“Sylvia” è un balletto creato originariamente in tre atti e cinque scene con musiche di Léo Delibes e coreografie al debutto di Louis Mérante (ai tempi “premier maître de ballet” all’Opéra di Parigi). La sua genesi rimanda al poema in forma di favola pastorale “Aminta” di Torquato Tasso scritto nel 1573 e pubblicato nel 1580. All’inizio il balletto si chiamava “Sylvia ou La Nymphe de Diane” e per via della sua collocazione in ambito mitologico venne classificato di stampo classico anche se ruppe la tradizione romantica. Infatti “Sylvia” è l’esempio più vivido del “ballet d’action” che ricercava una struttura drammatica nella quale l’integrazione tra libretto, musica, coreografia e scenografia doveva apparire in perfetta simbiosi e in stretta correlazione, nonché a totale servizio della trama, escludendo la spettacolarità della danza fine a sé stessa. Il padre del cosiddetto “ballet d’action” lo ritroviamo nella figura di Georges Noverre, senza dimenticare altri coreografi come l’inglese John Weaver, l’austriaco Franz Anton Christoph Hilverding e l’italiano Gasparo Angiolini che teorizzarono già precedentemente la necessità di una svolta coreutica innovatrice.
La trama del balletto prende il via nel primo atto con una scena di culto dove le creature della foresta danzano davanti ad Eros. Aminta, un umile pastore, incappa in loro, interrompendo il rituale. La ninfa Sylvia, l’oggetto del desiderio di Aminta, arriva sulla scena con il suo seguito di cacciatrici, per canzonare Eros, il dio dell’amore. Aminta tenta di nascondersi, ma Sylvia alla fine lo scopre e, nell’impeto, punta l’arco contro Eros. Aminta protegge la divinità ma viene ferito. Eros da parte sua tira contro Sylvia che viene colpita, e lievemente ferita si allontana dalla scena. Si scopre che anche un secondo cacciatore, Orion, stava osservando Sylvia, e viene visto accanto ad Aminta svenuto. Orion si nasconde di nuovo quando Sylvia ritorna; questa volta lei si dimostra benevola verso Aminta: mentre le cacciatrici si lamentano in onore della vittima, Sylvia viene rapita e portata via da Orion. I popolani sono addolorati per Aminta, fino a che Eros, di nascosto, rianima il pastore. Eros si rivela, e informa Aminta delle azioni di Orion. Il secondo atto vede Sylvia prigioniera su un’isola nel nascondiglio di Orion, tentata da lui con gioielli e vino, ma senza successo. Sylvia è rattristata per Aminta, e conserva la freccia tratta dal suo petto con nostalgia. Quando Orion gliela ruba, Sylvia lo fa ubriacare fino a fargli perdere i sensi, dopodiché recupera la sua freccia e invoca l’aiuto di Eros. Le invocazioni di Sylvia non cadono nel vuoto, ed Eros rapidamente si presenta mostrandole una visione di Aminta che la attende. I due partono per il tempio di Diana, dove il suo innamorato l’aspetta. Nel terzo atto Aminta giunge al tempio di Diana per trovare un baccanale, ma Sylvia non c’è. Arriva poco dopo, con Eros. Dopo qualche istante di gioia all’incontro, arriva Orion, cercando Sylvia. Lui e Aminta combattono; Sylvia si chiude nel santuario di Diana e Orion tenta di seguirla. La Dea della Caccia, oltraggiata da questo gesto, colpisce Orion e nega a Sylvia di ricongiungersi con Aminta. Il compassionevole Eros manda una visione a Diana, ricordandole il suo giovane amore con Endimione, anch’egli un pastore. Diana si rasserena e revoca le sue intenzioni. Aminta e Sylvia si riuniscono con il consenso della dea.
