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La Bayadére: storia, personaggi, curiosità e trama

“La Bayadére” ovvero “la danzatrice del tempio” catalogato come “balletto-sinfonico” è uno di quei titoli che incarnano appieno la concezione della danza classica e della sua disarmante purezza grazie ad un racconto epico di amore e vendetta divina. Ambientato nell’antica India, indica un altrove dove l’esotismo si tramuta in un riflesso culturale che mira ad esaltare e ad imitare usi, forme, suggestioni e misteri di paesi lontani.

Questo tema era particolarmente in voga nell’arte del balletto intorno al XIX secolo. Nel 1838 una compagnia di danzatori indiani fece tappa a Parigi con autentiche bayadere (termine coniato dagli occidentali – in special modo dai viaggiatori – in riferimento alle danzatrici indiane che si esibivano in feste e cerimonie religiose e profane) e l’interesse per l’esotico aumentò confermando il fascino delle genti europee nei riguardi dell’Oriente.

Il balletto “La Bayadère” nella sua forma originale si dipana in quattro atti su musica di Léon Minkus e coreografia di Marius Petipa il quale si lasciò ispirare da più fattori: sicuramente dalle cronache lette sulla stampa nel 1875 a proposito della visita del Principe di Galles in India, senza tralasciare la suggestione tratta dal balletto “Sakountala” di suo fratello Lucien su libretto di Théophile Gauthier in scena all’Opéra di Parigi nel 1858, basato sulla letteratura del più grande poeta e drammaturgo classico indiano Kālidāsa, con musica del compositore e critico francese Ernest Reier, e ultimo (ma non per importanza) da una versione danzata precedente, definita opera-balletto, dal titolo “Le Dieu et la Bayadére ou La courtisane amoureuse”, su musica di Daniel Auber (1830), coreografata all’Opéra di Parigi da Filippo Taglioni con interprete la sublime prima ballerina Maria Taglioni nel ruolo della baiadera al fianco della compagnia dell’Académie Royale de Musique. Le cronache del tempo ci raccontano che in platea ad assistere allo spettacolo era presente il giovanissimo Marius Petipa (1818-1910). Inoltre lo stesso Petipa disse anche di aver realizzato delle danze per l’esibizione della ballerina moscovita Zina Richard (1832-1890) nel ruolo di Bayadère all’Opéra di Parigi nel 1856 (ma ciò non è confermato dagli storici e dagli archivi).

Riassumendo la trama, caratterizzata da grazia e suadente fragilità, troviamo nel primo atto il guerriero Solor, innamorato della baiadera Nikiya a sua volta amata dal Bramino. Nikiya costringe Solor ad un giuramento d’amore eterno. A Solor viene offerta la mano di Gamzatti, la figlia del Rajah ed egli accetta dimenticandosi la promessa fatta a Nikiya. Durante i festeggiamenti per il fidanzamento, Gamzatti rivela a Nikiya il nome del suo fidanzato e lei si oppone inutilmente a questo fidanzamento. Una schiava, Aya, propone a Gamzatti di uccidere Nikiya. Nel secondo atto, segnato dalla danza delle baiadere alla quale partecipa anche Nikiya, Aya dona a quest’ultima un cesto di fiori nel quale è nascosto un serpente velenoso che la morde. Il Bramino le propone di salvarla, a patto che lei accetti di sposarlo. Nikyia rifiuta e danza fino alla morte. Nel terzo atto, Solor, per dimenticare il dolore della scomparsa di Nikiya, fuma un particolare veleno, si addormenta e si ritrova nel “regno delle ombre” e tra esse riscopre anche l’amata Nikiya alla quale giurerà fedeltà eterna. Nel quarto atto durante le nozze tra Solor e Gamzatti, il tempio crolla seppellendoli sotto le macerie.

L’ambientazione tra templi sacri e sarì colorati, intrighi e drammi sentimentali, restituisce un magistrale balletto classico nella sua accezione più candida che si distingue per l’etica dei personaggi pronti a tutto pur di innalzare il nobile sentimento d’amore, in una perfetta armonia con momenti di alto lirismo e fascino poetico.

