell’artista. Nell’interiorità, ogni ballerino risulta isolato dal contesto, assumendo una differente identità sul personale sentire. Il balletto di venticinque minuti raggruppa un nutrito numero di esecutori: quattordici artisti tra uomini e donne che riecheggiano la discesa agli inferi del dio del sole, il quale si purifica nella notte per riemergere con l’alba. La mitologia trova spazio in altri ambiti, come il conflitto per la vita nell’espandersi del tempo. Una forza indistruttibile ed eterna che altro non è che la rinascita, ammantata di fascino, giovinezza, bellezza a simboleggiare la capacità della ripresa. Si viene trasportati con rimandi all’antico Egitto, soprattutto nei passi calati in posizioni simmetriche, felpati e agli impulsi melodici, forse ad incarnare le vibrazioni della natura con la sua energia spirituale. Carismatico Navrin Turnbull e a seguire le bravissime Martina Arduino, Camilla Cerulli, Alessandra Vassallo, Stefania Ballone, nonché Domenico Di Cristo, Franck Aduca, Andrea Crescenzi, Darius Gramada, Saïd Ramos Ponce, Andrea Risso, Gioacchino Starace, Rinaldo Venuti, così riccamente molteplici e multiformi nelle personali capacità. L’esito favorevole è da ritrovare anche dall’uso delle luci a cura di Carlo Cerri e dalle scenografie dello stesso Cerri, con i fluidi costumi di Francesco Casarotto. L’abbondante uso del colore oro trova empatia, rimanda alla gioia, al calore dell’armonia, alla gloria e al contempo al concetto a metà strada fra trascendente e immanente, ovvero ciò che è funzionale. Non ultimo il suggestivo video design a led, sempre firmato da Cerri con OoopStudio.
Annonciation è in sintesi una rilettura audace del dipinto L’Annunciazione di Fra Angelico (soggetto particolarmente usato dai pittori tanto che l’iconografia di riferimento appare monumentale) sulle evocative musiche di Stéphane Roy e Antonio Vivaldi, un duetto che si addentra intimamente nell’incontro tra estasi e dolcezza, tra spirituale e fisico, incarnando la commistione tra sacro e profano. Le luci di Jacques Châtelet rimandano a quel raggio di luce divina che per mezzo della colomba dello Spirito Santo illumina Maria (interpretata da Agnese Di Clemente) che alla fine accetta quasi con compunzione il suo destino. Preljocaj esplora il simbolismo religioso del concepimento e della nascita verginale di Gesù e lo fa con una tensione immateriale e nello stesso tempo pregna di sensualità, testimoniando il suo genio creativo. La visione è riccamente strutturata tra promessa e piacere, supportata da inaspettate prospettive in cui è palpabile l’inquietudine delle due donne (per chi non lo sapesse l’angelo di Preljocaj è inusualmente raffigurato al femminile, qui interpretato da Caterina Bianchi) con gesti istintivi e provocanti. La rilettura è vista con gli occhi della nostra quotidianità dove il tema del corpo e dell’anima si controbilanciano emotivamente. Il duetto va esplorato con innocenza lasciando emergere il tema dalla gestualità meticolosa nei dettagli e nella qualità. La profondità spaziale della scenografia dello stesso Preljocaj occupa il centro del palco disadorno, rivelando elementi vividi e contemporanei, anche nei costumi di Nathalie Sanson.
In chiusura del trittico, l’inedita Carmen firmata da Patrick De Bana con assistenti Aida Badia ed Helena Martín, su libretto di José Andrade, musiche del compositore russo Rodion Konstantinovič Ščedrin (marito della indimenticabile prima ballerina assoluta Maya Plisetskaya, la quale commissionò ad Alberto Alonso una incisiva Carmen nel 1967 ben appunto sulla partitura del proprio consorte adattata da quella di Bizet) qui con l’aggiunta di suggestive sonorità firmate da El Pele & Vicente Amigo e Montse Cortés con Juana la del Pipa. Si parlava ad apertura di recensione di perplessità, ciò è dovuto ad una limitazione che ha accompagnato il balletto nella mancanza di risolutezza. Le percezioni perdono via via di significato su un qualcosa di già visto senza sostanziali novità. Certamente l’impatto estetico è buono (scenografie di Ricardo Sánchez Cuerda), le tonalità dei costumi portano pluralità (Stephanie Bäuerle), l’alternanza delle luci (Ivan Vinogradov) offrono gamme sensoriali, la qualità dei danzatori (oggi guidati dal neo-direttore Frédéric Olivieri, con la neo-sovrintendenza affidata a Fortunato Ortombina) risultano impeccabili (Alice Mariani, Nicola Del Freo, Navrin Turnbull, Rinaldo Venuti, Camilla Cerulli, Gaia Andreanò e Gioacchino Starace che ha sostituito nella pomeridiana terza rappresentazione di martedì 4 marzo, “il torero” di Gabriele Corrado) rimanendo però un “ventaglio” fine a sé stesso dove nulla emerge con furore o meraviglia.
Rimaniamo in attesa ad aprile di assistere, per la prima volta in Scala, al balletto Peer Gynt di Edward Clug ispirato al dramma di Ibsen con la musica di Grieg per un novello approccio sul linguaggio contemporaneo.
Michele Olivieri
Foto di Brescia e Amisano © Teatro alla Scala
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