Jules Barbier e Baron de Reinach adattarono “Sylvia” per la compagnia dell’Opéra di Parigi e la prima assoluta ebbe luogo al Palais Garnier nel 1876 con interpreti Rita Sangalli, Louis Mérante, Marco Magri, Marie Sanlaville, Louse Marquet nelle scenografie di Chéret e nei costumi di Eugène Lacoste. Nel 1919 fu riportato in scena sempre nella capitale francese con la coreografia di Léo Staats mentre nel 1941 venne presentata la versione di Serge Lifar con interpreti lo stesso Lifar e Lycette Darsonval. Nel 1946 si vide una rilettura coreografica di Albert Avelyne, mentre nel 1947 venne proposta da Lycette Darsonval. Nel 1952 Frederick Ashton allestì una nuova versione di “Sylvia”. Si ricorda inoltre l’allestimento a serata intera del “Balletto Imperiale” al Mariinsky di San Pietroburgo nel 1901 su coreografia di Lev Ivanov ma che a causa della sua dipartita la direzione del Teatro fece entrare in gioco il primo ballerino Pavel Gerdt il quale completò la creazione, con interpreti Olga Preobrajenska, Sergei Legat, Agrippina Vaganova e lo stesso Pavel Gerdt. Alcuni estratti in Russia si erano già visti nel 1886 con interprete la ballerina italiana Antonietta Dell’Era a San Pietroburgo e nel 1892 con un’altra celebre artista italiana Carlotta Brianza a Mosca. La prima ballerina assoluta Anna Pavlova danzò sovente gli estratti della produzione Ivanov-Gertd (adattati per lei da Ivan Clustine) durante le tournée internazionali. Proprio in una di queste occasioni tra il pubblico a Londra sedeva Frederick Ashton che prese ispirazione per la sua celeberrima versione del 1952 con Margot Fonteyn e Michael Somes. A Vienna “Sylvia” debuttò nel 1877 mentre a Berlino nel 1884. Il coreografo Giorgio Saracco ricalcò la coreografia di Mérante al Teatro alla Scala di Milano nel 1896 con interprete Carlotta Brianza. All’Empire Theatre di Londra nel 1911 si vide un nuovo allestimento firmato da Fred Farren con interprete Lydia Kyasht. Mentre Aurelio Milloss ne curò un personale adattamento intitolato “La ninfa Diana” al Teatro La Fenice di Venezia nel 1949 con interprete principale Attilia Radice. Nel 1950 George Balanchine creò un “pas de deux” con i costumi di Karinska ispirato a “Sylvia” per Maria Tallchief e André Eglevsky nella tradizione del “grand pas de deux”, con entrée, adagio, due assoli e una coda. Un altro allestimento inedito si vide al “Balletto dell’Opera di Stato” di Budapest su creazione coreografica dell’ungherese László Seregi nel 1972. Nel 1949 il Teatro dell’Opera di Roma propose la versione di Aurel Milloss con interprete Attilia Radice. Nel 1997 John Neumeier creò per l’Opéra di Parigi “Sylvia” in due atti su musica di Léo Delibes (miscelata in ordine differente dall’originale partitura, con l’aggiunta di brani tratti dal balletto “La Source”, sempre di Delibes) su scenografie e costumi del pittore greco Yannis Kokkos. Pur mantenendo i personaggi originali, Neumeier sviluppò una nuova drammaturgia ambientata ai giorni nostri che mediante il minimalismo scenico (un grande albero stilizzato nel primo atto, e una sala da ballo nel secondo) e il contrasto dei colori a punteggiare i vari quadri si discostò dal balletto originale. In scena Neumeier riunì un cast stellare composto dalla danseuse étoile Monique Loudières, dalla danseuse étoile e attuale direttrice della Scuola di Ballo dell’Opéra di Parigi Élisabeth Platel, dal danseur étoile e attuale direttore del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala Manuel Legris, dal danseur étoile e attuale direttore del Balletto Reale Svedese Nicolas Le Riche, dal danseur étoile e attuale