“La Bayadère” fu realizzata in debutto nel 1877 al Teatro Imperiale Bolshoi Kamenny di San Pietroburgo, in 4 atti e 7 scene con apoteosi, su libretto di Serghei Khudekov. Protagonisti Ekaterina Vazem, Maria Gorshenkova, Lev Ivanov, Pavel Gerdt. La Vazem, talentuosa russa dalla tecnica allora chiamata “terre-à-terre” (cioè quei passi in cui i piedi sfiorano le tavole del palcoscenico senza staccarsene mai dando maggiore risalto all’interpretazione e all’espressività anziché al virtuosismo atletico) era la giusta interprete per infondere orgoglio ai talenti della patria. Lev Ivanov, primo ballerino dei Teatri Imperiali, che ritroviamo in seguito “maître de ballet” di Petipa, e coreografo di successo (basti pensare a “Lo Schiaccianoci” e al “Lago dei cigni”)  fu il primo Solor. Mentre a Maria Gorshenkova si deve la creazione del ruolo di Gamzatti (chiamato Hamsatti nella produzione originale). La Vazem, in questa edizione fu sostituita in una ripresa di pochi mesi successivi dalla ballerina Anna Christianovna Johansson (figlia di Christian Johansson, il noto coreografo svedese, insegnante e maestro al Balletto Imperiale Russo).

Numerose ballerine di quell’epoca danzarono il ruolo di Nikiya, tra cui Olga Preobrajenskaya, Marie Petipa, Vera Trefilova, Anna Pavlova, Ekaterina Geltzer, Lubov Egorova, Olga Spessivtseva, Mathilde Kschessinskaya, e in seguito anche Galina Ulanova, Margot Fonteyn, Alessandra Ferri, Sylvie Guillem, Isabelle Guérin, Anna Ol, Nicoletta Manni, Virna Toppi, Martina Arduino, Alice Mariani, Svetlana Zakharova (celebre la sua esibizione in coppia con Roberto Bolle), Dorothée Gilbert, Altynai Asylmuratova, Gabriela Komleva, Alena Shkatula, Olga Smirnova, Diana Vishneva, Marianela Nuñez, Natalia Osipova, Aurélie Dupont, Nanae Maruyama, Viktoria Tereshkina, Ekaterina Oleynik, Marie-Agnès Gillot, Angelina Vorontsova, Polina Semionova, Mizuka Ueno, Gudrun Bojesen, Akira Akiyama, Gitte Lindstrøm, Tamara Rojo, Yolanda Correa, Oksana Maslova, Dayesi Torriente, Uliana Lopatkina, e molte altre. Si pensi alla grande étoile sovietica Natalia Dudinskaya che proprio grazie alla “Bayadère” divenne popolarissima al pubblico nel cuore dell’Europa.

In seguito il balletto fu rivisitato numerose volte: dallo stesso Marius Petipa nel 1900, da Alexander Gorsky e Vasily Tikhomirov nel 1904, da Agrippina Vaganova nel 1932, da Vakhtang Chabukiani e Vladimir Ponomarëv nel 1941, da Yury Grigorovich nel 1991, da Rudolf Nureyev nel 1992, da Vladimir Malakhov nel 1999, da Sergei Vikharev nel 2002 (quest’ultimo scomparso prematuramente lo aveva ricostruito per il Mariinskij), da Nikolaj Hübbe nel 2012 per il “Royal Danish Ballet”, da Thomas Edur per l’Estonian National Opera nel 2013, e da Angel Corella nel 2020 per il “Pennsylvania Ballet” (con la consulenza dell’antropologa di danza Pallabi Chakravorty).

È da menzionare in modo particolare “La Bayadère” nella versione del 2006 ideata da Natalia Makarova, una delle più grandi étoile della seconda metà del XX secolo, al Kirov prima e all’American Ballet Théâtre dopo, danzando in seguito come guest artist presso le maggiori compagnie del mondo, tra cui l’Opéra di Parigi, il National Ballet of Canada, lo Stuttgart Ballet, il Royal Danish Ballet, il London Festival Ballet, nella celeberrima compagnia di Maurice Béjart e in quella storica di Roland Petit. Una Makarova che ha saputo mantenere viva la solida tradizione della scuola del balletto russo derivata dalla sua produzione del 1980, firmata per l’“American Ballet Théâtre” (la produzione del 1988 fu dedicata al danzatore Patrick Bissell che fu particolarmente famoso nel ruolo di Solor). La versione ripulita della Makarova lascia trasparire una figurazione essenziale votata agli elementi consueti dell’opera. Uno dei fatti caratterizzanti nelle produzioni moderne è la mancanza del quarto atto  (solamente nel repertorio del Kirov figura la versione integrale) in cui, durante il matrimonio di Gamzatti e Solor, quest’ultimo è ossessionato dall’ombra di Nikiya e il tempio viene distrutto dagli dei come vendetta per la morte della baiadera. Il merito della rilettura firmata dalla Makarova è quello del totale recupero della distruzione del tempio e del ricongiungimento tra i due protagonisti, operazione eseguita con l’accorpamento nel terzo atto finale. Nel 1920 in Russia il quarto atto fu soppresso definitivamente per motivi tecnici e soprattutto di costi, visti anche i tempi di ristrettezze, senza mai più ripresentarsi in epoca sovietica. Alcuni libri di storia riportano che la sparizione del quarto atto sia avvenuta a causa di una forte inondazione, avvenuta nel 1924, che distrusse la scenografia del finale (per molti da considerasi solo una leggenda).

Suggestiva ed elegante la versione in tre atti su coreografia di Laurent Hilaire, già étoile dell’Opéra di Parigi (attuale Direttore del “Bayerisches Staatsballett”). La sua lettura, ripresa da quella di Mikhail Baryshnikov, è apparsa ricca di inventiva, precisione e cura accademica.

Si segnala la versione coreografica del grande ballerino cubano naturalizzato britannico Carlos Acosta (attuale Direttore del “Birmingham Royal Ballet”) in tre atti per la Royal Opera House, scenografie di Tim Hatley con interpreti gli artisti del “Royal Ballet”. Acosta, ebbe modo di affermare “Non volevo risuscitare un pezzo da museo, un balletto storico, lasciandolo com’era. Volevo un approccio molto più fresco ma senza intaccare l’aspetto narrativo, quello spirito che rende questo balletto uno splendido capolavoro”.

Non poteva mancare di certo il repertorio di balletto romantico per la Scuola di Danza del Teatro dell’Opera. L’allora direttrice Laura Comi scelse uno dei titoli salienti dell’intero repertorio ottocentesco, proponendo un estratto da “La Bayadere” del 1877 di Marius Petipa e musiche di Ludwig Minkus. In questa occasione, al Teatro Costanzi Ofelia Gonzales e Pablo Moret hanno lavorato ad un divertissement per la scuola a chiusura del saggio-spettacolo, con l’arrangiamento musicale di Giuseppe Annese, le scene di Michele della Cioppa, i costumi di Anna Biagiotti e le luci di Patrizio Maggi, in scena nel 2016.

Stesso discorso nel 2019 sul palcoscenico scaligero della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala diretta da Frédéric Olivieri che ha messo alla prova i suoi allievi con “Il Regno delle Ombre” da “La Bayadère” di Marius Petipa: caposaldo del repertorio tardo-romantico il quale richiede doti tecniche elevate. Nei ruoli principali di Solor e Nikija Daniele Bonelli e Linda Giubelli.

Si ricorda nel 1999 inoltre la produzione dell’Universal Ballet con la versione di Marius Petipa ed una sezione coreografica messa in scena da Oleg Vinogradov, con le scenografie di Marianna Zentchenko, i costumi di Natalia Spitsyna e Oleg Vinogradov, e le luci di Kyungwon Seo.

Da menzionare la versione filologica di Alexei Ratmansky il quale ha recuperato l’intera pantomima, all’epoca parte integrante del tessuto coreografico, attingendo per la ricostruzione (così avvenne anche per Vikharev) dalla “notazione Stepanov” conservata presso la Biblioteca di Harvard. Una collezione di una ventina di balletti di Petipa, trascritti da Vladimir Ivanovič Stepanov in un periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in cui sono presenti autentici capolavori, che permette oggi di ricostruire coreografie altrimenti perdute. La sopravvivenza della collezione la dobbiamo a Nikolaj Sergeev, che in fuga dalla Rivoluzione d’Ottobre la portò con sé in Occidente e se ne servì per rimontare in Europa i maggiori titoli del periodo imperiale. Come Vikharev anche l’edizione di Ratmansky recupera il quarto e ultimo atto (si pensi che in epoca sovietica per realizzarlo venne impiegata una eccezionale inventiva artigianale sia in termini economici che di manodopera).

Non solo danza classica accademica per “La bayadére” ma anche versioni contemporanee si sono viste sui palcoscenici, come quella proposta dalla “Compagnia Nuovo Balletto di Toscana” diretta da Cristina Bozzolini con la coreografia di Michele Di Stefano: una visione psichedelica dell’opera, con il focus concentrato sul “Regno delle Ombre”, al limite tra il reale e l’al di là, dove le ombre che appaiono sono come congelate nella loro tragica condizione, e i movimenti che compiono appaiono rituali.