direttore del Corpo di Ballo dell’Opéra di Parigi José Martinez. Il 7 dicembre del 1997 il balletto di Neumeier debuttò anche all’Hamburg Ballet. Questa versione coreografica si trova nel repertorio del “Ballet de l’Opéra National de Paris”, “Ballett am Rhein”, “Dutch National Ballet”, “Balletto Nazionale Finlandese” e “Joffrey Ballet”. Nel 2004 andò in scena la versione coreografica firmata da Mark Morris al “San Francisco Ballet” con interprete principale Yuan Yuan Tan. Nello stesso anno il “Royal Ballet” propose “Sylvia” nel centenario di Ashton, allestito da Christopher Newton che ricostruì l’originale di Ashton, con interpreti Darcey Bussel, Jonathan Cope, Marianela Núñez e Rupert Pennefather. Nel 2005 l’American Ballet Theatre riprese la coreografia di Ashton allestita da Christopher Newton al “Metropolitan Opera House” di New York. Nel solco della tradizione francese, Manuel Legris ha creato nel 2018 la sua versione di “Sylvia” per lo “Staatsballet di Vienna” (ai tempi da lui diretto) in co-produzione con il Teatro alla Scala di Milano dove in seguito debuttò con protagonisti gli artisti scaligeri ad inaugurazione della Stagione 2019/2020 nell’allestimento di Luisa Spinatelli e la direzione musicale di Kevin Rhodes. Nel 2019 Stanton Welch dello “Houston Ballet” allestì in tre atti “Sylvia” co-prodotta insieme all’Australian Ballet, con interpreti Karina Gonzalez, Connor Walsh, Nozomi Iijima, Ian Casady. La produzione ha poi debuttato alla “Sydney Opera House”.
La danza illusoriamente è imitazione, interpretazione, descrizione di un’azione o di un pensiero ed essa diviene così propriamente arte, perché si pone sullo stesso piano della poesia e la disciplina classica (nella sua rigorosa purezza accademica) riflette le visioni dei ballerini ponendosi sul piano più alto delle arti maggiori. “Sylvia” è un balletto molto più moderno di quanto si possa immaginare, malgrado la trama non sia esattamente cosa dei giorni nostri, il crescendo musicale di Delibes e lo stampo classico restituiscono un’armonia ricco di danza, guidata da un ruolo femminile forte e da alcune presenze maschili magnificamente concepite. Affascinante il secondo atto di stampo orientale (che ricorda in qualche modo “Le Corsaire”) con la ninfa Sylvia, che per poter sfuggire alle grinfie del suo rapitore e tornare dall’amato pastore Aminta escogita di offrire lauti boccali di vino ad Orione in attesa che la sbornia lo addormenti, lasciandola così fuggire con Eros. “Sylvia” non si presta solo ad un semplice estetismo tecnico ma bensì ad un modello nell’espressione dei sentimenti che si porge devotamente al pubblico.
Una curiosità ci riporta all’utilizzo della musica di Delibes per “Sylvia” che venne usata per creare un altro balletto coreografato da Leonid Lavrovski nel 1931 dal titolo “Fadetta” (con l’aggiunta di altre musiche di Delibes) in debutto alla “Scuola Coreografica di Leningrado”.
In chiusura ricordiamo cosa scrisse in una lettera Pëtr Il’ič Čajkovskij ad un amico dopo aver ammirato “Sylvia” a Vienna. “Ho ascoltato il balletto di Léo Delibes. In effetti, l’ho davvero ascoltato, perché è il primo balletto in cui la musica costituisce non solo il principale, ma l’unico motivo d’interesse. Che charme, che eleganza, che ricchezza di melodie, ritmi e armonie! Mi vergogno. Se avessi conosciuto questa musica solamente poco prima, certamente non avrei scritto ‘Il Lago dei cigni’.”
È proprio il caso di aggiungere: “per fortuna che Čajkovskij non ascoltò prima la musica di Delibes”.
Michele Olivieri
Foto di Silvia by Baranovsky
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