Nel 2019 è di scena “La Bayadère” su coreografia di Nacho Duato da Marius Petipa e musica di Ludwig Minkus con Angelina Vorontsova (Nikiya), Victor Lebedev (Solor), Andrea Laššáková (Gamzatti) e il Balletto e l’Orchestra del Teatro Michajlovskij. Questa fu la prima produzione di Nacho Duato al suo ritorno a San Pietroburgo. Il coreografo spagnolo lasciò invariata di base la leggendaria creazione che ha reso il titolo un successo senza tempo. Il famoso “Regno delle Ombre”, così come il “Grand pas classique” del secondo atto sono rimasti intatti. Lo scopo di Duato è stato quello di trasmettere tutti i colpi di scena della trama, rendendo l’azione più dinamica, introducendo nuovi personaggi e danze rituali, ricreando il sapore dell’India con le scenografie di Angelina Atlagić, capace di restituire il lusso dei Maharaja.

Nel 2023 l’Opera di Roma con la direttrice del Corpo di Ballo Eleonora Abbagnato ha riportato in scena, in forma completa, “La Bayadére” sotto la direzione d’orchestra di Kevin Rhodes e la coreografia siglata da Benjamin Pech, che ha rielaborato quella classica di Marius Petipa con un rinnovato allestimento scenico (firmato da Ignasi Monreal) e da inediti costumi (ideati da Anna Biagiotti).

Manuel Legris alla direzione del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala ha supervisionato la coreografia offrendo al pubblico l’opportunità di assistere alla singolare versione di Rudolf Nureyev (l’ultimo suo lavoro coreografico). Portando così alla compagine scaligera l’impeccabile austerità del classicismo, dando risalto alla purezza delle linee, ai passi, all’importanza del gesto e al portamento che sono i maggiori fondamenti dello “stile Nureyev”. A differenza della versione parigina, a Milano sono cambiate scene e costumi firmati da Luisa Spinatelli, con la straordinaria partecipazione degli allievi della Scuola di ballo del Teatro alla Scala diretta da Frédéric Olivieri e l’Orchestra del Teatro alla Scala diretta da Kevin Rhodes nell’orchestrazione firmata da John Lanchbery.

Due curiosità storiche della produzione originale di San Pietroburgo: Nikija non danzava nessuna variazione durante il “Grand pas d’action” ma la prima ballerina assoluta dei Teatri imperiali Mathilde Kšesinskaja chiese all’allora Maestro di Cappella e Direttore della Musica Riccardo Drigo di comporre per lei una speciale variazione che divenne di esclusiva appartenenza della ballerina e non fu mai più eseguita dopo di lei. Da notare anche che la principessa Gamzatti non indossava le scarpette da punta se non negli ultimi trenta minuti a fronte della durata di tre ore complessive (quattro atti e sette scene con apoteosi finale).

Tra le altre varie curiosità si rammenta anche l’operetta in tre atti “La Bayadere (Die Bajadere) su musica di Emmerich Kálmán (1882-1953), libretto di Julius Brammer e Alfred Grünwald, messa in scena nel 1921 a Vienna e nel 1922 a Berlino. La musica di questa operetta fu da subito caratterizzata da un mix di melodie popolari ungheresi e di valzer viennesi con elementi lirici e melodrammatici tratti dalle danze americane di quegli anni e da strumenti esotici come il tárogató con ritmi creati per esprimere un senso di nostalgia verso la lontana e suggestiva India. Questi ingredienti determinarono lo straordinario successo ottenuto. A tal proposito sovviene il bellissimo manifesto pubblicitario dell’operetta risalente al 1922 a cura di Tofano Sergio detto Sto dal titolo “La Bayadera, ballerina con mazzo di rose tra le braccia e uomo con turbante alle spalle”.

Celeberrima a livello coreografico-tecnico la scena del “Regno delle ombre” (l’atto bianco) con le discendenti trentadue o quarantotto ballerine in ‘arabesques, penchées, cambrés e ports de bras’, tra bellezza e abilità (in altre versioni si è arrivati anche a sessantaquattro per delineare al meglio la quadratura geometrica). A tal proposito la critica e ballerina russa, Vera Mikhailovna Krasovskaya nata nei primi del Novecento a San Pietroburgo, scrisse: “La processione dispiega la sua linea sinuosa attraverso il palcoscenico prima di concludersi in quattro file parallele, un effetto impressionante ottenuto con pochissimi mezzi. Questa scena ha segnato l’inizio del balletto sinfonico”.

Michele Olivieri

 

Foto: Brescia/Amisano

www.giornaledelladanza.com

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